Kindu, 50 anni dopo

Il terribile massacro del 1961 attraverso i racconti del maceratese Giorgio Pagnanell, primo italiano ad entrare nell'Onu

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Uno degli aerei dell’Aeronautica a Kindu

In occasione del Cinquantenario della Strage di Kindu, Cronache Maceratesi ha chiesto un ricordo dell’inviato Onu in Congo Giorgio Pagnanelli all’amico e collega Andrea Angeli, al momento in servizio in Afghanistan

 

di Andrea Angeli – Kabul

Capita spesso, avendo prestato servizio in tante spedizioni, che i piu’ giovani mi chiedano di illustrargli le figure di personaggi scomparsi in attentati o altri attacchi compiuti durante le missioni di pace.

Lo faccio volentieri, per un doveroso tributo di chi ha sacrificato la vita per gli ideali di pace e fratellanza, ma anche perche’ in molti casi si tratta di ricordare personaggi di notevole spessore, che sono stati d’esempio per molti di noi che eravamo con loro. Cito in primis l’inviato Onu a Baghdad Sergio Vieira de Mello, dilaniato dal camion bomba penetrato nel Comando delle Nazioni Unite in Iraq nel 2003, ma anche i tanti amici – a cominciare dal marchigiano Marco Beci – scomparsi a Nassiriya nel novembre dello stesso anno.

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Andrea Angeli in missione

Tuttavia, al termine del racconto, non manco mai di aggiungere che la prima vera tragedia per i peacekeeper italiani ebbe luogo in Congo, nel ’61. Qualcuno, di primo acchitto, si chiede se io sia cosi’ vecchio da aver partecipato anche a quella operazione. Prima ancora che l’amico faccia il calcolo dell’eta’, sono io a spiegare che in quella parte di Africa non ci potevo essere, ma che tanti dettagli noti e meno noti dell’eccidio mi sono stati tramandati dal pioniere del peacekeeping Giorgio Pagnanelli.

Giorgio – come tanti maceratesi lo chiamavano incontrandolo per le vie del centro, dopo averlo prima deferentemente omaggiato con un “Come sta ambasciatore” – era non solo il primo italiano ad entrare al Palazzo di Vetro – nel 1957 – ma anche e sopratutto “L’uomo di Kindu”.

Kindu e’ una citta del sudest congolese dove all’inizio degli anni 60 si trovava una base avanzata della missione Onu incaricata di stabilizzare il traballante Paese di fresca indipendenza. Da Pisa, gia’ all’ora sede della 46a aerobrigata, ogni settimana partiva un C-119 (antesignano del C-130) per rifornire gli avamposti del corpo di spedizione. L’11 novembre del ’61, la pattuglia italo-Onu atterro’ regolarmente sulla pista di terra battuta, ma di li a poco i caschi blu della nostra aeronautica furono attaccati da milizie irregolari. Poco poterono i militari malesi dispiegati nell’area, tutti i tredici aviatori furono massacrati.

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Giorgio Pagnanelli alla Conferenza dei diritti umani a Teheran in compagnia dello Scià di Persia Reza Pahlavi e la moglie Farah Diba

Giorgio Pagnanelli, poco piu’ che trentenne, era all’epoca in forza alla missione Africana e dal quartier generale di Leopoldville fu spedito in elicottero a Kindu per avere notizie degli italiani di cui si erano persi i contatti radio da diverse ore. Non poteva immaginare cio’ che avrebbe trovato. Tocco’ proprio a lui – primo occidentale – la ricostruzione a caldo dell’orrenza vicenda e quindi la conferma ufficiale all’allora ministro della Difesa Giulio Andreotti della scomparsa degli uomini dell’Arma azzurra (uno di loro, peraltro, era il corregionale fabrianese Silvestro Possenti, sergente maggiore montatore).

Fiumi d’inchiostro furono versati in quei giorni e non solo per raccontare l’accaduto, fornendo di volta in volta particolari anche raccapriccianti sull’accaduto. Giorgio, protagonista involontario, fini’ in tutti i resoconti, insieme alle povere vittime.

Bernardo Valli – non un omonimo, sempre lui, lo stesso che nei mesi scorsi ha firmato pezzi su Repubblica da Tripoli – scrisse che “Pagnanelli era un gentiluomo disarmato che incarnava bene l’Onu. Una presenza inerme, quindi inefficace, eppure indispensabile”. Lo descriveva elegante e garbato anche nella giungla, come si conviene a un diplomatico del Palazzo di Vetro. Altre cronache gli attribuiscono invece metodi spicci e convincenti, all’occorrenza: anche qualche bel calcio opportunamente assestato sul sedere di chi sapeva e taceva.

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Andrea Angeli nella redazione di Cronache Maceratesi

Quali fossero stati i suoi giorni a Kindu per certi versi lo seppe solo lui (e la Commissione ministeriale d’inchiesta che lo interrogo’ a piu’ riprese). Anche con gli amici piu’ stretti fu sempre parco di particolari; per rispetto dei caduti ma anche per il peso dei ricordi, che per 43 anni aveva portato con se.

Ai giovani che volessero saperne di piu’ suggerisco (dato che sono bravissimi nel trovare materiale in internet) di cercare il documentario di Sergio Zavoli sulla strage di Kindu, mi e’ capitato di vederlo su Rai Storia, illuminante e commovente allo stesso tempo

Come e’ commovente che l’Aeronautica militare, in occasione del cinquantenario, nella propria rivista abbia ricordato non solo le 13 vittime, ma anche il civile che volo’, seppur inutilmente, in loro soccorso.

Una testimonianza, quella di Giorgio Pagnanelli, che l’AM non aveva mai dimenticato. Al suo funerale, nella Chiesa dell’Immacolata il 6 agosto del 2004, in piedi nella panca in prima fila c’erano proprio un maggiore e 5 avieri in rappresentanza del capo di Stato maggiore dell’Aeronautica.



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