di Maria Stefania Gelsomini
È scoccata l’ora della terza prima, l’ora di Wolfgang Amadeus Mozart. Così fan tutte accidenti, da che mondo è mondo, i maschi sono avvertiti. Siamo nel Settecento, ma potremmo essere nel Duemila: le donne di Mozart e Da Ponte sono modernissime e fanno, disfano, fingono, raggirano, tradiscono. Gli uomini, un po’ babbei, subiscono, si fanno raggirare e non ne escono un granché bene.
Il Teatro Lauro Rossi si è riempito ieri sera per assistere al giocoso dramma mozartiano, che a Macerata si porta sulle spalle il pesante confronto con l’edizione strepitosa del 1990 diretta da Gustav Kuhn con Sesto Bruscantini nei panni di Don Alfonso. E va beh, altri tempi, altre voci.
Anche questa come Rigoletto è una coproduzione, stavolta con il Teatro delle Muse di Ancona, dove è andata già in scena nello scorso gennaio. Regia, scene e costumi portano la firma di Pier Luigi Pizzi, una firma inconfondibile già al primo colpo d’occhio. Il sipario è un telo bianco sottile e trasparente, che vola via leggero svelando un set inondato di luce bianchissima. Su un lato la casa (bianca) delle sorelle Fiordiligi e Dorabella, costruita sugli scogli e affacciata sulla spiaggia. Se non fossimo nel XVIII secolo, potrebbe anche essere un tipico edificio dell’architettura di Miami. Al centro, in mezzo alla sabbia, un moscone.
Dall’ingresso in scena dei protagonisti maschili Ferrando e Guglielmo, che si vantano della fedeltà delle rispettive fidanzate, prende avvio la nota vicenda: lo scaltro filosofo Don Alfonso vuol convincere i due ragazzotti che le fanciulle, messe in condizione di farlo li tradiranno, come fanno tutte le donne. Scommette con loro la cifra di cento zecchini d’oro e li convince a mettere in piedi un piano per farle cadere nella rete. Scatta la trappola, è la recita nella recita. I due fingono di partire per la guerra e si ripresentano subito dopo travestiti. Inizia così un lungo gioco di tira e molla, un corteggiamento serrato l’uno alla fidanzata dell’altro finché, Dorabella prima e Fiordiligi poi, finiscono per cedere, fino al punto di firmare un (finto) contratto di matrimonio. A questo punto si svela l’inganno, le coppie si ricompongono e il lieto fine è d’obbligo: tutti vissero cornuti e contenti, con buona pace di un soddisfatto Don Alfonso. Determinante si rivela l’aiuto della furba servetta Despina, che incita continuamente le sue padroncine al tradimento e a godersi la vita. Questa è la sua filosofia, questi i suoi consigli: “due ne perdete, vi restan tutti gli altri”, “non vi donna che d’amor sia morta. Per un uomo morir!… uno val l’altro. Perché nessun val nulla”, “E piuttosto che in vani pianti perdere il tempo, pensate a divertirvi… far all’amore come assassine”.
L’allestimento di gran classe è curato nei minimi dettagli, tutto giocato sul bianco e sul nero, colori-non colori degli abiti e dell’anima (un binomio cromatico rotto solo dai costumi giallo crema dei due complici birbanti Don Alfonso e Despina, raffinatissimi). Sono proprio i cambi di costume dal bianco al nero delle due protagoniste a segnare i mutamenti della loro condotta e dei loro stati d’animo: all’inizio Fiordiligi e Dorabella ancora pure e immacolate vestono di bianco poi, addolorate per la partenza dei fidanzati si fasciano in un look total black dalla testa ai piedi. Ma quando spuntano i due nuovi corteggiatori compare anche un profilo bianco sul vestito nero di Dorabella (la prima a farci un pensierino), che ritorna completamente bianco dopo aver consumato il tradimento. Mentre l’abito della sorella, che ha resistito per il momento alla corte, resta nero. È il contrasto fra i due comportamenti, che si annulla nella scena finale quando entrambe le traditrici indossano l’abito bianco nuziale.
Se con Verdi si soffre, con Mozart ci si deve divertire. Il dramma mozartiano è leggero, si scioglie nello scherzo e finisce nel ridicolo, si nutre di equivoci, inganni, predilige le malizie ed è costruito per provocare la risata nello spettatore. Ecco allora spiegata la concitazione dell’azione: per i cantanti è un continuo salire e scendere le scale che dalla spiaggia salgono alla terrazza della casa, è un continuo correre avanti e indietro, un continuo entrare e uscire dalle tre porte-finestre che introducono all’interno dell’abitazione. È tutto un frenetico rotolarsi a terra e saltare sopra agli scogli e i protagonisti, tutti giovani e atletici, non si risparmiano.
Buona prova d’insieme del cast diretto dal maestro Riccardo Frizza, omogeneo nelle voci, nell’aspetto e nell’età. La soprano Carmela Remigio (Fiordiligi) e la mezzosoprano georgiana Ketevan Kemoklidze (Dorabella) sembrano davvero due sorelle, hanno la stessa corporatura, la stessa altezza, gli stessi capelli lunghi ricci e neri. Il tenore argentino Juan Francisco Gatell (Ferrando) e il basso-baritono tedesco Andreas Wolf (Guglielmo) incarnano in maniera credibilissima i due giovani soldati gabbati, offrendo una notevole prova fisica oltre che vocale.
La Remigio, insieme alla Rancatore, è l’altra star di questa stagione lirica e gli applausi scroscianti in sala lo confermano. Il suo temperamento in scena si fa sentire e si fa vedere, e regala al pubblico un’interpretazione puntuale e convincente. Forse un po’ più statica scenicamente ma molto brava la giovane mezzosoprano Kemoklidze, che ha davvero una bella voce e la sa usare. L’altrettanto giovane e volenteroso baritono Wolf tradisce, tanto vocalmente quanto nell’aspetto di sano ragazzotto biondo dalle guance rubizze, il suo essere indiscutibilmente teutonico. E questo di per sé non è né un bene né un male, è un fatto. Una piacevole sorpresa il tenore Gatell, dotato di spiccata personalità nella voce, agile sì ma incisiva, potente e più scura sicuramente di tante altre che si avventurano nel belcanto al di fuori del repertorio mozartiano-rossiniano. Di estrema eleganza il Don Alfonso di Andrea Concetti, che ironico e sornione al punto giusto canta con gusto e mestiere, perfetto per questo ruolo mozartiano. Infine un po’ sopra le righe, ma probabilmente così dev’essere nell’intenzione di Pizzi, la Despina di Giacinta Nicotra, tremenda servetta che ne sa una più del diavolo. Disinvolta e spregiudicata, non è chiaro però perché sia sempre preoccupata di alzarsi la gonna a ogni passo che fa. Ma tanto… così fan tutte. E così fa Pizzi, che dimostra ancora una volta di dare il meglio di sé negli spazi più intimi e meno dispersivi dei teatri al chiuso. Sarà per questo che delle tre opere in cartellone questa sinora è stata la più applaudita? Per chi non volesse perderla restano altre due date, il 28 e il 31 luglio.
(foto di Alfredo Tabocchini)
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Da oggi si apre ufficialmente la gara: Pizzi/Carancini… chi lascerà prima Macerata? La sfida è aperta…
Visto che, per tutte e tre le prime della Stagione Lirica, Cronache Maceratesi ha affidato la recensione alla sig.ra Maria Stefania Gelsomini devo presumere che, tale recensione, venga fatta da una addetta ai lavori, da una melomane incallita, da una musicofila esperta, da una appassionata che ha girato i teatri e le arene di tutto il mondo…
Ma se è appunto l’esperienza e la competenza che dovrebbe contraddistinguere la Gelsomini, rispetto a noi comuni mortali, allora poco comprendo perchè, in tutte e tre le recensioni, si da ampissimo spazio, si indugia lungamente, si ipercelebrano scene e costumi (come se fossero la pietra angolare su cui si fonda l’Opera) e si indaga assai meno sulle qualità dei cantanti che, genericamente, vengono quasi tutti promossi senza che si esplori, si sondi, si dia una benchè minima approfondita analisi di quello su cui si regge invece l’Opera: la voce.
Perchè in tute e tre le recensioni (oltre che naturalmente i commenti entusiastici dei registi, scenografi e costumisti) mi sembra che ci sia ben poco altro.
Si fa passare per “innovazione” i cameramen sul palco, ci si dilunga sui commenti positivi degli spettatori alle prime (quando anche i muri sanno che, alla prima, ci si va per farsi vedere e che la stragrande maggioranza dei presenti è tutto fuorchè esperta di lirica), si passa in rassegna minuziosamente i bottoni dei costumi dei cantanti: insomma più che una recensione sull’Opera Lirica sembra più una recenzione estetica.
Recensioni anche interessanti, chi dice il contrario, ma in queste recensioni mi sembra che manchino completamente le basi per un giudizio di merito sui cantanti, sull’orchestra, sul coro, sui direttori…
Credo che la stagione lirica sia quasi sprecata per i maceratesi: credo che sia un’opportunità che pochi sanno cogliere ed apprezzare. Secondo me è’ un evento eccezionale, una meraviglia, peccato che intorno ci giri ancora molta gente “provinciale”!
Ha ragione, Merlini. Le consiglio di frequentare altri teatri.
Merlini, lei è un altro sottoposto di Pizzi?
Buongiorno Cerasi, ho qualche numero: 20000, gli euro del noleggio dei tre monitor che Pizzi ha deciso poi di non utilizzare per Un ballo in maschera; 3 , gli anni di esperienza in campo lirico dell’assistente alla regia di Pizzi; 700000, milioni di vecchie lire, la multa che l’Enpals comminò diversi anni fa alla Fondazione Rossini di Pesaro per aver utilizzato comparse in movimenti coreografati e mimici ( stranamente a Macerata le poche comparse ritornate in Arena dopo anni fanno le stesse cose dei mimi); 3 , gli anni di rinnovo richiesti da Pizzi; 15000, gli euro pagati l’anno scorso ad una DITTA ESTERNA per “marmorizzare” la scalinata in legno nelle scene dell’Attila allo Sferisterio; 0, i candidati che ha in mente Romano Carancini che probabilmente bisserà le grandi scelte del predecessore capace in dieci anni di affossare la città e lo Sferisterio.
@ secarancinidecideperlosferisteriosiamofiniti
Sarebbe interessante anche sapere quale è stato il compenso del maestro per gli anni trascorsi, che tipo di contratto lo legava a Macerata (visto che ha fatto molte alte produzioni con altri teatri), che tipo di contratto tiennale vuole, quali sono i costi di questo contratto e le clausole…
Io ritengo che occorra rivedere la storia dello Sferisterio per capire quello che sta succedendo. Questa arena nasce come teatro d’opera o di teatro in genere con il Conte Pieralberto Conti, che riuscì a realizzare due stagioni. Era persona affabile e colta, marito del soprano Francisca Solari, che tanto lavorò con Mascagni e di cui la contessa ha lasciato al Comune numerose lettere. Poi dopo un lungo silenzio (a parte qualche concerto estivo di Gigli, che anche io, classe ’42, ricordo), Macerata ha la fortuna di incontrare la persona giusta, che porta lo Sferisterio ai massimi livelli: Carlo Perucci. Era persona schiva che non cercava i riflettori, ma amava l’opera, essendo stato egli stesso baritono. Con pochi soldi, con la stampa, che cercava di denigrare un’emergente arena, concorrenziale a Verona, è andato avanti per la sua strada, che era quella di privilegiare l’aspetto musicale dell’opera. Questa complessa forma di comunicazione ha varie componenti, che debbono tutte trovare posto: il canto, innanzi tutto (composto da parola e musica), le scene, i costumi, la regia….
Il nostro Perucci sapeva che nella musica è scritto tutto, implicitamente. anche la regia. Non avrebbe mai accettato che Mimì morisse nel bel mezzo di una crisi di astinenza, quando la musica (sono andati, fingevo di dormire…) è di un languore, di uno sfinimento che riportano ad altra causa di morte. Non voglio elencare tutte le star musicali che Perucci ha portato qui da noi. Voglio solo dire che quando è necessario fare delle scelte di spesa, delle varie componenti dell’opera, che ho sopra riportato, non deve essere sacrificata la parte canora-musicale. Io ho smesso di frequentare l’Arena, da quando mi sono accorto che i soldi prendevano strade non pertinenti con la musica. I giovani ricordano la Tosca per una Madonna che partorisce in scena 13 angeli nudi!! Si creò. cioè, uno spettacolo dentro un altro spettacolo, il cui significato non era chiaro. Abbiamo dovuto ascoltare dei Calaf completamente fuori ruolo, una Turandot con la vocina di Amina. Ora preferisco ascoltare i miei dischi a casa. Sotto Perucci i ruoli impervi erano affidati a professionisti collaudati, sotto di lui i giovani cantanti trovavano posto per lanciarsi. Addirittura si programmavano opere per i giovani come la Traviata con la regia di Franca Valeri, donna sensibilissima che non aveva bisogno di farsi notare con gigionerie da spettacoli circensi. Ricordo ancora l’emozione di quello spettacolo in cui veniva sottolineata la solitudine di Violetta (solinga ne’ tumulti), che muore sola come sola era sempre vissuta. Una cosa mi chiedo da un po’ di anni: quale è il ruolo dei finanziatori? Dare i soldi e basta? Se io fossi un finanziatore e per di più coprissi una carica istituzionale non mi limiterei a verificare il saldo contabile tout court. Andrei a verificare l’impatto della manifestazione sulla nostra comunità, che tra l’altro offre varie opportunità, che vanno da un’Accademia di Belle Arti fino ai Conservatori musicali. Chiedo: si utilizzano queste risorse? oppure l’impatto è riconducibile soltanto alle presenza mordi e fuggi dei vacanzieri? Io spero che lo Sferisterio non diventi con il tempo una manifestazione come tante per rallegrare i turisti. Ricordiamo che ai tempi d’oro partivano pullman di appassionati dalla Lombardia e dalla Toscana per lo Sferisterio. Poi mi chiedo se è voce falsa o no che un mimo venga pagato più di un corista ( si vocifera 2000 contro 250 euro). Capisco che a volte un mimo può sottolineare e può essere quindi una idea registica di tutto rispetto (chi può dimenticare il mimo che si aggirava furtivo tra i cantanti nella Forza del Destino con Mateo Manuguerra e Montserrat Caballé?), ma in tempi di vacche magre che sarebbe di un’opera con un coro scarso? Forse sarebbe meglio riequilibrare le spese. I nostri giovani cantanti trovano posto in questi spettacoli o sono le Agenzie del nord che la fanno da padrone? Mi sbaglio o nei tempi d’oro forse anche per serietà e competenza gli organizzatori, facendo delle audizioni, erano in grado di selezionare i giusti cantanti, risparmiando sulle agenzie di collocamento? Forse direte che la mia mente vecchia e stanca non riesce a scrollarsi di dosso il passato, ma i pomeriggi culturali esistevano anche ai tempi d’oro, l’unica differenza è che non erano bagnati da vini doc. Leyla Gencer, Rayna Kabaivanska, il critico Gualerzi, il musicologo Franco Soprano ci hanno deliziato, ma senza bollicine!!! Ricordo con emozione la sera in cui era presente quel fenomeno vocale che è stata Leyla Gencer in cui ci hanno fatto ascoltare la voce di Francisca Solari (di cui si sono perse le registrazioni a causa di un incendio, tranne due piccoli brani di Tosca) e che hanno poi commentato. Un ultimo ricordo di quei tempi d’oro, poi vi lascio. Alla prima di Butterfly con Antonietta Stella (quindi alla riapertura dello Sferisterio dopo anni di inattività) la contessa Francisca Solari Conti era in sala con un grande cappello ed io che le siedevo davanti ho ascoltato la nobile signora che sommessamente cantava l’opera! Magie del teatro quando Madonne gravide non partorivano in scena e quando Mimì non moriva di over dose e quando tutto è conforme al linguaggio musicale.
Gianfrancesco Berchiesi
Può darsi che forse il problema dei contratti, dei mimi, delle comparse, degli aiuti, degli scenografi sia semplicemente un problema che nasce da un ambiente chiuso.
Forse a Macerata negli ultimi anni le orecchie cariate della Lirica hanno aiutano solo e sempre altre orecchie cariate….
@ Gianfranco – Ci fa piacere scoprire anche le tue competenze da melomane…
Comunque hai proprio ragione, Maria Stefania Gelsomini ha girato i teatri d’Italia e del mondo: Chicago, New York, San Francisco, Los Angeles, Tokyo, Bilbao, Tel Aviv, Londra, Parigi, Zurigo, Dublino oltre a Roma, Firenze, Milano, Venezia, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Verona, Genova e molti altri.
La recensione può essere più o meno condivisibile ma la competenza è fuori discussione.
@ Matteo
Spiacente deluderti ma pur avendo assistito a diverse Opere e Balletti, sia all’italia che all’Estero, non sono affatto un melomane.
Per quanto riguarda la Gelsomini io non abbia messo in dubbio alcuna sua specifica competenza e nemmeno mi sono sognato di farlo.
Anzi ho detto che presumevo “che, tale recensione, venga fatta da una addetta ai lavori, da una melomane incallita, da una musicofila esperta, da una appassionata che ha girato i teatri e le arene di tutto il mondo…”
Ed è proprio per questo motivo che mi meravigliavo, visto che presumevo fosse così tanto addentro al settore, del perchè in tutte e tre le recensioni si dilungasse (molto più del dovuto, a mio modestissimo avviso) sui costumi e le scene oppure ponesse l’accento sulla “trovata” (niente affatto originale) dei cameramen…
@ secarancini…..
sono un maceratese, che da qualche anno ho iniziato ad apprezzare Musicultura ed il SOF, due eventi musicali che stanno portando a Macerata l’attenzione nazionale ed estera!.
Pizzi… l’ho incrociato qualche volta in in teatro, ma io vivo del mio lavoro di tecnico elettronico e vado a teatro per il gusto di vivere lo spettacolo in diretta! Pizzi credo che sia caro se lo vediamo dalla nostra ottica, provinciale appunto. Se invece ci mettiamo a vedere quanto spendono per altre stagioni liriche, di realtà come Verona, Venezia, Toscana etc…..ci accorgiamo che alla fine non ci va così male. I biglietti vengono venduti, i turisti bisogna farli girare…. perchè il nostro territorio non è da meno della toscana e dell’umbria. Un esempio: sono rimasto sbalordito nel vedere al Lauro Rossi (don giovanni 2009) il pubblico era per la maggior parte no marchigiano o italiano, ma straniero!
Una sola cosa: si discute non di quanto si spende ma di come si spende.Negli altri luoghi nessun si permetterebbe mai di proporre un solo regista per sette stagioni. Non aggiungo altro.E’ tardi.Anche io sono maceratese.Provinciali de che!!!
Caro Berchiesi,
tanto di cappello per la lucidissima analisi e i tuffi al cuore per la memoria del nostro tempo d’oro firmato Carlo Perucci.
Grazie.
@secarancinidecideperlosferisteriosiamofiniti
Lei ha perfettamente ragione.
Ma noi siamo come quella pubblicità della banca “differenti per forza”
Differenti perchè non si conoscono la natura e le clausole dei contratti.
Differenti perchè si da carta bianca sulle spese senza che nessuno controlli a priori.
Differenti perchè abbiamo una corte dei miracoli che tutto il mondo ci invidia.
Differenti perchè non si riesce ad avere i bilanci e non si capisce come si spendono i soldi e dove.
Differenti perchè Macerata Opera era indiscutibilmente un nome riconosciuto a livello mondiale mentre ora SOF fa tanto immaginare a una qualche malattia esotica che ti fa correre in bagno.
Differenti perchè siamo gli unici che abbiamo un direttore artistico che fa anche il regista, il costumista, lo scenografo e in futuo (presumo, se gli rinnovano il contratto) farà anche il bigliettaio e la mascherina….
Differenti, non certo migliori….
Approfitto dell’occasione che mi offre il carissimo Filippo (Davoli) che una volta invitai a collaborare su “Il Messaggero”, ottenendone un simpaticissimo “Prima devo ritrovare me stesso”, per elogiare una collega cui tengo molto per il suo capitale professionale ed umano: Maria Stefania Gelsomini. Anche lei a pieno titolo nella storia maceratese de “Il Messaggero” (recente, non recentissima): una giornalista molto apprezzata che ha mostrato il proprio valore anche in prestigiose collaborazioni. Parlo delle pubblicazioni in tema enogastronomico di Carlo Cambi e pure di quei splendidi volumi fotografici di un autore come Guido Picchio -i cui primi fotoreportage tanti anni fa, se non ricordo male, furono anch’essi pubblicati da “Il Messaggero”.
Inoltre Maria Stefania cura l’ufficio stampa di un’importante Casa editrice ed è stata, per me, una piacevolissima scoperta leggere su Cronachemaceratesi i suoi informatissimi servizi sul Sof 2011. Ottima scelta, da entrambe le parti (s’intende!)!
Se consentito, vorrei pur ultimo ricordare la generosa collaborazione offerta dalla collega Gelsomini alla rivista della Provincia di Macerata “57Comuni”.
Ad majora, Maria Stefania!
Maurizio Verdenelli