Inferno all’obitorio

IL GIALLO DELL'ESTATE (capitolo due)

- caricamento letture

crimini_e_misfatti

Chapter two

L’ospedale di Macerata è uno dei paradigmi dell’italica predisposizione alle incompiute.

Accanto ad un’ala moderna che non sfigurerebbe in una  serie televisiva di Medici in Prima Linea ve ne è un’altra che dire datata è dire poco ed un’altra ancora che propone al passante, in bella vista, gli occhi morti di decine di finestre senza vetri: manca anche l’ultima mano di tinta e lo spettacolo è inquietante.

A margine, in alto a sinistra entrando dall’ingresso principale, c’è l’obitorio, a fianco la chiesetta, in basso il traffico caotico di corso Cairoli, unico ingresso a Macerata per chi proviene dalla vallata del Chienti.

Di notte, come d’uopo, l’obitorio è chiuso, i parenti dolenti, ed a volte serpenti, dei defunti che attendono la sepoltura in terra consacrata sono fatti sgombrare verso le otto.

Nessun custode, la stretta finanziaria non consente più di pagare straordinari o orari notturni.

Tanto, a chi potrebbe interessare un luogo simile di notte? A nessuno, ovviamente.

E che importanza poteva avere che la serratura fosse semplice, tipo a scatto, in effetti forzabile con una semplice listarella di plastica abbastanza sottile, che dire, una carta di credito ad esempio.

I morti fanno paura, di notte, quindi nessun problema. Così pensava, errando, l’amministrazione sanitaria.

Quella notte di mezza estate, con bolle d’afa che rimbalzavano sulle mura bianche dell’ospedale, c’era qualcuno che non aveva paura dei morti in generale ma ne aveva in particolare di quei morti:  era un tipo di paura diverso, che nulla aveva a che vedere con gli stereotipi del genere.

L’indomani avrebbe avuto luogo la doppia autopsia di Muti e Galletti e bisognava dare una mano alla stagione, già caldissima di suo: i morti a volte parlano e non era questo il caso.

Un raggio di pallida luce lunare, offuscata dal velo di umidità che avvolgeva Macerata, trafisse la carta Diners estratta dalla tasca interna della giacca, ritraendone un bagliore sinistro.

La porta si aprì con uno scatto fioco e l’intruso scivolò all’interno della camera mortuaria: Muti giaceva nella prima stanza con Galletti affianco, appaiati nella morte così come lo erano stati nella vita politica.

I corpi erano ancora, per così dire, in bellavista, con le bare dalla chiusura a piombo aperte, l’impianto di condizionamento ronzava leggero per non consentire che la decomposizione insorgesse troppo presto.

L’intruso spense l’impianto refrigerante sfiorando alcuni tasti con la mano coperta da un guanto di gomma ed attese che l’ultimo sibilo della ventilazione forzata si smorzasse.

Poi, nel silenzio più assoluto, estrasse da una capace borsa di tela un piccolo parallelepipedo di forma rettangolare, con una faccia coperta da una griglia ed il filo della presa elettrica sporgente di lato. Posizionò  l’attrezzo esattamente al centro dello spazio tra le due bare ed infilò la presa. Il caldo cominciava ad avere il sopravvento, in pochi minuti la temperatura si era alzata di parecchi gradi e l’intruso sentì gocce di sudore scendergli sul collo e sulla fronte.

“Tra un pò sarà davvero caldo” – si disse – spingendo l’interruttore del parallelepipedo.

La stufetta elettrica iniziò subito il suo lavoro, la griglia cominciò  a riscaldarsi passando dal blu iniziale all’arancio e poi al rosso vivo ancora con sfumature bluastre ed infine bianche, quando raggiunse la temperatura d’esercizio. A quel punto l’intruso girò una manopola posta in alto sulla stufetta e chiese la massima potenza: una temperatura nominale di 90 gradi celsius, buona per friggere un mammuth ibernato da secoli nel permafrost.

Ora faceva davvero caldo, un caldo quasi insopportabile ed il sudore accecava l’intruso: era giunto il momento di andare, l’indomani i medici ed il sostituto procuratore di turno avrebbero avuto una bella sorpresa. Vergò rapidamente alcune parole su di un foglio sgualcito che poi appiccicò sul muro della camera mortuaria utilizzando come adesivo il proprio sudore.

Uscendo, con un ultimo ghigno, l’intruso credette di sentire puzza di cadavere, ma forse era solo un’impressione, troppo poco ancora il tempo trascorso dall’inizio dell’operazione. Eppure, eppure … forse un lieve fetore …

Erano le tre del mattino di una calda notte di mezz’estate e non c’era spazio alcuno per i sogni.

Forse per gli incubi.

* * *

Gli esami autoptici sui due cadaveri eccellenti erano stati fissati per la mattina dopo alle nove. La procura aveva concordato con i responsabili del nosocomio un’apertura dei locali in coincidenza con l’arrivo del medico legale, disponendo che nessuno accedesse prima alla camera mortuaria.

Naturalmente il coroner (così direbbero negli Usa) si presentò in ritardo e la stufetta ebbe una buona mezz’ora in più per fare il proprio lavoro.

Alle nove e mezza erano tutti davanti alla porta, medico legale, pubblico ministero di turno (un’avvenente e giovane magistrato originaria di Treviso dalla chioma fulva e dalla quarta di seno, alta almeno un metro e settanta), gli avvocati Prefetti e  Gatto incaricati rispettivamente dalle famiglie Galletti e Muti – un pro forma, naturalmente – il custode dell’obitorio. A distanza, tre ragazzi inviati dalle redazioni dei giornali locali per l’articolo del giorno dopo attendevano sfumacchiando di ottenere una qualche dichiarazione sui risultati dell’autopsia.

Ad un cenno della giovane sostituta il custode aprì la porta dell’obitorio, fece un passo in avanti e si ritrasse immediatamente con un balzo, una smorfia di nausea a devastarne i tratti del volto già di per sè fortemente caratteristici : la puzza investì come un colpo di maglio i presenti, sorprendendoli con la guardia abbassata.

Era del tutto innaturale, pensò la dottoressa Tettamante, le stanze erano refrigerate: una tale precoce decomposizione sfuggiva all’ordine naturale delle cose.

Il custode si fece forza, asciugò con la manica del grembiule il rivolo di succhi gastrici che gli imbrattava il mento ed entrò finalmente all’interno dell’obitorio.

Fu colpito da una mazzata di caldo soffocante e solo con difficoltà, accecato dal sudore come immediatamente fu, riuscì a scorgere appoggiata sul pavimento la stufetta che andava a tutto regime, staccò la spina con un calcio e vi cadde svenuto sopra.

Infine il pubblico ministero, il medico legale e gli avvocati ebbero la forza di entrare dentro l’obitorio, coprendosi il naso con fazzoletti aspersi d’acqua.

La scena era orribile. I corpi di Galletti e Muti enfi, entrambi con facies negroide assolutamente pronunciata, erano butterati all’altezza delle parti molli (addome, ventre) dai fori di sfiato dei gas compressi, lievitati con incredibile velocità in ragione della temperatura altissima.

In poche parole, lo spettacolo era quello di una decomposizione molto avanzata, quasi che fossero morti da almeno sei o sette giorni.

“Autopsia difficile – disse il “coroner” – ipotizzerei quasi impossibile, gli organi interni si sono spappolati. Suggerirei di chiudere tutto in fretta e dar loro cristiana sepoltura”.

Fu in quel momento, con il silenzio e lo sgomento che regnavano sovrani, che la giovane giudice Tettamante si accorse del foglio appiccicato al muro. Sopra, una mano ignota aveva vergato, sembrava con fretta, alcune parole.

La giovane si avvicinò di qualche passo sino a che non riuscì a leggere:

A maggior gloria di Dio

E cosa poteva voler dire? Certo era che se il pensiero di poter archiviare velocemente quella sporca faccenda – in tutti i sensi – ordinando di chiudere le bare e di andarsene a casa a farsi una doccia l’aveva per un attimo sfiorata, ora la storia prendeva un’altra piega. La stufetta accesa e lo scritto avevano bisogno di una spiegazione ad ogni costo e lei – lo sentiva – si trovava a Macerata per quello.

Cominciava una nuova storia, si disse, e l’avrebbe vissuta in prima persona.

Nel frattempo il piccolo piazzale antistante l’obitorio si era riempito di gente: come si sa, le brutte notizie volano. In un angolo, seminascosto nell’ombra dell’ingresso della piccola chiesetta di servizio, l’ex sindaco di Macerata rifletteva sui possibili, futuri sviluppi della vicenda politica: un’idea cominciava a farsi strada nella sua testa e non gli sembrava affatto male.

* * *

Nel frattempo la città boccheggiava sotto le mazzate di un sole implacabile, una palla di fuoco immota nel cielo sottobraccio ad un tasso di umidità dell’90%.

I giornali strillavano della fiducia ottenuta dal governo sulla manovra finanziaria e sui tagli alle spese, in particolare degli enti locali. Era fatta, le province passavano da oltre cento a poco meno di cinquanta e nelle Marche ne sarebbero rimaste solo due: Pesaro per il centro nord e Macerata per il sud. Via Ancona come conseguenza naturale dell’abolizione delle regioni, via Fermo ed Ascoli Piceno perchè di popolazione inferiore ai 250.000 abitanti.

Nei partiti c’era gran fermento, PD e PdL serravano le fila e cercavano di affrontare il problema dei problemi.

Con chi sostituire Muti e Galletti come candidati alle imminenti elezioni?

In pochi si interrogavano sulla stranezza di una morte quasi in contemporanea e tra quei pochi ancor meno erano i politici a tempo pieno, tutti presi dai ragionamenti sui loro personalissimi destini.

Tuttavia, nonostante il caldo, qualche testa ancora funzionava.

Sotto il loggiato della Prefettura, ad un tavolo del bar Mercurio, un note book era acceso sulla prima pagina di Cronache Maceratesi. L’amministrazione aveva tenuto fede ad una delle tante promesse fatte in campagna elettorale e la zona era wi- free.

Il giornale online aveva la gran fortuna di uscire con i propri pezzi quando voleva, non era costretto ad attendere, come i fratelli maggiori della carta stampata, il giorno dopo. E la notizia campeggiava a tutta pagina.

LA STRANA MORTE DI MUTI E GALLETTI

Il dottor Monti, decano dei cronisti di lirica e inviato di un grande quotidiano del nord, sorseggiò quello che avrebbe dovuto essere l’ultimo Martini cocktail della sua vita (il medico di fiducia aveva ordinato tassativamente di non ingurgitare più nulla di diverso dall’acqua minerale, possibilmente liscia) e lesse con curiosità il pezzo: conosceva bene i due ormai ex presidenti e la questione dell’immediata decomposizione dei cadaveri lo aveva insospettito. Con il fiuto del segugio di altri tempi aveva immediatamente compreso che c’era qualcosa di poco chiaro in quella storia.

Estrasse il telefono cellulare, un vecchio Motorola sempre in procinto di esalare l’ultimo respiro e compose un numero che aveva da poco memorizzato.

“Pronto, dottoressa Tettamante? Buona sera, sono Monti, ci siamo conosciuti ieri sera in Arena, alla generale del Faust. Avrei da farle qualche domanda, in via riservata naturalmente, le va di bere qualcosa? Perfetto, allora alle otto da Pierino, l’aspetto”.

Monti scrutò  il fondo del Martini e si chiese cosa sarebbe scaturito dall’incontro con la giovane e procace sostituta della procura di Macerata.

Qualche informazione riservata? Uno scoop? O qualcosa di più intimo e sensuale?

Tra poche ore l’avrebbe saputo.

Lasciò  pochi spicci sul tavolino, accese l’ennesima Marlboro e si allontanò in fretta dalla piazza infuocata, verso casa per una doccia rigeneratrice.

Dal balcone del palazzo comunale, ove era in pieno svolgimento una riunione indetta dal sindaco con le forze di maggioranza, una figura seminascosta dall’anta di una delle grandi persiane lo guardò allontanarsi: lo sguardo dell’ex sindaco di Macerata, comunque esponente rispettato ed ascoltato nel partito di maggioranza relativa, era enigmatico e, forse, inquietante.

Mark B.Montgomery

(2/continua)

N.B. Si potrà commentare il giallo solo dopo l’ultima puntata.



© RIPRODUZIONE RISERVATA

Torna alla home page

Quotidiano Online Cronache Maceratesi - P.I. 01760000438 - Registrazione al Tribunale di Macerata n. 575
Direttore Responsabile: Gianluca Ginella. Direttore editoriale: Matteo Zallocco
Responsabilità dei contenuti - Tutto il materiale è coperto da Licenza Creative Commons

Cambia impostazioni privacy

X