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La storia del rock brilla allo Sferisterio:
due standing ovation per Steve Hackett
(Foto)

MACERATA - L'ex chitarrista dei Genesis ha regalato oltre due ore e mezza di grandissima musica ripercorrendo la sua carriera solista e l'album capolavoro della band "The Lamb Lies Down on Broadway". Eseguita anche la colossale "Supper's Ready" della durata di quasi 23 minuti

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Steve Hackett

di Marco Ribechi (foto Luna Simoncini)

Una delle più grandi chitarre nella storia della musica mondiale approda a Macerata, standing ovation per Steve Hackett. Notte memorabile ieri sera allo Sferisterio per il colossale chitarrista dei Genesis che, con oltre due ore e mezza di spettacolo di altissimo livello, ha voluto regalare un evento che resterà per molti anni nei ricordi del pubblico maceratese.

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Hackett, in tour nonostante i suoi 75 anni portati splendidamente, sta attraversando l’Italia in questi giorni con tappe a Milano, Vicenza, Roma, Napoli, Palermo e Agrigento. Tra queste anche l’arena della palla a bracciale che ha fatto da cornice perfetta ai pezzi immortali tratti principalmente dall’album “The Lamb Lies Down on Broadway”, a cui è dedicata proprio la tournée. In formazione dal ‘70 al ‘77 Hackett ha scritto insieme ai suoi compagni di viaggio Peter Gabriel, Phil Collins, Tony Banks e Mike Rutherford alcuni dei capitoli più importanti del rock, entrando ai vertici dell’olimpo del progressive inglese insieme a King Crimson, Yes e Emerson, Lake and Palmer (leggi l’articolo).

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Steve Hackett

Teatralità, sperimentazione e lunghe session musicali il marchio distintivo del genere che ha trovato proprio nella chitarra di Hackett una delle massime e più iconiche espressioni. In album statuari come “Foxtrot”, “Selling England by the Pound” e “The Lamb Lies Down on Broadway” ha contribuito a definire il ruolo della chitarra introducendo anche nuove tecniche tra cui il tapping a due mani e lo sweep-picking, tratti distintivi per ricreare il sound che anche ieri ha trasportato lo Sferisterio in un tempo sospeso.

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Sotto una luna prossima all’eclisse, davanti ad una folta platea di veri appassionati, Hackett e la sua band hanno proposto uno show diviso in due parti ben distinte: i primi nove pezzi raccolti dalla sua prolifica carriera solista mentre la seconda metà dello spettacolo ha riguardato i brani dei Genesis, molto attesi dai fan. In perfetto stile inglese il concerto inizia puntualissimo alle 21, c’è molto da suonare e non si può perdere tempo. Il pezzo inaugurale è “People of the Smoke” seguita da “Circo Inferno” e “These Passing Clouds”, tutte tratte dall’album autobiografico “The Circus and the Nightwhale”, uscito appena lo scorso anno. Il suono, seppur più moderno, richiama il vecchio sound progressive fondendosi però anche attraverso altri generi. D’altronde la formazione che accompagna Hackett è composta da musicisti di primissimo livello: Craig Blundell, devastante metronomo alla batteria e musicista di Steven Wilson, il tastierista Roger King, già spalla di Gary Moore, Rob Townsend fondamentale al sax e al flauto, lo splendido bassista Jonas Reingold e infine alla voce Nad Sylvan. Un’ensemble di altissimo valore, necessaria per ricreare una serata dall’altissimo contenuto artistico e tecnico.

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Il quarto pezzo è già un capolavoro, si tratta di “The Devil’s Cathedral” da “Surrender of Silence”, un brano che si distingue per le sue sonorità dark e gotiche ricreate soprattutto grazie ai suoni d’organo. Seguono la sognante “Every Day, a Tower Struck Down” intervallata da un lungo e spettacolare assolo funky del bassista, e “Camino Royale” che in alcuni passaggi strizza l’occhio al free jazz. A chiudere la prima parte è il masterpiece “Shadow of the Hierophant”, uno dei brani più celebri e significativi della carriera solista di Steve Hackett. Uscito nel 1975 come pezzo di chiusura del suo album d’esordio “Voyage of the Acolyte”, rappresenta un ponte ideale tra la sua musica e il passato dei Genesis, essendo una parte della composizione stata scritta inizialmente per l’album “Foxtrot”.

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«Ci vediamo tra 20 minuti di pausa» spiega lo stesso Hackett, che si diverte a inframezzare i brani con poche parole in italiano che ne denotano un accento british. Pausa meritata per rifiatare prima di una nuova session di brani che catapulta lo Sferisterio nel 1974, anno di uscita del concept “The Lamb Lies Down on Broadway”, uno dei lavori più ambiziosi dei Genesis, l’ultimo con Peter Gabriel alla voce. L’inizio è di nuovo immediato e senza fronzoli. Tra le grandi aspettative di tutto il pubblico, in trepidante attesa per la parte dei Genesis, i primi tre pezzi seguono la successione del lato A del primo vinile (l’opera infatti fu pubblicata in doppio LP). “The Lamb Lies Down on Broadway”, “Fly on a Windshield” e “Broadway Melody of 1974”. Hackett appare freschissimo nonostante il concerto lungo e impegnativo, dalla sua chitarra esce un suono pulito, naturale, fatto di sfumature che nelle atmosfere così piene e barocche dei Genesis tendono a perdersi e fondersi con gli altri strumenti. La sua non è una chitarra sfrontata, aggressiva ma piuttosto la bacchetta di un orchestrale capace di comporre mirabili architetture sonore. Emblematiche a questo proposito sono le successive “Carpet Crawlers”, “Lilywhite Lilith”, “The Lamia” e “It”, tutti capolavori che lasciano il pubblico in visibilio.

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Ma il meglio deve ancora venire. Hackett, che durante il concerto ha parlato pochissimo lasciando parlare per sé la sua chitarra, spiega: «So che questo concerto è dedicato a “The Lamb”, però propongo di tornare indietro a “Foxtrot”». Il ritorno al passato però non è un rapido salto nostalgico, al contrario si tratta del colossale brano di oltre 22 minuti, diviso in sette passaggi, “Supper’s Ready”, una vera e propria montagna nella storia dei Genesis. L’esecuzione è da brividi e vale la standing ovation del pubblico e l’ipotetica chiusura del concerto. I presenti però non vogliono mettere fine a quella che considerano una notte magica e irripetibile, gli applausi e le urla della platea richiamano i musicisti sul palco.

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C’è tempo per altri due brani che, dopo il capolavoro appena presentato, non possono assolutamente essere da meno. Il primo è un gioiello di maestria compositiva tratto direttamente da “Selling England by the Pound”. Si tratta di “Firth of Fifth”, pezzo di quasi 10 minuti in cui emerge la capacità dei Genesis di unire melodia, complessità tecnica e lirismo in un’unica, indimenticabile opera d’arte. Il secondo, che chiuderà anche l’intero spettacolo, è “Los Endos / Slogans / Los Endos”, un momento culminante dei concerti di Steve Hackett dove viene unito il sound dei Genesis a quello della sua carriera solista. Un medley tra “Los Endos” tratto dall’album “A Trick of the Tail”, e “Slogans” che invece appartiene al primo album solista di Hackett, “Please Don’t Touch!”. Intervallato dall’immancabile assolo di batteria il brano vuole anche essere un omaggio a Peter Gabriel e al legame indissolubile con la fantastica stagione del prog inglese.

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I bis valgono ad Hackett e compagni una seconda standing ovation e una pioggia incessante di applausi. I musicisti si concedono gentilmente per le foto finali mentre il cantante Nad Sylvan, con occhi incantati, indica ai suoi compagni la luna gigante sopra il colonnato dello Sferisterio. L’eclissi lunare è vicina mentre non si eclissa la stagione del prog, iniziata ormai più di 50 anni fa e ancora in forma splendida grazie a campioni come Hackett che dopo tantissimi anni di carriera hanno ancora l’entusiasmo di suonare e il desiderio di proporre la propria musica a platee sempre nuove come quella dello Sferisterio.

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