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«Non bastano le panchine rosse,
quella di Gentiana è stata un’esecuzione»
Roberta Bruzzone scuote Civitanova

LA CRIMINOLOGA ospite ieri sera di Confartigianato per l’avvio della rassegna “Essere umani” al teatro Rossini ha parlato del femminicidio di Tolentino: «E' stata giustiziata per strada davanti a tutti perché l'ex marito doveva ristabilire il suo potere. Si è addirittura seduto su una panchina per gustarsi la scena». VIDEO

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di Laura Boccanera

«Gentiana è stata giustiziata in strada, è stata un’esecuzione per ristabilire un rapporto di potere». Le parole di Roberta Bruzzone tagliano il silenzio e aprono con forza la prima serata della rassegna “Essere umani”, organizzata da Confartigianato Macerata Ascoli Fermo a Civitanova. Al centro, il tema della violenza, soprattutto quella che si consuma in silenzio, che inizia molto prima dei lividi e che trova ancora troppo spesso terreno fertile nel nostro tessuto sociale e culturale.

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Tutto esaurito al teatro Rossini

E infatti il teatro Rossini è pieno, un sold out fatto da molte donne fra il pubblico, a larga maggioranza, di tutte le età, e anche qualche uomo.

L’incontro arriva pochi giorni dopo il femminicidio di Gentiana Kopili uccisa a Tolentino dal suo ex marito, Nikollaq Hudhra. Un caso emblematico di quella che la criminologa ha definito «una violenza spaventosa, pianificata da tempo, che aveva lo scopo di punire pubblicamente una donna per aver negato a un uomo il suo potere». Bruzzone ha demolito ogni alibi: «Non serve inasprire le pene, chi commette femminicidio spesso sa già che finirà in carcere o si suiciderà. Serve cambiare la cultura, riconoscere e combattere il patriarcato. Il complice, dal punto di vista culturale, si chiama così».

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L’intervento di Giorgio Menichelli, segretario generale di Confartgianato

Ad aprire la serata, condotta dalla giornalista Alessandra Pierini il sindaco Fabrizio Ciarapica, il consigliere regionale Pierpaolo Borroni, il rettore dell’università di Macerata John Mc Court, il presidente di Confartigianato Enzo Mengoni e il segretario Giorgio Menichelli che ha illustrato il valore della rassegna, di cui “I volti della violenza” è appunto il primo appuntamento del format nato per «rilanciare il valore dell’unità, essere più vicini alla comunità e riscoprire cosa significhi essere umani».

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Nikollaq Hudhra seduto sulla panchina davanti al corpo senza vita della moglie Gentiana

Poi nell’arco di un’ora la criminologa è entrata subito in medias res, affrontando diverse questioni legate a patriarcato, educazione, narcisisti e comportamenti manipolatori, ma è stato soprattutto sul caso del femminicidio di Tolentino che Bruzzone ha utilizzato parole che, come è nel suo stile definitivo e affilato, non hanno lasciato spazio a retorica o ipocrisie: «È stata un’esecuzione – ha detto – assassinata in strada con una violenza spaventosa da un uomo che progettava chissà da quanto tempo di ucciderla. E doveva essere punita davanti a tutti per il ripristino del suo potere maschile. E non è un problema di inasprimento delle pene come pensano in tanti, perché chi compie un femminicidio va all’ ergastolo, ma non cambierebbe nulla: questi uomini sono concentrati solo sulla vendetta verso la donna. Quest’uomo si è addirittura seduto su una panchina per gustarsi la scena. Quante altre donne dovremo piangere per vedere cambiare davvero qualcosa. Ci stracciamo le vesti, inauguriamo le panchine rosse e ci dimentichiamo delle vittime tre secondi dopo. Potete inaugurare tutte le panchine rosse che volete, non salverà una sola vita».

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Attraverso le domande di Alessandra Pierini ha poi tracciato un quadro sulle dinamiche legate a comportamenti manipolatori e personalità narcisistiche, sull’educazione che i genitori di oggi impartiscono ai figli e sui rapporti di potere, anche nel mondo del lavoro, sottolineando come la scelta di indagare in modo capillare il fenomeno sia nata dalla necessità di portare fuori ciò che accadeva nello studio professionale: «Ormai da 10 anni cerco di martellare sui segnali da non sottovalutare per capire se si ha a che fare con un soggetto narcisistico da cui scappare. E’ un metodo molto concreto, se spuntate il 40% delle voci allontanatelo. Nasce dalla necessità di creare maggiore consapevolezza nelle donne, oltre la professione, oltre la tv, da questi incontri uscirete angosciate, preoccupate, è la condizione migliore per porsi domande».

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Alla fine dello spettacolo il firma-copie

Bruzzone ha poi guidato il pubblico in un’analisi delle dinamiche della violenza di genere: «Il manipolatore entra nella vita come un dono del cielo: è attento, brillante, affettuoso. Poi comincia la fase del “love bombing”, la percezione alterata della realtà. Io la chiamo la fase glitterata – ha aggiunto – perché l’innamoramento è un’intossicazione biochimica endogena, e non ci fa vedere la realtà. Ma appena sente messo in discussione il suo potere, il meccanismo si rompe e si manifesta il controllo. Una persona sana non vi isola dagli amici e dalla famiglia. Una persona sana non vi dice chi potete essere».

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La fila fuori dal teatro Rossini

L’esperta ha parlato anche dell’origine della capacità empatica, che si sviluppa nei primi tre anni di vita. «Se un bambino non ha esperienze relazionali gratificanti nei primi anni, non svilupperà quella funzione. Ed è lì che nasce l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro. Il narcisista non vuole una compagna, vuole uno specchio che rifletta il suo potere». E ancora: «Non insegnate alle bambine a essere brave, buone e generose. Non sono laboratori emotivi per riparare maschi fallati. E basta dire “vedrai che il tuo amore lo cambierà”: è una catastrofica menzogna. Il vostro amore non salva nessuno».

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Roberta Bruzzone è stata intervistata dalla giornalista Alessandra Pierini

E poi ancora un j’accuse verso una certa modalità genitoriale: «Genitori e figli non possono essere amici – ha sottolineato – il genitore ha un dovere: rendere i figli brave persone che non facciano danni a se stessi e agli altri. Io ho 50 anni, la mia generazione è stata cresciuta con i no, ha imparato ad attraversare la frustrazione, a viverci. Ci troviamo di fronte una generazione che è incapace di essere autonoma, di gestire la frustrazione, genitori oltremodo permissivi che danno troppo e non lasciano spazi di autonomia. Trattano i figli come fossero di cristallo e in effetti vanno in pezzi nella relazione con gli altri, non hanno amici temono il giudizio degli altri e si confidano con Chat gpt».

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Infine un appello alla consapevolezza e all’azione collettiva perché «il contrasto alla violenza di genere non appartiene solo alle forze dell’ ordine e alla magistratura, ma dobbiamo essere noi, voi, le sentinelle». L’incontro, pur nella bontà delle intenzioni (quello di offrire strumenti di consapevolezza e riconoscimento dei segnali di una relazione manipolatoria), lascia tuttavia alcune perplessità in un pubblico che si aspettava un quid in più: l’efficacia comunicativa non manca, ma rischia di far cadere la narrazione, tra frasi lapidarie e battute sarcastiche in una eccessiva semplificazione e generalizzazione. Alcuni passaggi, in particolare, avrebbero meritato maggiore profondità e rigore, specie su temi complessi come la genitorialità, l’empatia o le dinamiche familiari.

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