Cesare Catà e Cinzia Maroni
di Marco Ribechi
Il filosofo Cesare Catà arriva agli Antichi Forni e racconta le grandi sacerdotesse. Medea, Circe, le Sibille, Morgana fino ad arrivare alla Norma in cartellone al Macerata opera festival.
Nell’ultima settimana degli Aperitivi culturali si tirano le somme degli spettacoli in programma, ampiamente analizzati e approcciati da vari punti di vista grazie ai preparatissimi ospiti di Cinzia Maroni.
Questa mattina, in concomitanza dell’ultima rappresentazione dell’opera di Vincenzo Bellini, l’incontro è stato dedicato alle figure delle grandi druide della letteratura, tutte accomunate da un archetipo comune che le caratterizza.
«Si manifestano a diverse latitudini, sia nel nord celtico che nel bacino mediterraneo – dice Catà – abbiamo sempre queste figure femminili. Tutte hanno a che fare con una sapienza nascosta, femminile e pericolosissima. Nascosta perché si apprende in maniera iniziatica per cui prevede anche una conoscenza mistica esoterica e non inclusiva. L’aspetto femminile invece intende una conoscenza che non appartiene al mondo razionale, è simbolica e in parte magica. Infine pericolosa perché ha a che fare con una sfera dell’essere che può distruggere coloro i quali non sono in grado di gestirle».
Cesare Catà
Druidi intesi come individui in connessione con le forze ctonie della realtà, di cui uno degli emblemi più conosciuti è Mago Merlino. «Il mondo dei morti, il linguaggio segreto delle erbe, la conoscenza della natura, di come funzionano le piante, la comunicazione con le bestie – prosegue Catà – sono aspetti essenziali nella cultura delle sacerdotesse, un legame tra l’essere umano e la natura addomesticata tramite l’iniziazione. Sono anche detentrici della conoscenza degli stati di follia mistica. Questa visione si ritrova anche in alcune figure femminili della letteratura, prima tra tutte Circe».
Non donne pericolose o adulatrici subdole ma detentrici di conoscenza, partendo dal concetto che ciò che mette in pericolo allo stesso tempo può salvare, come è accaduto a Giasone e Medea, al Guerrin Meschino con la Sibilla, a Odisseo con Circe. «È sempre la stessa storia che si sviluppa in diverse modalità – prosegue Catà – la conoscenza del mondo segreto, di cui le druide sono le grandi custodi, è necessaria per l’evoluzione dei protagonisti anche maschili».
Gli spettatori degli Antichi Forni
Le druide diventano anche emblema di una differente entità culturale, di una alterità sapiente che non ha a che vedere con l’animalità della barbarie. «Non si fa riferimento solamente all’assenza di civiltà – prosegue l’ospite – infatti i greci ritenevano il mondo dell’ignoto e dello sconosciuto ad appannaggio di una certa mentalità incarnata dalle sacerdotesse che incutevano rispetto e timore. Una sorta di arcaico culto matriarcale antecedente alla visione olimpica e maschile del mondo».
Con Norma però la figura della druida assume anche un nuovo significato inedito: «Nell’opera di Bellini interviene anche una visione cristiana – continua Catà – mentre nella Medea di Seneca si parla di vendetta con Norma interviene il senso del perdono. Esiste cioè l’idea che una diversa gestione dell’odio sia in grado di mettere in ordine le cose in maniera migliore. Forse questo è uno dei principali passaggi dal mondo classico a quello moderno». Domani per il penultimo appuntamento della stagione interverrà Roberto Cresti sul tema: “L’ultima favola: Puccini, Turandot e il mondo di ieri”.
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