di Ugo Bellesi
Per antica tradizione, tutti gli anni la presidenza nazionale dell’Accademia italiana della cucina invita tutte le 224 delegazioni italiane e le 82 degli altri paesi del mondo ad organizzare una “seduta ecumenica” da tenere alla stessa ora (tenendo conto ovviamente dell’ora legale di ciascuna nazione) per affrontare ogni volta un argomento diverso. Quest’anno il tema proposto dal Centro studi nazionale dell’Aic è “Fritti, frittate e frittelle”. Ogni delegazione poi deve inviare alla presidenza nazionale una relazione sullo stesso tema. La delegazione maceratese ha scelto un itinerario più impegnativo del solito e cioè quello di ricostruire la storia della frittura. Così, dalla ricerca storica, è emerso che sono almeno tre le popolazioni del mondo che pretendono di aver “inventato” come friggere il cibo. Gli storici Jean Louis Flandrin e Massimo Montanari in “Storia dell’alimentazione” sostengono che sono stati gli egiziani a scoprire la frittura, in quanto erano soliti friggere nel grasso la pasta di pane dolcificata con il miele. Inoltre, nella tomba del faraone Ramses III a Tebe è raffigurata la preparazione di dolcetti a forma di spirale fritti nello strutto e conditi con miele. Secondo altre fonti sarebbero stati gli ebrei nel 13esimo secolo avanti Cristo a creare il fritto quando, fuggiti dall’Egitto, si trovavano nel deserto del Sinai. Infatti, nel Levitico si legge che dovevano offrire a Dio, su di una padella, un impasto di farina e grasso. La terza ipotesi, forse la più credibile, è che la scoperta della frittura sia avvenuta in Cina nel XV secolo avanti Cristo in quanto, con la ghisa, i cinesi erano riusciti a creare un utensile speciale, cioè la “wok”, una padella particolare con il fondo concavo molto stretto. Inoltre, i cinesi sapevano ricavare olio dal sesamo, dalla soia e dalla canapa.
Anche i romani praticavano la frittura avendo appreso questo metodo di cottura del cibo dalla Grecia, dove si costruivano padelle in ceramica impiegate per friggere, che erano vendute lungo le coste del Mediterraneo. Nel “De re coquinaria” di Apicio (vissuto nel primo secolo dopo Cristo) ci sono diverse ricette di cibo fritto. Ma spesso si viene tratti in inganno nel tradurre le sue ricette dal latino in italiano in quanto il verbo “frigere” per Apicio poteva significare non solo friggere, ma anche soffriggere e arrostire. Nel “Teatro nobilissimo di scalcheria” pubblicato a Roma nel 1669 da Venanzio Mattei di Camerino si parla di varie ricette di frittura, come ad esempio il pane fritto dorato e il formaggio fritto. Invece, Antonio Latini di Fabriano, nel 1692 a Napoli, ha pubblicato “Lo scalco alla moderna”, nel quale, descrivendo uno dei celebri pranzi preparato da lui, cita come seconda portata “Un gran piatto di fritto fatto con fegato di vitello, bocconi di animelle, fegatelli di diversi polli, cervelle di vitelle e fette di zinna con sparaci fritti sopra”. Più recentemente il nostro Antonio Nebbia, ne “Il cuoco maceratese”, pubblicato nel 1779, riporta molte ricette, come il fritto di cervelli, fritto di pasta, sfoglie fritte, roscioli fritti, calamari fritti, panocchie fritte, seppie fritte, bracioline di pesce fritte. Anche Cesare Tirabasso, il cuoco di Montappone famoso per il volume “La guida in cucina” del 1927, descrive numerose ricette, come le animelle di agnello fritte, carciofi fritti, crocchette di patate fritte, fritto misto, mele fritte, cervello fritto, gnocchetti di semolino fritti, gnocchetti di crema fritta, olive ripiene fritte, sfrappe, uova fritte, zucchine fritte. Curiosa l’origine delle frittate. Si racconta infatti che in Oriente, una certa popolazione si era insediata presso un lago dal quale si pescava solo un piccolo pesce chiamato “tirrikh”. Era tanto piccolo che l’unico modo per gustarlo era quello di “tritarlo e poi cucinarlo in frittata con le uova”. Questo metodo di preparare il cibo è poi arrivato in Europa, come narrano Louis Flandrin e Massimo Montanari, per mezzo degli arabi. Nel volume di Antonio Nebbia “Il cuoco delle Marche” del 1779 figurano numerose frittate, tra le quali frittata rognosa, frittata di spinaci, frittata di piselli, di fave fresche, alle cipolle, alla cacciatora, di gambi di lattuga, di marignani, di maccaroni, di spinaci. Invece, Cesare Tirabasso, nella sua “Guida in cucina”, cita soltanto uova in frittata e uova in omelette.
Il titolare del ristorante Paolo Severini con la moglie
Per quanto riguarda le frittelle, la più antica ricetta, risalente alla seconda età del 1300, è conservata a Venezia. Infatti, i “fritoleri” veneti erano famosi, tanto è vero che la Repubblica Serenissima nel 1700 proclamò le frittelle “dolce nazionale”. Nel 1393 un borghese parigino pubblica “Le menagier de Paris”, in cui sono descritte varie frittelle, come ad esempio quelle al formaggio. Molto più tardi, cioè nel 1779, ne “Il cuoco maceratese” di Antonio Nebbia ci sono numerose ricette di frittelle, tra le quali frittelle di piccoli pomi, di foglie di vite, alla bolognese, di pasta, alla milanese, alla crema. Invece, nella terza edizione de “Il cuoco classico” (1932) di Cesare Tirabasso si trovano le frittelle di cavolfiore, di mele e di tutti i frutti. Anche per la creazione delle patatine fritte sono in competizione tre nazioni. Il Belgio sostiene che una sua popolazione, quella dei Valloni, nella parte meridionale della nazione, vive a diretto contatto con la Mosa, un grande fiume che fornisce una notevole quantità di pesce, ma d’inverno è gelato e non si può pescare. Pertanto, nel 1781 le mogli dei pescatori hanno cominciato a friggere le patate tagliandole a forma di piccoli pesci. I francesi, invece, affermano che durante la rivoluzione del 1789 il grande Parmantier lanciò una grande campagna per promuovere il consumo delle patate e fu allora che tra le varie ricette comparve anche quella delle patate fritte. Gli Stati Uniti riconoscono che le patate fritte furono da loro conosciute in seguito alla prima guerra mondiale, quando i soldati statunitensi tornarono in patria dopo aver combattuto in Francia. Però sostengono che le patatine fritte sono state inventate da un cuoco americano: George Crum. Una sera, un facoltoso cliente gli rifiutò per tre volte le patate fritte perché cotte male. Egli allora volle vendicarsi e tagliò le patate a fette sottilissime, cosicché, friggendo, diventassero immangiabili. E invece il cliente ne fu felicissimo perché erano le “patatine fritte leggerissime e al punto giusto croccanti” che lui chiedeva. Gli accademici maceratesi (quando ancora si poteva cenare fino a mezzanotte) hanno tenuto la “seduta ecumenica” 2020 nel ristorante “Due Torri” di San Severino (rispettando rigorosamente tutte le regole delle distanze e delle mascherine) con un menù dedicato interamente al fritto, che ha avuto grande successo. Nel corso della serata molto interessante è stato l’intervento del professor Sauro Vittori, il quale ha spiegato quali sono le caratteristiche che deve avere un olio per friggere. Bisogna tener conto del punto di fumo, superato il quale si verificano fenomeni chimici tali che possono danneggiare la salute. Nel corso della serata c’è stato appunto un confronto tra due fritture diverse: una con olio extravergine di oliva e l’altra con lo strutto in padella di ferro. Non sono mancati ovviamente i complimenti per il titolare del ristorante, Paolo Severini, e applausi per la cuoca, avendo presentato delle fritture eccellenti. A tutti gli accademici è stato fatto omaggio del volume “Fritti, frittate e frittelle”.
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