E’ proprio vero come dicevano i latini ut pictura poesis, e forse nessun antico motto si adatta di più al bel libro, fresco di stampa, e anche poderoso nelle sue 360 pagine, del titolo che l’editore Paolo Bravi ha voluto dare al lavoro davvero di lunga durata di Marcello Mogno: Il pittore della Scrittura- Dipinti, Storie, Poesie. Figura e scrittura che completamente cadenzano la vita di Mogno, nato ad Aosta nel ’36. Un curriculum ed una biografia di tutto rispetto, a partire dal padre Tullio, filosofo, che all’inizio degli anni ’50 aveva stampato un saggio di estetica per la Nuova Italia. Altri tempi, si dirà, ma tempi fecondi che vedono una lunga relazione epistolare tra Tullio e un “grande” della poesia del Novecento: Umberto Saba. Tullio ed ora il figlio Marcello che conserva ben 130 lettere di “Umberto”, entrano nel libro di cui parliamo. E lo scopo sembra proprio quello di delineare una intera visione e lettura unitaria, una historia biografico-artistica del nostro autore. Erratica e apparentemente nomadica la sua vita, con due lauree, una in Legge e la Seconda in lettere, e tanti, tantissimi viaggi e spostamenti, in particolare a Parigi dove frequenta a lungo e amichevolmente Orfeo Tamburi che lo stima e dal quale “apprende” alcune tecniche e quindi incontri romani, e vicinissimi, nella nostra Macerata, a Peschi. Insomma un viaggiatore che fa del viaggio un metodo di conoscenza, una vera e propria pedagogia.
E poi una vita parallela a quella del segno pittorico: varie prove di scrittura “automatica”, come nel pararomanzo pubblicato anni or sono Palla, Pelle, Pollo, dove si scorgono frammenti e modalità stilistiche, tra flusso di coscienza e rotture lessicali, infrazioni del verso, rotture, insomma, molto vicine alle sperimentazioni del Gruppo ’63 e alla fluvialità di Gadda. Quanto all’opera pittorica ( ampio è il catalogo offerto dall’editore), Donatella Donati ed Edilio Venanzoni tentano di cogliere genesi e metamorfosi delle figure “mognesche”, tra oniricità e visionarietà. Si potrebbe parlare, non a caso, di citazioni da De Chirico o, anche, fascinazioni poderosamente ipnotiche, tanto questi dipinti esplorano e convocano e provocano l’inconscio dell’eventuale lettore della tela. Deragliamento della sintassi e schizomorfismo che Guido Garufi coglie nei testi poetici e negli “aforismi”. Un libro che tende e vuole essere una conclusione provvisoria, un tentativo anche affettuoso come l’editore scrive nella sua nota introduttiva) di lasciare sulla carta e sulla pagina l’esperienza mobile e dinamica di una vita, anzi di tutta una vita.
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