di Giancarlo Liuti
Parlare di me, stavolta, è come parlare delle migliaia di persone che dalle sette di sera di mercoledì scorso sono state raggiunte da due scosse sismiche di forte intensità. Ero semisdraiato su un divano, stavo guardando la televisione e all’improvviso le finestre di casa hanno cominciato a vibrare e da fuori è venuto un rombo di tuono accompagnato da uno scuotimento che benché fossi seduto m’ha fatto cadere in avanti. Cosa ho provato? Soprattutto paura, proprio quell’istintiva paura che s’impadronisce di noi esseri umani quando ci sentiamo colpiti da qualcosa che sul momento non riusciamo a capire. Poi gli occhi mi sono andati sul lampadario, che oscillava come per una ventata. Il terremoto, mi sono detto. Proprio il terremoto. La paura del terremoto. E a prescindere dai danni materiali che a Castelsantangelo, Visso, Ussita, Camerino e in altri centri della provincia, sono stati gravi – case distrutte, case inabitabili, cinquemila sfollati, una catastrofe – la mia stessa paura s’è fatta largo, moltiplicata per mille, nell’animo di tutti.
Si dirà che la paura del terremoto deriva dalla sua imprevedibilità, dalla sua inesorabilità e dal suo accanirsi sulle persone e sulle cose care alle persone. Certo. Ma in questa particolare paura c’è qualcosa di ancestrale che gli esseri umani hanno fin da quando, cinquecentomila anni fa, scesero dagli alberi e presero una via ben diversa da quella delle scimmie. Nei documenti più antichi – anche negli antichissimi – non è raro che si parli della paura del terremoto. Posso sbagliare, ma credo di capire perché. La forza di gravità che ci attira verso il suolo, infatti, è la fondamentale condizione non solo fisica della nostra esistenza terrena. E se, come accade negli eventi sismici, il suolo ci viene a mancare, allora siamo colti dall’istinto terrorizzato di un’impossibile fuga. Di tutto riusciamo a farci una ragione, perfino delle malattie inguaribili, della morte di familiari e amici, delle stragi di guerra, di quella che sarà la fine del mondo causata da un enorme meteorite. Ma non del terremoto. Nei secoli passati, per tentare di farcelo capire, s’è detto che esso è una punizione divina per i nostri peccati. Invano, nulla ci persuade. Neanche le spiegazioni della scienza sullo scontro tra faglie e sui gradi Richter. Resta, da sempre immutabile, l’irragionevolezza della paura. Per certe cose si dice che basti la parola. Ebbene, la parola “terremoto” mette paura anche a chi il terremoto non l’ha mai sentito.
L’informazione nazionale e locale, compreso Cm, ha chiarito che l’epicentro di quest’ultimo sisma è sostanzialmente lo stesso di quello del 24 agosto scorso, anche se più a nord di Amatrice (quasi trecento morti, allora, nella cittadina laziale), più mirato su Castelsantangelo e per fortuna, stavolta, senza vittime, né lì né altrove. Un’area tellurica da sempre, hanno detto gli esperti. Un’area simile a quella fra Umbria e Marche all’altezza di Colfiorito che subì il disastroso terremoto del 1997 – undici vittime – fra Foligno e Serravalle del Chienti. Del resto quasi la metà dell’Italia è a rischio sismico per via del lentissimo ma inesorabile avvicinarsi del nostro “stivale” alla Croazia. Rassegnarsi? Neanche per sogno. Ce l’impedisce la paura. E la paura infiacchisce, debilita, non fa ragionare.
Immagino che una paura più forte della nostra l’abbiano avuta gli abitanti dei centri montani, i più colpiti, nel fuggire precipitosamente dalle loro case, nel sentire il fracasso dei crolli, nel farsi largo fra le nuvole di polvere e la caduta delle macerie. Ma quella dell’alto Maceratese è gente “tosta” e la paura l’hanno sfidata col suo contrario: il coraggio. In quei lunghi minuti la lotta fra la paura e il coraggio ha visto spesso prevalere il coraggio col precipitarsi ad aiutare, soccorrere e salvare senza preoccuparsi del pericolo personale. E questa è stata una grande lezione di solidarietà e soprattutto di civiltà, una lezione dalla quale abbiamo non poco da imparare in tempi come i nostri così segnati dall’egoismo, dall’individualismo e dal “farsi i fatti propri”. Mentre scrivo queste righe sono le sei e mezzo di sera e una scossa quasi violenta come quelle di mercoledì scorso m’ha fatto alzare dal computer. Quando finirà? Non lo sa nessuno, purtroppo.
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il coraggio non mi manca, è la paura che mi frega!
Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.
Contro la paura affidiamoci a Dio nostro Padre. Nel santuario della Madonna della Misericordia c’è un’iscrizione di circa il 1700, in cui i maceratesi si sono affidati a Maria Madre della Misericordia per essere protetti contro i terremoti che c’erano in quei tempi. Ritorniamo alla fede dei nostri antenati per vincere la paura nella solidarietà fraterna. Andiamo a chiedere protezione al nostro Santuario Mariano elevato a Basilica Giubilare della Misericordia in questo Anno Santo.
È antisismico ‘sto santuario?
Quando guardo Renzi, è come se vedessi un cocktail in cui ci sono shakerati un terzo di Berlusconi, un terzo del peggior Craxi e un terzo di Jerry Calà. Ecco, quando vedo un presidente del Consiglio così, un po’ di paura onestamente mi viene. (Andrea Scanzi)