Donatella Donati
di Donatella Donati
Due anni fa, in un mio articolo del 15 maggio, ho raccontato con molta precisione, documentandomi con cura e attenzione, come è avvenuta la sepoltura di Leopardi . Rimando perciò a quell’articolo, ancora oggi leggibile su “Cronache maceratesi” (leggi l’articolo), per conoscere tutti gli aspetti più interessanti della questione, suscitata dall’ostinazione di Silvano Vinceti che, sfiorando la maleducazione, sfidava la famiglia Leopardi, chiedendole l’esame del Dna, per compararlo con quello dei resti contenuti nel cenotafio di Napoli. La questione sembrava chiusa dalla chiara e obiettiva convinzione di tutti gli studiosi che i resti di Leopardi fossero stati solo simbolicamente sepolti nel cenotafio di Napoli. Giacomo aveva voluto morire a Napoli, dove la convivenza con Antonio Ranieri gli aveva consentito alcuni anni di serenità, e spesso anche di gioia, nell’ambiente napoletano, ricco di stimoli e di aperture.
Giacomo Leopardi impersonato da Elio Germano nel film “Il giovane favoloso”
Oggi invece Vinceti ci riprova, sperando che la confusione che è regnata nel Centro nazionale leopardiano, che da poco ha ritrovato l’alleanza con il Comune, sarebbe stata per lui una buona occasione per riaffermare la tesi di una verifica. Si è alleato questa volta con una ricercatrice padovana, Loretta Marcon, già conosciuta per i suoi ripetuti e affannati tentativi di dimostrare la conversione di Leopardi alla religione alla quale era stato educato nell’infanzia, nell’ultimo periodo della sua vita. Il tentativo della Marcon di accreditare questa sua brillante convinzione con documentazioni ricercate negli ambienti ecclesiastici di Napoli risulta fallimentare, se si leggono gli ultimi Canti di Leopardi con quello spirito laico che ogni critico dovrebbe avere. A mio parere, rimettere in moto una ricerca basata sul confronto tra il DNA degli attuali eredi di Leopardi e quello che è contenuto nella simbolica cassetta del suo cenotafio è soltanto un segnale del modo artificioso e provocatorio con cui spesso procede la cultura televisiva. C’è poca differenza con la bambola gonfiabile della presidente della Camera che Salvini porta con sé, facendo di quella importante figura simbolica oggetto di spregio e di sfregio. La grossolanità di queste imprese dovrebbe essere subito scoraggiata per la dignità della poesia leopardiana, per la dignità del suo creatore, per la dignità dei suoi veri studiosi e ammiratori. Non mi meraviglio che Olimpia Leopardi si sia tanto irritata di fronte a un’azione che può definirsi persecutoria, e quasi di stalking, nei confronti della famiglia Leopardi.
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