di Maurizio Verdenelli
Akhtar Mohammad Mansour è il nuovo emiro dell’Emirato islamico dell’Afghanistan ed è il successore del leggendario Mullah Omar la cui morte -avvenuta due anni fa, a seguito di malattia, secondo l’intelligence afghana- è stata confermata dai Talebani. L’elezione di Mansour sarebbe avvenuta in queste ultime ore a Quetta nell’immediata vigilia di un secondo incontro, previsto proprio per oggi, dopo quello del 7 luglio vicino Islamabad, tra il governo del presidente Ashraf Ghani e i Talebani.
Il vertice per avviare definitivamente il percorso di pacificazione e dunque per eleggere il nuovo parlamento (il voto era previsto entro la scorsa primavera) è stato dunque rinviato anche se c’è ottimismo in quanto il nuovo leader talebano Mansour, così come il Mullah Omar di cui è stato vice, ha mostrato sempre interesse ad un accordo nazionale che faccia dell’Afghanistan un Paese finalmente senza più conflitti. Resi, dopo l’occupazione sovietica, ancora più tragici dopo l’11 settembre 2001, con l’attacco alle ‘Torri gemelle’ quando il mondo conobbe Bin Laden e il Mullah Omar. Prodromi della grande guerra che ha tenuto il Pianeta con il fiato sospeso ad oggi: l’assassinio, due giorni prima dell’attacco a Manhattan, di Ahmad Massoud, il ‘leone del Panjshir’ comandante antitalebano e il 12 marzo dello stesso anno, la distruzione dei due grandi Buddha nella valle di Bamiyan, ad opera dello stesso movimento estremista alla guida allora del Paese.
Avvenimenti epocali di cui è (stato) testimone il maceratese Emanuele Tacconi, 50 anni, inviato Onu. In partenza, domenica, per la Costa d’Avorio dove prenderà parte ad un progetto di sminamento dopo la guerra civile del 2010, Tacconi ci offre testimonianza ed immagini assolutamente eccezionali a conclusione di una lunga missione a Kabul, interrotta dal mancato accordo tra le varie fazioni per l’elezione del Parlamento. “I Talebani controllano fasce del territorio nazionale e naturalmente il loro ‘sì’ condiziona i colloqui di pace. Il voto per il Parlamento che sembrava cosa fatta qualche mese fa, ha infatti conosciuto in rapida successione, un primo rinvio ad ottobre, un secondo per la primavera prossima ed infine un terzo ad ottobre novembre 2016” dice Tacconi, protagonista con il civitanovese Claudio Giulietti, dell’operazione che ha permesso il 21 settembre 2014, a distanza di molti mesi, dell’ elezione del nuovo presidente afghano Ashraf Ghani. “Abbiamo ricontato ottomilioni e quattrocentomila schede, le urne stipate in cinque grandi hangar, le schede elettorali grandi come un foglio formato ‘elefante’ di giornale con decine di candidati, ogni nome accompagnato dalla foto…” ricorda Emanuele che ogni mattina era scortato al ‘lavoro’ da due camionette di uomini armati fino ai denti.
Tuttavia la notizia, da ‘prima pagina’, che l’inviato maceratese ci porta è il graduale ma sicuro recupero delle due gigantesche statue del Buddha nella valle di Bamiyan la cui distruzione precedette agli occhi del mondo la grande tragedia afghana. Nelle foto è infatti visibile la fitta ‘ragnatela’ d’impalcature che ha riempito lo spazio per un’altezza di 38 metri, lasciato vuoto dal Buddha ‘più piccolo’ (antico però di 1.800 anni) rispetto a quello più grande, 53 metri, risalente a 1.500 anni fa. Poco più avanti, un grande basamento grigio ‘nasconde’ i laboratori dei tecnici e degli archeologi dell’Unesco, che ha proclamato dopo la distruzione talebana la valle ‘patrimonio mondiale dell’Umanità’. In quegli spazi, al riparo dal caldo insopportabile della regione, si opera quotidianamente per rimettere insieme i frammenti ritrovati delle due statue millenarie.
Dice Tacconi: “Bamiyan è una bellissima valle nella zona centrale del Paese, a 250 km da Kabul: una città grande che vive bene di agricoltura e che nell’immediata ‘periferia’ ha il vanto di questo sito archeologico antichissimo costituito non solo da quelli che erano i due enormi Buddha ma pure di altre nicchie piccole e grandi affrescate e di ‘alloggiamenti’ dei monaci. Un sito che è diventato all’improvviso un’icona della più tragica storia moderna. L’Unesco ha realizzato ora un museo ed ora c’è un custode, che è pure la guida, a viverci ‘dentro’. Nonostante un piede dolorante per un grave incidente patito poco prima, non mi sono voluto perdere il camminamento interno ai due grandi Buddha: di uno sono rimasti tracce evidenti nella pietra che lo conteneva. L’umanità può dunque compiacersi: un grande patrimonio sta ritornando al suo splendore grazie all’opera dell’equipe internazionale dell’Unesco ‘di stanza’ a Barmiyan”.
Tracce d’Italia? “Tante naturalmente. Uomini e donne operano con sacrificio e pericolo. Quante feste per un’amica carissima rilasciata dopo tre mesi di sequestro! Tuttavia voglio raccontare, per una volta, un episodio che potemmo definire divertente. Un giorno, nel cuore più desertico dell’Afghanistan, ci fermiamo per una bella cena di pesce di fiume. Che ci viene portato, tagliato, arrostito e servito. Perfettamente. Certo, data la situazione non su piatti di ceramica, ma su fogli di giornali. E a me capitò come ‘piatto’ un quotidiano italiano, vecchio di anni, che riportava a nove colonne il processo a Palermo a Giulio Andreotti! E mentre mangiavo quel pesce afghano, rileggendo contemporaneamente quella cronaca, mi sono sentito molto, molto vicino al mio Paese in quel pezzo di mondo lontano da tutto”.
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