di Simonetta Cipriani
Più che mai attuale è il tema del Convegno tenutosi pochi giorni fa ed organizzato dall’Università di Camerino, dal Comune della città e dal Garante dei diritti dei detenuti della regione Marche. In particolare, in questo periodo storico in cui, da un lato, a livello internazionale, Amnesty International denuncia una crescita delle condanne capitali del 15% in più rispetto al 2012; dall’altro, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concesso all’Italia termine fino al 28 maggio per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, che lede il diritto ad una pena non disumana.
E, proprio in questi giorni, il ministro della Giustizia Andrea Orlando è andato a Strasburgo a presentare il pacchetto di misure italiane e ad illustrare il decreto legge “svuota carceri” da poco convertito in legge, la riforma della custodia cautelare, che attende di essere approvata in seconda lettura al Senato, il disegno di legge sulle pene alternative al carcere, oltre ai quattro disegni di legge per amnistia e indulto, che sono in discussione alla commissione Giustizia del Senato per diventare un testo unificato. Si tratta di inziative legislative, lo ricordiamo, scaturite dal famoso messaggio alle Camere del presidente Napolitano. In questo quadro, la riflessione avvenuta a Camerino è stata occasione di approfondimento della dimensione del sistema penitenziario regionale, del significato reale della pena, delle modalità di esecuzione di essa e della funzione del volontariato.
Così, il rettore Flavio Corradini ha spiegato che Unicam vuole essere un veicolo importante, anche sfruttando la piattaforma e-learning, per consentire alle persone che hanno sbagliato di trovare nella cultura, nella formazione e nel diritto fondamentale allo studio un’occasione di crescita umana e personale. Con questo intento, di recente, è stato stretto un accordo con il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e due studentesse della Scuola di giurisprudenza, detenute presso la Casa circondariale di Camerino, stanno conducendo con successo i loro studi. Marco Ruotolo dell’Università Roma III, già docente dell’ateneo camerte, propone che le università collaborino tra loro, predisponendo lezioni base per fornire un’offerta comportamentale ed un’opportunità di cambiamento. Per sconfiggere la criminalità, prosegue, bisogna creare una cultura diversa ed incidere con buone pratiche. Occorre affermare la centralità della persona umana detenuta e favorirne il libero sviluppo della personalità, coniugando funzione rieducativa della pena e reinserimento sociale.
L’art. 27 della costituzione italiana pone il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, da cui consegue il diritto all’esecuzione della pena non disumana. Esso va letto unitamente ai principi costituzionali di riconoscimento dei diritti inviolabili, di eguaglianza e pari dignità sociale della persona. E i rimedi non devono essere solo compensativi ma occorre adottare strumenti preventivi. Le cause del sovraffollamento delle carceri, continua il prof. Ruotolo, sono dovute a scelte legislative in termini di politiche securitarie miopi, come la legislazione sull’immigrazione, sulle droghe, sulle recidive, che hanno inciso fortemente sulla carcerizzazione. Il carcere deve, invece, diventare, estrema ratio. Non a caso l’art. 27 della costituzione declina al plurale le pene che devono tendere alla rieducazione del condannato. E i dati dimostrano che rieducano di più le misure alternative alla detenzione, perché favoriscono il reinserimento sociale. Però la collettività le deve percepire e riconoscere come certe. Solo così si potrà dare un senso alle pene detentive.
In realtà nelle Marche, per la prima volta quest’anno, il sovraffollamento è in calo del 12% con miglioramento della qualità della vita, illustra Italo Tanoni, Ombudsman delle Marche. E ciò sia per motivazioni logistiche, a seguito dei lavori di ristrutturazione delle carceri, come a Montacuto in cui la popolazione carceraria è diminuita di 250 unità, che per la recente legislazione che ha consentito di decongestionare le carceri dal luglio 2013. Ciononostante restano altissimi gli indici di sovraffollamento a Pesaro-Villa Fastigi del 75%, a Fermo con il 71% e a Camerino del 48%. Tanoni lamenta, anche, che la magistratura di Sorveglianza regionale ha dato meno provvedimenti di ammissione al lavoro esterno e permessi premio rispetto ad altre regioni. Ci sono 16 unita operative in meno di polizia penitenziaria rispetto ad una pianta organica risalente a ben dieci anni fa ed il rapporto educatori-detenuti è di 1 a 80, per cui non può esistere un percorso individualizzato di recupero del detenuto. Critica è la situazione della psicologia penitenziaria, che provoca riflessi negativi sulla qualità della vita nelle carceri: ci sono stati due suicidi in quelle marchigiane proprio per mancanza di assistenza psicologica. Senza contare il taglio degli organici.
E prosegue: ci vogliono accorpare con la regione Abruzzo, senza che ci siano i presupposti necessari ma solo per una logica di bieco risparmio. I direttori delle carceri non vengono sostituiti quando vanno in pensione, per cui a dirigere le carceri restano i responsabili di polizia penitenziaria e alcuni percorsi dei detenuti vengono bloccati perché manca questa figura importante. Anche l’ambito degli arresti domiciliari, con il taglio del personale, rischia di collassare. Nelle Marche però funziona il sistema sanitario penitenziario: sono state completate tutte le convenzioni, anche se restano punti d’ombra per la situazione infermieristica, odontoiatrica e per il trattamento dei tossicodipendenti. C’è solo il 3% di lavoro esterno ed è finanziato dalla Regione Marche anziché dallo Stato. Ultimo punto dolente, continua, è l’edilizia carceraria e concorda con il Sindaco di Camerino Dario Conti che la Regione ha subito un vero e proprio scippo per il promesso nuovo carcere, per cui continuerà a battersi, essendo le strutture di Fermo e Camerino, del tutto inadatte a garantire la qualità della vita dei detenuti.
La messa in mora dell’Italia nella sentenza della Corte europea sul famoso caso “Torregiani”, continua Massimo De Pascalis -direttore dell’Istituto superiore di studi penitenziari del Ministero della Giustizia, ha scosso la condizione di diffusa illegalità dell’intero sistema penitenziario, già denunciata dal Capo dello Stato. La riforma del 75 aveva introdotto un nuovo significato della pena: prima con la punizione il reo perdeva la propria identità e prendeva un numero di matricola; dopo, oggetto dell’esecuzione penale è divenuta la persona e la sua consapevolezza. Si è creato il fascicolo del detenuto e la magistratura di Sorveglianza, che può incidere sulla pena modificandone la modalità di esecuzione e la durata. Ma il “diritto vivente”, ci ha consegnato, un fallimento, perché si è dimostrato diverso dal diritto vigente. A seguito della predetta sentenza, l’amministrazione penitenziaria ha cominciato un faticoso cammino di cambiamento, che si riassume in tre parole chiave: “sorveglianza dinamica” ulteriore “revisione dei circuiti penitenziari” e “aperture delle celle”, che devono concepirsi luogo di pernottamento. Ciò per consentire di recuperare un percorso di vita sociale con il lavoro, lo studio, la formazione professionale, il rapporto col mondo esterno e la famiglia, secondo un nuovo modello organizzativo che riconosca tutte le dimensioni della persona. In questo processo di cambiamento diversi attori possono concorrere alla conoscenza della persona detenuta, nuove figure professionali della “giustizia riparativa” e volontari.
Il sistema ci appartiene, esordisce l’arcivescovo di Camerino e San Severino Marche, mons. Francesco Brugnaro, in quanto cittadini e ci vede a vario livello, con competenze diverse e con verifiche democratiche, partecipi senza esserne assolutamente esonerati. Il carcerato chiede il contatto con il giudice, con l’avvocato, con la famiglia. Ha in mente le parole “affettività, lavoro, cultura e istruzione”. Desidera che, quando esce, qualcuno si prenda cura di lui e, soprattutto, ha bisogno di ristabilire relazioni positive con l’esterno. Ma il sistema ci crede poco. E pone l’interrogativo: cos’è il volontariato? Cosa lo anima? Il collante della gratuità. Per sviluppare le potenzialità della persona. Ci sono dei margini di realtà che non può toccare né la legge né l’affettività coniugale, parentale, filiale.. . Quando si parla di libertà, ciò che di più potente e caro l’uomo ha (libertà di tempo e spazio senza i quali non possiamo esistere), occorre sviluppare una cultura della gratuità e coniugarla con la reciprocità, che è il legame fondamentale in tutte le condizioni. E quel “di più”, che può venire dall’esperienza di gratuità nel soggetto che ha infranto le regole della comunità, può risanare il rapporto sociale, economico e via dicendo, con la reciprocità. Recus procus cum significa “e prima e dopo e insieme”. Come il reo chiede benevolenza e comprensione all’operatore carcerario, al giudice ed alla società, e quindi diviene oggetto di gratuità, così lui stesso non può essere esonerato dalla reciprocità, perché altrimenti il dono diventa danno. La gratuità, infatti, continua l’arcivescovo Brugnaro, non è gratis ma ha prezzo infinito. Essa deve colmare l’aspetto umano. E La società civile, con le sue risorse, deve coltivare questo tipo di esperienza per legare colui che ha sbagliato alla coscienza della reciprocità. La verità ordinamentale, cioè, si deve arricchire della verità antropologica, per promuovere la ricchezza della persona, a cui si riferisce la nostra costituzione.
Il regime di gratuità, però, è razionale, se non viene privato della fantasia. Come diceva Galileo, ricorda mons. Brugnaro, “A chi vuole una cosa ritrovare, bisogna adoperar la fantasia” Solo se si è capaci di supporre che le cose non vadano come sono sempre andate, allora si fanno ipotesi. La realtà chiede di cambiare le cose. La gratuità genera, coltiva e si difende attraverso la reciprocità, che permette a tutto ciò che ruota attorno al carcere ed al reo di operare, trascendendo il limite della negatività della persona, che non è rispettata per quello che è. Occorre inventare moduli che generino questo tipo di rispetto e fare in modo che coloro che hanno sbagliato stiano a cuore, prima di tutto, ai cittadini. Ciò permette a chi segue le regole di ricordarsi di continuare a seguirle ed alla persona che ha offeso la legge e la comunità, di assumersi la propria responsabilità secondo le proprie possibilità. Ciò, per ritornare ad essere migliori di prima e non ripiombare nello stesso errore.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati