“I continenti persi” di Alessandro Catà

L'osservazione sensibile della poesia

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Jonata Sabbioni

 

di Jonata Sabbioni

Soltanto chi sceglie la posizione paziente dell’osservatore può apprezzare i lievi cambiamenti della materia, le evoluzioni silenziose dei fenomeni naturali. Alessandro Catà (Porto San Giorgio, 1951) nel suo ultimo libro di versi, Continenti persi (Moretti&Vitali, 2013) sceglie per sé questo ruolo e descrive l’avvicinamento al profondo con l’occhio oggettivo, ancorché impressionato, del testimone scientifico. Proprio come gli scienziati Galileo, Keplero e Newton, citati da Catà nel libro, anche il poeta deve usare un lento sguardo /sul mondo per poter interpretare la teoria delle ambiguità visibili (delle bellezze e delle imperfezioni) e descrivere gli esiti delle proprie ricerche (i vuoti profondi e le nude certezze). La “poetica dell’osservatore”, così presente nella composizione di Catà, contiene anche una riflessione dialettica profondissima, se intendiamo la poesia come elaborazione di senso. L’osservatore rischia un destino da spettatore in-attivo, se non passivo, dinnanzi alla manifestazione del reale (ma anche del meta-reale)? Un dubbio, questo della passività dell’osservatore, che fortemente richiama un tema tipico della letteratura moderna: l’ambivalenza uomo testimone – uomo artefice (si pensi, in merito, alle elaborazioni del romanzo moderno europeo o alla ricerca della poesia esistenzialista). Ecco, allora, che la “poetica dell’osservatore” può davvero ritenersi una buona lente per scrutare il mondo di Catà.

La copertina

La copertina

È proprio questa osservazione, quando si declina nelle diverse facoltà visive dell’occhio, a farsi  essa stessa ispirazione poetica: ad una sensibilità di dettaglio (come di un tecnico di laboratorio che osserva da vicino i fatti) si unisce una visione d’insieme (come di un esploratore che cerca il suo continente perduto…). Di certo, nella dimensione di Catà, esiste la presenza stabile della ragione come punto irremovibile, una sorta di baricentro che, rimanendo fisso sulle cose, consente lo scavo nel reale. L’esattezza e il rigore dei versi sono usati come da chi conosce le conseguenze del “dire” e le teme. Così Catà usa una forma di pudore misurato, costruito con parole selezionate, che segnano il tempo come negli esperimenti di fisica, come nei luoghi dove si osservano i fenomeni del mondo. Quando Catà nomina Friedrich Hölderlin (nel titolo della poesia Equinozio) possiamo intuire il riferimento a tutte le ragioni che inducono al movimento dalle certezze dogmatiche al verso così frequentemente inquietato. La tentazione è quella di vedere altro e oltre, e di continuare a cercare per comprendere che non si può essere unicamente “veri” (citando lo stesso Hölderlin: “Vedo che il dolore che porto così spesso con me è la necessaria espiazione delle mie pretese…”).

Nella prima sezione del libro (Il punto più lontano dall’acqua) un soggetto altro, un tu dialogico, partecipa delle suggestioni materiche di una visione estesa, non mediata (senza medium). In liriche quasi sempre brevi (i 2/3 delle poesie del libro sono composte da meno di 15 versi), il topos della verità che viene dall’osservazione delle cose presenti, attuali nel tempo e attuate nel reale, rivela un metodo di poetica credibilissimo. Il poeta cerca il colore /dell’altro lato /delle cose poiché si affida all’osservazione della realtà presente, attuale nel tempo e attuata nello spazio. E può disporre di un mezzo stra-ordinario e potente: le parole (la parola), infatti, risultano sempre all’altezza delle cose.

Come scrive Milo De Angelis nella postfazione del libro, Catà intende dimostrare che “la parola deve compiere un lungo cammino prima di venire alla luce, un cammino di varianti, riprese, correzioni, blocchi, silenzi”.

È il percorso del procedere attento, puntuale, faticoso, ad anticipare la forza del messaggio (è lo stesso Catà, nell’introduzione intitolata Lo stupore della parola in me nasce da lontano, ad affermare: “La composizione di una poesia è un viaggio lungo e pericoloso”). Il poeta può arrivare all’esito esistenziale quando solo sa scomporre il gesto poetico in “un nucleo iniziale, intimo e intenso, generalmente imprecisato” e “l’istante in cui la poesia si conclude giungendo alla sua verità” (citando ancora Catà).

La seconda sezione, L’aria che tu chiamavi cielo, è la più estesa (24 liriche). In essa si coniugano un linguaggio sfuggente, ardito, quasi criptico, a rifermenti della tecnica scientifica (materia, forma, struttura, macchine). La funzione di questa scrittura pare essere la ricerca del nucleo dell’essere scrivente, della testimonianza. Infatti:

Regrediremo […] a un nucleo perfetto di veleno /dove «la neve è bianca» / se e solo se / la neve è bianca.

Ma può insinuarsi un dubbio, un’incertezza, una titubanza umana dinnanzi a questo sforzo di ricerca? Il poeta risponde allo smarrimento  che viene dal tempo che trascorre, dalla perdita del senso della memoria, non con la rassegnazione ma con l’accettazione di una verità (soggettiva, come ogni verità) e in forma di exemplum:

Sembrava definitivo / l’orizzonte di Napoleone /a Sant’Elena  / e invece cresceva enorme / il numero delle cose nuove.

Se siamo finti/ perché lontani dalla vera luce saranno le tracce di senso lungo scene/ isolate, a stabilire per sempre l’intento di questa condizione osservante.

Anche quando si tratta di descrivere la solitudine, la poesia di Catà sceglie un racconto analitico, lucido, descrittivo. Uno stato d’animo vigile guida la descrizione dell’indicibile: e così si legge, ad esempio, nella prima delle due prose (Studio per solitudine) che costituiscono la terza sezione del libro (Due continenti persi, a dare il titolo all’intera raccolta), che

Ricevo il male direttamente, come un insetto paralizzato, impazzito…

oppure, sul mistero amoroso:

Ho confuso l’amore con i sospiri di un pozzo di sirene, con i lamenti di un nodo avvelenato.

Troviamo nella prima parte della quarta e ultima sezione (Estate) un’affermazione potente sul volere dell’espressione poetica. Il poeta può dire, riferendosi alle convinzioni mondane (del mondo e dei numeri/ enormi di questo nostro tempo), che

Le carte geografiche puntavano/ verso l’inesplorato/ evocavano favole/ della terra.

In questa stessa ultima sezione, l’immagine delle figure manichino (metafora dell’immobilità esistenziale) si associa a quella delle stagioni che vivono mantenendo la staticità della natura. Questa apparente indifferenza naturale contiene in sé la rivelazione di un’immortalità della storia, indipendente dalla vita (nelle sue manifestazioni)… Infatti da sé si incidono i segni/ nel palmo della mano e “la verità” è  lontana dalle voci dove /finisce un paese.  E quando

Alla fine/ le scene intermedie crollano/ non c’è più tempo per/ le verande nemmeno un vetro/ tra te e le cose.

Il libro si chiude (la seconda parte dell’ultima sezione) con una piccola camera dell’arte, una kunstkammer intima. Si tratta di un atelier di nove piccoli quadri, descrizioni pittoriche di momenti, pennellate liquide a comporre ritratti, autoritratti, aberrazioni / intense, divagazioni. Sapendo che la scena può sì ossessionare, ma è dietro le spalle che si consuma il tempo, il poeta dispone i suoi oggetti come se potessimo guardarli attraverso una lente, un grandangolo distorcente eppure rivelatore, in cui tutte le figure piccole /sul fondo divengono parte di uno spazio più interno, più esatto, più nascosto.

POESIA-Catà

Alessandro Catà

Alessandro Catà è autore dei libri di poesia Blocco riassunto (Corpo 10, Milano 1991), L’ordine del respiro (La Vita Felice, Milano 2007), delle raccolte brevi Giant Steps (Officina di Poesia, Milano 2011), Estate (Officina di Poesia, Milano 2011), L’aria che tu chiamavi cielo (Quaderni de La Luna, Fermo 2012), Due continenti persi (Officina di Poesia, Milano 2013). Ha pubblicato la prosa Ascoli (Marte, Colonnella 2008), con foto di Mario Dondero, e l’antologia poetica La luce (Ila Palma, Palermo 2000), con scritti del filosofo Giorgio Baratta. Nel 1991 e nel 1994 ha curato, per le edizioni Trifalco di Roma, due antologie poetiche sui temi della Notte e del Viaggio. È autore di scritti e installazioni scientifiche riguardanti la natura e la misura della velocità della luce. Insegnante di Fisica, vive a Porto San Giorgio.



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