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Dalla finestra – Carlo Bo

Il ricordo di un maestro nelle parole di un grande poeta

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Francesco Scarabicchi

 

di Francesco Scarabicchi

“La poesia è permanente posizione di vita e il suo futuro si consuma nell’aspettazione di una verità”. Ho trovato questa frase di Carlo Bo (Sestri Levante, 1911 – Genova, 2001) molto tempo fa e l’ho conservata perché a me sembra la nuda ed estrema voce di una vocazione che, nonostante i lunghi anni della vita, le esperienze, gli incontri, i libri, l’intimità, al nudo e crudo conto dell’esistere dice quel che forse definisce Bo meglio e più segretamente di ogni altra espressione plurale. In una terribile intervista del 1991 (“Tuttolibri”) fra l’altro afferma: “Quando sarò morto, qualcuno mi chiederà: «Che cosa hai fatto della tua vita?» «Ho letto» è l’unica cosa che posso dire. Il bene non l’ho fatto, e sono qui che passo da un sigaro all’altro. […] La sera, quando vado a letto e attraverso tutta la casa piena di libri, mi chiedo che cosa dicono, che cosa resta di tanta festa dell’ingegno. Accetto con dolore l’idea che possa scomparire tutto. Così con gli amori: col passare del tempo non si ricorda più nulla, né il volto né il nome[…] Alla fine resta solo il bene che uno può fare, e io non l’ho fatto.” Il capitolo marchigiano occupa una parte cospicua dell’opera critica di Bo e il volume Città dell’animaScritti sulle Marche e i marchigiani (2000) ne contiene tutte le venature e i sentieri. Sarà lui, nel ’48, ad accompagnare i primi versi de Il ramarro di Paolo Volponi, a seguire i passi di Egidio Mengacci, Ercole Bellucci, Renzo De Scrilli, Umberto Piersanti, Eugenio De Signoribus. Sarà Bo ad occuparsi, ad esempio, della poesia della resistenza che Valerio Volpini editerà nel ’56. A Bo sarà affidata l’introduzione a Scrittori marchigiani del Novecento che Carlo Antognini curerà nel ’71 per Bagaloni costituendo un primo, insuperato confine per capire e riconoscere l’identità storica, letteraria ed umana di questa regione plurale. Sempre Antognini, nel 1976, ospiterà nelle Edizioni L’Astrogallo i saggi di Aspettando il vento che include una sezione consistente sui libri e sugli autori delle Marche. Una lunga attenzione, una lunga dedizione discreta grazie alla quale le Marche stesse entreranno nello sguardo ampio della cultura italiana là dove Bo definirà l’apporto e il valore degli autori di questa terra appartata. Le ore dedicate alla poesia e ai poeti sono dimora di una inquietudine che patisce l’attesa: ogni isola d’autore è un’isola di speranza e di nulla. In quell’isola, la presenza del lettore si connota, sempre, dei tratti di una insolita umiltà per lui che regnava non solo dalle torri del ducato del Montefeltro (dal 1947). La statura intellettuale e politica contrastava con l’estrema ed indifesa misura di chi, ogni volta, si consegnava arreso alla poesia, forse davvero innocente sulla riva di chi possedeva il dono di comporre “scie sull’acqua”, lungo il sentiero “che mai si tornerà a percorrere” (Antonio Machado). C’era un filo di luce in quella notte che il destino aveva lasciato calare su di lui, nel solco di Leopardi, nella fedeltà a Urbino e ai luoghi delle quattro province di quello che definiva “il paese dell’uomo”.



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