di Walter Cortella
Tra le numerose iniziative messe in atto per celebrare il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Teatro del Sorriso di Ancona ha pensato bene di portare sulla scena «In nome del Papa Re», tratto dall’omonimo film di Luigi Magni e lo spettacolo, nell’adattamento di Antonello Avallone e con la regia di Giampiero Piantadosi, è stato recentemente riproposto nello splendido teatro La Rondinella di Montefano, un vero piccolo capolavoro di architettura e di eleganza. Siamo nella Roma del 1867, governata con mano forte dall’allora pontefice Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti. La città è in fermento, stimolata dalla notizia che Garibaldi sta marciando, alla testa dei suoi volontari, alla volta di Roma. Le aspettative da parte dei patrioti italiani sono notevoli perché forte è il desiderio, dopo la caduta della Repubblica Romana, di unificare la nazione italiana e di proclamare Roma capitale, tassello mancante alla conclusione dell’ambizioso progetto. Sotto una tale spinta emotiva, il popolo romano insorge per facilitare l’ingresso nella città delle truppe garibaldine attestate nei pressi di Monterotondo e Mentana e porre fine, così, al potere temporale dei papi. Ma Pio IX può fare affidamento sull’aiuto dei soldati francesi inviati da Napoleone III, sicché le guardie pontificie riescono con facilità a reprimere nel sangue i tentativi rivoluzionari dei patrioti romani, per lo più giovani pieni di speranze e dotati di grande ardore. Tra di essi ci sono molti elementi appartenenti alle classi meno abbienti, ma non mancano giovani rampolli della nobiltà cittadina. Di fronte a tanto ardimento, la repressione dei papalini è feroce e molte sono le vittime delle rappresaglie. Una delle più sanguinose viene compiuta ai danni di un lanificio di Trastevere. È la goccia che fa traboccare il vaso. I ribelli assaltano la caserma degli zuavi, ma un tradimento porta tre di essi in carcere. Il loro destino è segnato: subiranno una condanna esemplare, non c’è dubbio. Bisogna ristabilire in città l’ordine e la legalità e i tre ragazzi sembrano essere i giusti capri espiatori. In questo clima di ferocia reciproca, emerge la figura tormentata e inquieta del cardinale Colombo, giudice della Sacra Consulta, interpretato dallo stesso Piantadosi. L’alto prelato ha avuto in gioventù una fugace relazione con la contessa Flaminia Costa (Paola Pasquini) dalla quale è nato il piccolo Cesare (Alessandro Marini), affidato per ragioni di opportunità alle cure di una popolana (Orietta De Grandis). E quel bambino è proprio uno dei tre attentatori rinchiusi nelle segrete papaline. Il cardinale Colombo, in preda ad una profonda crisi dovuta alla inattesa paternità, tenta l’impossibile per evitare che i tre condannati cadano sotto la mannaia del boia.
Disperata è la sua opposizione al potere della Chiesa rappresentata dal papa e dal collegio dei cardinali, un potere già accantonato dalla storia e ormai in fase di inarrestabile declino. È il solo difensore di una causa persa e per non avallare una decisione che in coscienza non può condividere, preferisce abbandonare il tribunale e i giovani vanno incontro al loro tragico e ineluttabile destino: Cesare viene ucciso dal conte che lo scambia per l’amante di sua moglie, gli altri due ragazzi muoiono sul patibolo.
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