“La scrittura”

Nona puntata della rubrica “Il grande quaderno” dedicata al mondo della scuola

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grande-quadernodi Maria Luisa Lasca

I grandi finestroni dell’aula sapevano di novembre grigio e di matite spuntate. La professoressa di italiano aveva appena dettato il titolo del tema per la verifica intermedia del primo quadrimestre. Il ragazzo dalla capigliatura leonina, vicino alla lavagna, aveva cominciato subito a scrivere, una penna per lancia, un foglio per campo e il pensiero libero, un Don Chisciotte nelle corse contro il vento. Per la sua Dulcinea avrebbe scalato il paradiso, rubato la luna, trovato tesori negli abissi più profondi. La penna andava oltrepassando con l’intuizione i limiti del foglio e con la fantasia i muri dell’aula. In fondo si trattava solo di un foglio bianco, pronto ad assorbire il flusso di acque concitate e a tracciare solchi di vissuto, riempiendo cuori vuoti. Nelle uniformità che attendevano di essere plasmate, il fuoco dei pensieri bruciava attraverso le emozioni, ceppi nel camino dell’inverno, “personali verità” venivano alla luce per essere lette e ascoltate. La sua dama Dulcinea gliene sarebbe stata grata, lei schiva e riservata avrebbe avuto attraverso la condivisione di un sistema di segni codificati l’omaggio alla essenza intrinseca della sua persona: la libertà. Il tema era ispirato infatti alla libertà.

La campanella suonò e il ragazzo consegnò il compito alla professoressa, soddisfatto per ciò che definiva “il cantico di un essere libero” e curioso di vedere che reazione avrebbe suscitato non tanto nei compagni, ma nella docente. Passò soltanto una settimana e ci fu la restituzione degli elaborati agli studenti per informarli dei risultati. Ansioso il ragazzo prese tra le mani il foglio e lesse: contenuto originale e personalissimo, forma corretta, pur risentendo del pensiero divergente che caratterizza il contenuto, grammatica e ortografia buone. Voto complessivo sette. Il ragazzo deluso per non essere stato compreso nell’esplosione del suo magma  creativo, chiese spiegazioni alla docente. In fondo il tuo tema è buono, ne puoi essere soddisfatto, la valutazione matematica è di sette perché nella vita, oltre ad espressioni di spontanea libertà e creazione, ci deve essere il posto per l’apprendimento di regole e tecniche nelle quali le prime trovano la loro canalizzazione. Sorridendo tra sé lo studente se ne tornò a posto, pensando al fanciullino del Pascoli e allo stato dell’io bambino di Eric Berne, la cui teoria era stata esposta dall’esperto  durante la lezione sulla psicologia del comportamento.

Il ragazzo dalla capigliatura leonina, nell’esprimere i suoi pensieri attraverso la scrittura, ha come antenato l’uomo che con una pietra appuntita tracciava disegni su pareti rupestri, quello che con uno stilo su supporti nel tempo diversi, cera, pergamena, papiro, carta, attribuiva dei segni ai suoi pensieri comunicandoli ai suoi simili. L’oralità, cioè la trasmissione a voce dei tesori culturali a un certo punto non basta più, c’è bisogno di comunicare, nel tempo e nello spazio, di conservare gli ordinamenti più importanti, attinenti alla vita  civile, politica, religiosa e economica. Si sente l’esigenza di una memoria scritta: nasce la tecnologia della scrittura. Tutto ciò avvenne all’incirca a partire dal terzo millennio avanti Cristo e il pensiero ne fu profondamente ristrutturato.

Certamente la scrittura è vissuta come un cambiamento importante, si vedano le critiche che il filosofo Platone fa nel Fedro: la scrittura è disumana, distrugge la memoria, è inerte e non può difendersi, è farmaco, rimedio e veleno a un tempo.  Nel magnifico La chiave a stella, libro consigliabile a tutti i ragazzi in cerca di orientamento, perché racconta la bellezza e la felicità del lavoro, anche Primo Levi si pone il problema, in questi termini, accorati e sinceri: … La carta è un materiale troppo tollerante. Le puoi scrivere sopra qualunque enormità e non protesta mai.  Non fa come il legname delle armature nelle gallerie di miniera, che scricchiola quando è sovraccarico e sta per avvenire un crollo. Nel mestiere di scrivere la strumentazione e i segnali d’allarme sono rudimentali: non c’è neppure un equivalente affidabile della squadra e del filo a piombo. Ma se una pagina non va se ne accorge chi legge, quando ormai è troppo tardi, e allora si mette male. Anche perché quella pagina è opera tua e solo tua, non hai scuse né pretesti, ne rispondi appieno.

Allora che fare, se non scrivere responsabilmente, sapendo che altri leggeranno e valuteranno. Si spiega così il grande lavoro che gli scrittori e poeti fanno  sulle loro opere. Che dire del manoscritto originale di A Silvia, custodito nella Biblioteca Nazionale  di Napoli, a quell’indugiare del Leopardi sul modo giusto, in termini etici ed estetici, di dire ricordi che diventa prima  sovvienti  poi rammenti per giungere al definitivo e famoso Silvia rimembri ancor. In questo caso il manoscritto ci aiuta a capire la genesi di un esito di qualità, registra in sé le correzioni, i cambiamenti, le varianti.

La scrittura è come un’ombra che ci segue e varia nel tempo, a seconda degli stati d’animo, dei disagi psicologici o fisici, tanto che i grafologi ricostruiscono dal tratto, dalla pressione e da altre caratteristiche, aspetti della personalità dello scrivente. Cosa diversa è la scrittura al computer che riproduce anonimamente i segni, senza essere contaminata nella sua neutralità da quegli aspetti emotivi che animano la scrittura manuale. Forse è questa la ragione per cui i ragazzi chiedono, alla vigilia di una prova importante, una penna nuova, particolare, che lasci un’orma più profonda ma senza macchiare, sul foglio di protocollo con timbro che assorbirà l’inchiostro mantenendo l’anima  fiduciosa dello studente.



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