di Giancarlo Liuti
Per l’esercito dei diplomati è tempo di scegliere l’università e i giornali danno spazio a graduatorie sul prestigio, l’autorevolezza e l’efficienza degli atenei italiani. La qual cosa, fatte salve la competenza e la buona fede degli esperti che le stilano, non manca, in teoria, di una certa utilità diciamo orientativa. E’ dunque accaduto che in una classifica pubblicata dal “Sole 24 Ore” l’università di Macerata si è piazzata male: cinquantaduesimo posto. Immediata la reazione del rettore Luigi Lacché, secondo il quale il metodo seguito non è corretto perché privilegia le università a indirizzo scientifico e penalizza quelle a indirizzo umanistico. Ma pochi giorni dopo la “Repubblica” ha dedicato tre pagine a un’operazione analoga da cui siamo venuti a sapere che Macerata è al quindicesimo posto fra tutte le università e sale all’ottavo fra quelle di medie dimensioni. Soddisfatto, stavolta, il rettore: “Viene confermata la qualità del nostro ateneo e ristabilito quell’ordine naturale che da sempre lo vede in un’ottima posizione a livello nazionale e regionale”. Aspettando ora una terza classifica, forse del “Corriere della Sera”, o una quarta, forse della “Stampa”, rimaniamo in ansiosa attesa di conclusioni che per Macerata saranno positive o negative secondo la proverbiale imperscrutabilità del grembo degli dei. Maglia rosa, maglia verde, maglia nera. E’ il Giro d’Italia degli atenei.
Ma perché queste forti discrepanze? Dipende dalla diversità dei parametri. Che per il “Sole 24 Ore” sono i talenti, l’attrattività, la dispersione, i tempi di laurea, l’affollamento e i fondi per la ricerca, mentre per la “Repubblica” sono i servizi (mense, alloggi, impianti sportivi), le borse di studio, le strutture (aule, biblioteche, laboratori), l’internazionalizzazione e il web. Insomma, sarebbe come se un medico verificasse lo stato di salute dei propri pazienti basandosi solo sulla funzionalità epatica e sulla pressione arteriosa, mentre un altro desse importanza solo alla percentuale dei globuli rossi e all’analisi delle urine. Con parametri sempre diversi, infatti, viene a mancare quel minimo di oggettività per cui una qualsiasi rilevazione o ricerca merita di rientrare nell’ambito della scienza e non della mera opinione. Ma oggigiorno, purtroppo, questo confine si è sfilacciato. L’importante è distinguersi, sorprendere, fare notizia, alimentare dibattiti, suscitare polemiche. Uno più uno fa due? No, troppo banale. Per ottenere un bel titolo di prima pagina bisogna dire che fa tre.
Così, pur continuando ad avere una clientela di tutto riguardo, la professione dei maghi (chiromanti, cartomanti, fattucchieri) viene fortemente insidiata da quella dei cosiddetti esperti (economisti, sociologi, psicologi delle masse) che operano nei campi più disparati delle attività umane. In entrambi i casi ci si basa su specifici strumenti di conoscenza, che per i maghi sono le linee delle mani, le figure dei tarocchi e i riflessi delle sfere di cristallo, mentre per gli esperti sono le statistiche, le indagini demoscopiche, i sondaggi, la lettura dei bilanci statali e aziendali. La differenza sta soprattutto nel fatto che il lavoro dei maghi riguarda singoli individui, mentre quello degli esperti si riferisce a intere categorie sociali, a nazioni, a continenti e, in una parola, al mondo. Una ulteriore differenza sarebbe che il mestiere degli esperti dovrebbe basarsi sui dati oggettivi del presente, il che risulterebbe di grande utilità per aiutare le genti a farsi un’idea chiarificatrice della complessità della vita reale. Ma è irresistibile in loro la tentazione d’impegnarsi anche nell’ardua impresa di prevedere il futuro e questo finisce per renderli simili ai maghi, talvolta con annunci così catastrofici da provocare crolli di borsa, terremoti istituzionali, rivoluzioni, guerre.
Prendiamo le agenzie di rating come la Moody’s, la Standard & Poor’s e la Ficht. Fondate e gestite da privati, esse formulano giudizi sulle condizioni finanziarie dei vari paesi assegnando voti – dalla A alla B, come nelle graduatorie dei campionati di calcio – che condizionano fortemente le scelte politiche dei governi, tanto da poter dire che li guidano, i governi, o addirittura che li governano. Alla domanda se sia accettabile che gruppi privati abbiano più potere delle pubbliche istituzioni, la risposta non consente obiezioni: questo è il mercato, signori. E amen. Ma se tali agenzie, che ovviamente non possiedono la virtù divina della preveggenza , finiscono per sbagliare? E se per certi loro interessi – il mercato, il mercato! – sbagliano perché vogliono sbagliare? Pazienza. Nel settembre del 2008, ad esempio, certificarono la piena affidabilità finanziaria della banca d’affari Lehman Brothers, che pochi giorni dopo fallì e divenne una delle cause della devastante crisi economica in cui l’Occidente si sta ancora dibattendo.
E i pareri degli esperti non piovono soltanto sull’economia. Al contrario, piovono su tutto, me, voi, noi, famiglie, popoli, specie umana, l’oggi, il domani, il dopodomani. Un giorno stabiliscono quanti anni ci restano da vivere, un altro quali sono i nostri desideri, un altro se esiste ancora l’amore, un altro se crediamo in Dio, un altro se siamo felici. Un giorno ci dicono che l’università di Macerata sta fra le prime dieci d’Italia, un altro che sta fra le ultime sessanta. I pareri, già. Una volta un cronista chiese al celebre economista John Maynard Keynes quali fossero le sue previsioni sull’andamento dell’economia mondiale nel lungo periodo. Lui sorrise, allargò le braccia e disse: “Nel lungo periodo saremo tutti morti” Altri tempi, altri esperti, altri giornali.
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Caro Giancarlo Liuti,
questa malattia dei sondaggi e delle classifiche è odiosa, fastidiosa, insopportabile. Ha ormai invaso tutti i campi del nostro quotidiano, da quello basso a quello altissimo (come può esserlo l’Università).
“Canzonissima” almeno era abbinata alla Lotteria Italia, che qualcuno felice l’ha fatto davvero. Qui invece è un gioco al massacro, un rilancio di un auditel virtuale più che virtuoso. Ma chi l’ha detto che le categorie di valore europee si adattano alla cultura e alla civiltà italiane? Chi l’ha detto che dobbiamo uniformare anche il nostro talento maggiore (la cultura, l’arte, il genio italiano) a quello dei fratelli continentali? Come diceva Miro Tulli – esagerando di proposito, ma nemmeno troppo per gioco – “dovrebbero lavorare e pagarci per non lavorare e concepire arte e cultura per loro”.
Alcuni anni fai, partecipai per dispetto a uno “Slam Poetry” organizzato da Lello Voce ad Ancona. Sai cos’è uno Slam Poetry, giusto? E’ – lo preciso per chi non lo sapesse – un’americanata applicata a quella poesia per la quale, in Italia, hanno perso la vita persone come Pagnanelli, Pavese, Pasolini, etc. Una canzonissima per aspiranti poeti, una piccola immane tragedia degli equivoci, dove le palette alzate del pubblico o fischi e mordacchie decretano il vincitore sulla base di un testo o due letti.
Ancora una volta, l’indice di gradimento. Che abilmente confonde le acque, intorbida il brodo, sposta la cultura su una natura oltremodo deturpata, vieppiù abbrutita. E se in Russia il poeta, l’artista, sono ancora una figura sacerdotale, una vox populi, qui diviene di giorno in giorno sempre più il giullare di corte. Anzi, no: quello vero muore. Quelli falsi abbondano, si moltiplicano come funghi, educano il lauro delle autoreferenzialità con certosino accanimento, forti dell’auditel.
Quindi, visto che la musica è andata in c. da tempo (grazie alla tv) e la letteratura non gode di buona salute, salviamo l’ultimo tempio simbolico rimasto (nonostante le pastette da una parte e gli assalti gelminiani dall’altra). O ci ritroveremo totalmente in braghe di tela.
Bravo Professore, ben detto!
Ogni mattina leggo dal barbiere
tutti i sondaggi della settimana.
Li metto in evidenza in fila indiana
perché sono voglioso di sapere
di quanto differiscon detti dati
tra l’uno e l’altro quanto a risultati.
In questa confusione generale
un dato solamente è arcisicuro,
ci sorbettiam l’inchiesta del giornale,
anche se scambia lepre con paguro.
Corriam di qua e di là dietro il miraggio,
diamo ragione cieca a quel sondaggio
che più risponde, come fotocopia,
al pensar nostro, a convinzione propria.
Per parte mia, m’ha preso la paura
che a forza d’ingollare ‘ste zozzure
mi perdo piano piano la misura
che fà distingue il dritto e le storture.