
L’avvocato Giuseppe Bommarito
di Giuseppe Bommarito
Diffusione del virus Hiv e l’Aids nelle Marche, il dirigente medico del reparto di Malattie infettive dell’ospedale Murri di Fermo, Alberto Licci, specialista di malattie infettive e tropicali, fa il punto su queste infezioni e su quanti sono oggi i casi. «Sono in diminuzione ma il rischio di infezione è ancora presente e non si può essere soddisfatti perché si potrebbe abbattere del tutto. Nuove infezioni, tasso più alto tra 16 e 35 anni. Prevenzione? Si può utilizzare la terapia antivirale preventiva (PrEP)».
Dottore, può ricordarci in due parole, cosa è l’infezione da Hiv, cosa provoca e come si può arrivare dall’Hiv all’Aids?
L’infezione da Hiv (Human Immunodeficiency Virus) è un’infezione virale umana, causata da un virus a progressione lenta e pressoché asintomatica, che ha come bersaglio il nostro sistema immunitario, le nostre difese contro altre infezioni. Quando, dopo anni di attività, il virus ha distrutto la maggior parte dell’immunità dell’organismo colpito, allora abbiamo l’Aids (Acquired ImmunoDeficiency Sindrome) che è la sindrome da immunodeficienza acquisita, un insieme di segni e sintomi legata all’aggressione di microorganismi (opportunisti) che approfittano della caduta del muro di difesa del sistema immunitario. Questo virus ha inoltre la capacità, stimolando il sistema immunitario, di provocare delle alterazioni ematologiche che possono evolvere in leucemia.

Il medico Alberto Licci
Le diagnosi da infezione da Hiv sono in aumento in Italia rispetto agli anni passati? E l’Aids?
Le nuove diagnosi di infezione da Hiv in Italia negli ultimi 10 anni si sono lievemente ridotte e così le diagnosi di Aids, raggiungendo oggi, rispettivamente, circa 4-6 persone su 100mila l’anno e meno di 1 su 100mila persone/anno. Tuttavia il rischio di infezione è ancora presente e non da sottovalutare, così come la presenza di persone che si rivolgono alle strutture sanitarie troppo tardi, solo quando sono sintomatici per patologie legate alla sindrome da immunodeficienza: Aids.
Disponiamo di dati riferiti alle Marche?
Nelle Marche l’andamento generale è simile a quello nazionale con le nuove diagnosi di Hiv che si attestano a circa 2-4 su 100mila persone/anno e le nuove diagnosi di Aids ancora sotto a 1 caso su 100mila persone/anno. Numeri che non possono ancora confortare, perché grazie a delle corrette politiche di informazione e prevenzione si potrebbe abbattere il rischio di nuove infezioni e conseguentemente di nuove diagnosi di Aids.
Qual è l’incidenza delle infezioni da Hiv sui giovani, distinguendo tra maschi e femmine e intendendo per giovani persone dai 16 ai 35 anni?
In questa fascia di età tra i 16-35 anni, le nuove diagnosi di infezione di Hiv in Italia sono relativamente più alte raggiungendo circa i 4,5-6,2 casi per 100mila persone/anno, con una prevalenza per il sesso maschile. Circa il 75% delle nuove diagnosi di HIV sono attribuibili a persone di sesso maschile. Se consideriamo però la sola trasmissione eterosessuale, la percentuale delle nuove diagnosi nel sesso femminile sale fino al 35% e si riduce a circa al 65% nel sesso maschile.
Perchè i giovani sono così colpiti dall’infezione da Hiv?
I motivi di questa aumentata frequenza di infezioni nella popolazione giovanile sono da ricondursi prevalentemente ad una scarsa se non nulla informazione su prevenzione e cura, con una riduzione delle iniziative di sensibilizzazione che non sono omogenee in termini di politiche sanitarie territoriali e di educazione alla salute. Sarebbe auspicabile al più presto una collaborazione tra sistema sanitario e sistema educativo scolastico, omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Quali sono le cause prevalenti di infezione da Hiv?
L’infezione da Hiv oggi è trasmessa soprattutto per via sessuale, quella eterosessuale è la prevalente, anche se quella omosessuale maschile resta ancora la più importante nel genere maschile. Terza ma non meno importante la trasmissione per via ematica, tramite l’utilizzo di droghe per via endovenosa.
Perché l’infezione da Hiv viene diagnosticata spesso tardivamente? Quali sono le conseguenze di tali ritardi?
Il ritardo di diagnosi dell’Hiv è spesso da collegare alla scarsa informazione, alla non consapevolezza della possibilità di fare un test semplicissimo, anonimo e che dà un risultato in pochissimo tempo. D’altra parte esiste anche una paura, legata ancora allo stigma, alla vergogna di potere essere considerati dei “malati” inguaribili. Fare il test Hiv, al contrario, permette di conoscere il proprio stato di salute e porre rimedio ad un’infezione curabile, se presa in tempo.
Quante persone muoiono ogni anno in Italia e nelle Marche a causa dell’Aids?
A causa del ritardo di diagnosi dell’infezione di Hiv, la mortalità per Aids in Italia è stata di circa 500 persone l’anno, mentre nelle Marche è inferiore ai 20 decessi all’anno. Sarebbero tutte morti evitabili se si intervenisse prima con una corretta informazione e quindi con una diagnosi precoce.
L’assunzione di droga tramite siringhe infette è ancora un veicolo importante di diffusione dell’infezione da HIV, come negli anni passati?
Se consideriamo la trasmissione dell’Hiv negli anni ’90 era prevalente tra chi utilizzava le droghe endovena, circa il 31% delle nuove diagnosi. Negli ultimi 10 anni questa percentuale si è drasticamente ridotta a circa il 3%, parallelamente però alla riduzione dell’utilizzo di droghe endovena, in particolare eroina. Alla luce di questo tuttavia non c’è stata un’attesa ulteriore riduzione, per cui l’utilizzo di droghe endovena resta ancora un’importante fattore di rischio. Le stime in Italia ci parlano di circa 600 casi di Hiv su 100mila persone/anno che fanno uso di droghe endovena, ben superiore rispetto ai 4 casi su 100mila della popolazione generale.
I rapporti sessuali come causa di infezione da HIV come possono essere percentualmente ripartiti tra omosessuali maschi ed eterosessuali?
La via di trasmissione sessuale tra omosessuali maschi è decisamente quella con maggior incidenza di nuove infezioni rispetto a quella dei maschi eterosessuali, in particolare per fattori di natura anatomica: la zona anale è più soggetta a traumatismi e quindi più facilmente sanguinante. Circa il 38% delle nuove infezioni sono contratte per via sessuale Msm (maschi che fanno sesso con maschi), mentre il 30% circa avviene negli uomini per via eterosessuale.
Che cosa è il “chemsex” e perché è una causa di insorgenza dell’infezione da Hiv?
Chemsex è un’abbreviazione anglosassone che sta per Chemical Sex. Altro non è che l’utilizzo di sostanze psicoattive per avere minore inibizione nelle attività sessuali. Sono spesso dei mix di droghe assunte prevalentemente per via orale o inalatoria, che aumentano l’eccitazione, riducono l’inibizione e nello stesso tempo provocano rilassamento. I problemi dopo l’utilizzo di queste sostanze sono molteplici, iniziando dalla dipendenza (non posso più fare sesso senza), il periodo “post-sbornia” con frequenti attacchi di tipo ansioso e non infrequente depressione, gli effetti collaterali di molte di queste sostanze, come insufficienza respiratoria e coma, e, non ultimo, l’incremento di pratiche che espongono a rischi infettivi per malattie sessualmente trasmesse, Hiv compreso.
Perché negli istituti penitenziari l’infezione da Hiv è molto diffusa?
La percentuale di persone con infezione da Hiv negli istituti è più alta rispetto alla popolazione generale. I motivi sono da ricercarsi nella tipologia della popolazione carceraria, spesso composta da persone marginalizzate che sono più esposte ai rischi correlati alla trasmissione dell’Hiv. Il frequente utilizzo di sostanze d’abuso per via endovenosa, lo scambio di siringhe infette, l’utilizzo di aghi per fare tatuaggi all’interno degli istituti penitenziari e infine, ma non per ultimo, il sesso non protetto sono strettamente legate all’incremento dell’incidenza di Hiv. Scarsa conoscenza e informazione sono comunque alla base dell’aumento della percentuale di sieropositivi nel campione carcerario. Esiste poi una problematica connessa alla difficoltà diagnostica per motivi organizzativi dell’assistenza sanitaria e di sovraffollamento all’interno delle carceri, rendendo difficili le possibilità di prevenzione di questo tipo di malattie infettive negli istituti penitenziari,
Esiste oggi una maggiore prevenzione nei rapporti sessuali tramite l’uso del preservativo? È vero che tale forma di prevenzione riguarda maggiormente i rapporti tra omosessuali maschi?
Il preservativo resta ancora una delle pratiche di prevenzione più efficaci nel prevenire la trasmissione sessuale dell’Hiv e anche di altre malattie sessualmente trasmesse come la Sifilide, la Gonorrea e l’infezione da Chlamydia, patologie infettive le cui diagnosi sono in incremento negli ultimi anni. La popolazione omosessuale maschile sembra essere in alcuni studi più attenta all’utilizzo di sistemi di prevenzione, che, a parte il profilattico, prevedono l’utilizzo di farmaci antivirali assunto allo scopo di prevenire l’infezione da Hiv, la cosiddetta Prep (Pre Exposure Prophylaxis)
Esistono vaccini contro l’infezione da Hiv?
Purtroppo a distanza di oltre 40 anni dall’inizio dell’epidemia di Hiv non ci sono ancora vaccini per prevenire questa né per debellare questa infezione una volta che ci si è presi l’Hiv. Sono numerosi attualmente gli spunti della ricerca e sono stati fatti passi enormi: ad esempio è possibile localizzare la posizione esatta in cui l’Hiv inserisce le proprie informazioni per auto-replicarsi nelle cellule bersaglio. Queste sono ottime notizie che fanno sperare che ci potrà essere una soluzione nei prossimi anni. D’altra parte però sappiamo che, in particolare negli Usa, sono stati tagliati i fondi alle ricerche su nuove tecniche vaccinali per motivi non razionalmente comprensibili, rallentando la corsa a possibili soluzioni, compresa quella dell’epidemia Hiv.
Di Aids ancora si muore. Esistono terapie salvavita? C’è stata negli anni un’evoluzione a livello terapeutico?
Di Aids si muore ma l’Aids adesso può essere evitato. Ci sono stati dei notevoli miglioramenti nella terapia antivirale dalla fine degli anni ‘80 ad oggi. Basti pensare che i regimi terapeutici attualmente prevedono, nella maggior parte dei casi, l’utilizzo di una singola compressa che mantiene il virus non rilevabile nel sangue (anche se presente in altri distretti corporei), interrompendo la possibilità di trasmissione del virus, permettendo nel contempo un recupero e un mantenimento del proprio sistema immunitario, con effetti collaterali dei farmaci assenti nella maggioranza dei pazienti o comunque controllabili. Inoltre sono a disposizione anche terapia infusive a lunga durata d’azione che evitano al paziente l’assunzione orale e quotidiana della terapia, questo migliora molto la qualità di vita. L’importante è comunque fare una diagnosi tempestiva e, qualora ci sia una positività al test Hiv, affidarsi al centro di Malattie Infettive della propria ASL per iniziare un percorso di cura.
Può dare alcuni consigli essenziali a livello di prevenzione e di terapia?
I consigli che posso dare sono questi: nel caso di persone che si espongono a pratiche sessuali promiscue o che hanno più partner durante un breve periodo di tempo, utilizzare la terapia antivirale preventiva (PrEP), disponibile presso i centri di malattie infettive, sempre e comunque usare il preservativo; nel caso di esposizione a materiale biologico a rischio per Hiv (es. rapporto sessuale non protetto con persone con Hiv possibile o noto, scambio di siringhe o aghi contaminati da sangue visibile) rivolgersi ad un Pronto Soccorso per una visita infettivologica ed eventuale terapia antivirale post esposizione, la cui efficacia è massima nelle prime 24 ore dopo l’evento a rischio; fare sempre il test per conoscere il proprio stato di positività o negatività all’Hiv, sempre quando si ha un nuovo partner e comunque sarebbe ideale una volta all’anno; per chi è venuto a conoscenza del proprio stato di sieropositività, è opportuno che avverta i partner sessuali e che si rivolga il prima possibile ad un centro di malattie infettive per valutare il proprio stato immunitario e iniziare una terapia efficace. Ricordo infine che prendersi cura di sé stessi è il primo passo per una prevenzione efficace.
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In cryptis ubi secreta murmurant,
Vaccini ortus, summa custodita.
Investimenta vasta, a luce celant,
Ut in mercatu retineant acumen.
Nullus medicus hic audet refragari,
Ius protegere quod firmae donant.
At cum pecuniae resecantur abire,
Trumpi edicto audaci ostenso,
Clamores surgunt, ira tumescit,
“Irratio!” exclamant et vociferant.
Ubi tamen vox, cum vela trahuntur,
Et data celant donec fides perit?
Paradoxon in nomine scientiae,
Ubi lucrum ludit umbratile ludum.
Si veritas inclinet divitiis,
Quid ducit manum quae genus servat?
Nne li laboratori ’ndo li secreti bofonchia,
Er vaccino nasce, ’na somma ben guardata.
L’investimenti grossi, da la luce se scosta,
Pe’ tené er vantaggio ’n del mercato la lotta.
Nisciu’ medico qua se azzarda a di’ de no,
Ar diritto de protegge ciò che l’imprese dà.
Ma quanno li sordi se tajano via,
Co’ l’editto de Trump che se mostra ardito,
Strilli se leva, la rabbia s’ngrossa,
“Irrazionale!” urlano e fanno bordello.
Ma ’ndo sta la voce quanno li veli se tira,
E i dati se nasconno finché la fede sparisce?
’N paradosso ’n nome de la scienza,
’Ndo er guadagno gioca ’n gioco d’ombra.
Se la verità s’abbassa ar potere der denaro,
Che guida la mano che salva ’r genere umano?
Per Franco Pavoni
Il suo sonetto coglie in pieno il palese gioco politico ed economico che sta dietro alla storia dei vaccini.
Basti pensare al vaccino contro la cocaina e il crack, che, dopo decenni di danni al genere umano (contraccambiati da guadagni illeciti enormi), specie quello dalle caratteristiche più vulnerabili, solo adesso comincia a produrre qualche vaga e timida sperimentazione sui topi.
Certi vaccini sono timidi, altri sfacciati.
Roscellino (XI secolo) filosofo medievale era un nominalista. Per lui, gli universali non esistono come realtà concrete: sono solo parole (in latino flatus vocis, un “soffio di voce”). Ad esempio, dire “vaccino” è solo un nome per raggruppare farmaci diversi per sicurezza e efficacia ma non c’è una vaccinità che esiste da qualche parte come entità a sé. All’opposto del nominalismo c’è il realismo, che sostiene che gli universali esistano davvero, magari in un mondo delle idee (come pensava Platone) o come essenze presenti nelle cose (Aristotele). Per i realisti, la vaccinità è qualcosa di reale che accomuna tutti i vaccini non solo un nome. Lacan dice che gli universali sono segni, cioè strutture simboliche che organizzano il nostro modo di pensare e parlare. Per Lacan, il linguaggio (il “Simbolico”) è ciò che dà senso alla realtà: concetti come “vaccino” o “università” esistono nel nostro inconscio e nella cultura come simboli che strutturano il desiderio e l’identità.
Franco Pavoni coglie e ricoglie sempre in pieno, è un vero cecchino.
I sostenitori dei tagli, incluso Trump, affermano che i programmi DEI possano promuovere un’agenda ideologica (spesso definita “woke”) che non sempre si traduce in benefici tangibili per la ricerca medica o il bene pubblico, tuttavia da noi è passato il messaggio di un Trump folle che combatte la ricerca scientifica.
Da noi i messaggi arrivano parecchio ciancicati, Pavoni, adatti a come parecchio ciancicati siamo noi.
Kennedy come ministro della Sanità sta bloccando i vaccini mRNA ai bambini e fa indagare la sicurezza degli altri vaccini. L’Associazione USA dei Pediatri ripete invece che i vaccini Covid mRNA vanno dati dai 6 mesi in su. Ma sul loro stesso sito ringrazia gli sponsor, cioè Pfizer, Merck e le altre case pharma che pagano poi i pediatri per vaccinare i bambini.
Qualcuno dica che Pavoni è terrapiattista, come ai bei tempi, sennò mi viene la crisi d’astinenza.
Andrew Huberman (Stanford Medical School) racconta che il suo caro amico, professore di neurochirurgia e probabilmente uno dei più grandi neurochirurghi della storia, gli ha detto che “più della metà” delle informazioni presenti oggi nei libri di testo di medicina sono del tutto false.
Ottimo articolo. Grazie all’ Avv. Bommarito e al Dr. Licci per aver affrontato questo argomento, troppe volte ignorato. L’ educazione alla salute e alla prevenzione rimane ancora un miraggio. Le AST, le scuole e gli altri enti faticano a trattare il tema HIV e la prevenzione dalle infezioni. Si fatica ancora di più ad educare ad una vera prevenzione dalle tossicodipendenze. E’ giunto il momento di creare un tavolo di lavoro e progettare percorsi che affrontino queste tematiche. Speriamo che da questo articolo scaturisca una seria riflessione e si intraprenda la strada più adeguata.