La presentazione della mostra. A destra il curatore Antonello Tolve con la contessa Olimpia Leopardi
di Alessandra Pierini
Chissà se il “purissimo azzurro” evocato da Giacomo Leopardi nella sua famosa lirica La Ginestra è quello della Misura della memoria di Giulia Napoleone o magari è quello del drappo di viscosa con bruciature di fuochi d’artificio, opera di Sabine Delafon. Ancora, potrebbe essere l’azzurro del cappello che indossano i sette (come gli “anni di studio matto e disperatissimo”) Pinocchietti realizzati da Deborah Napolitano che dal pavimento della biblioteca guardano con terrore i volumi negli scaffali o il colore della Vespa rappresentata nell’opera “Facciamo finta di niente” di Mrdjan Bajic o forse quello della penna Bic usata da Giuseppe Stampone per i suoi quadri.
Olimpia Leopardi
Quello che è certo è che tutte queste opere disseminate nel primo piano di Casa Leopardi a Recanati fanno rivivere il grande poeta, i suoi familiari e le sue stanze che continuano a «produrre cultura – ha detto la contessa Olimpia Leopardi – Questo non vuole essere un museo granitico ma un luogo vivo. Ogni generazione ha diritto di fare degli errori, noi facciamo quello che ci sembra più giusto», ha concluso lanciando uno sguardo complice alla figlia Diana al suo fianco. «Il nostro Paese testimonia arte e bellezza – ha detto ancora – e ogni luogo della cultura ha la sua missione; spero che Casa Leopardi possa aiutare a diffondere il concetto leopardiano di social catena, inteso come fratellanza, necessità di sostenersi tra uomini e, insieme, volgere lo sguardo alla Natura».
Da sinistra Diana Rufini Leopardi, il sindaco di Recanati Antonio Bravi e Olimpia Leopardi
E’ con questo spirito che è nata la mostra “In purissimo azzurro”, la seconda del Ciclo intervalli, che, inaugurata questa mattina, da domani al 7 gennaio 2024 animerà la Biblioteca Leopardi. Una mostra che ha riportato alla luce nei ricordi anche Ratatouille, una sorta di happening che la contessa Olimpia Leopardi organizzò nelle vie del borgo chiamando a raccolta amici artisti da tutta Italia nel 1989. «Un’esperienza memorabile – ricorda la contessa – che organizzai perché una persona mi aveva predetto che avrei vinto se avessi vinto al lotto, io che non avevo mai giocato in vita mia. Così fu. Vinsi tre milioni».
La mostra comprende 21 nomi dell’arte, nati tra gli anni Venti e Novanta del secolo scorso che vedono nell’ “odorata ginestra” leopardiana, “contenta dei deserti”, una chiara indicazione di resistenza alle sfide dei tempi. Curatore è Antonello Tolve che ha magistralmente condotto i primi ospiti, gli artisti e le artiste presenti in un viaggio tra le opere: «È una esposizione circolare ma si può girare e rigirare per trovare qualcosa di nuovo. Una mostra capace di dare al visitatore emozioni in più, che si aggiungono a quelle che già si provano all’interno di un luogo straordinario come questo».
LA MOSTRA – E’ un percorso intermittente e avvincente, un viaggio visivo e critico che richiama alla memoria alcuni luoghi leopardiani per creare suggestioni, riflessioni, cortocircuiti costruttivi tra immagine e parola.
Sin dall’inizio della sua visita lo spettatore ha modo di incontrare alcune opere già nei pressi delle cucine – Giuseppe Ciracì con sei lavori (il più grande è Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude), Ulrich Egger con Leerstand, Ciro Vitale con un libro di cera e resina su cui si legge Or tutto intorno una ruina involve, i Minus.log con due Windows – e lungo il corridoio che porta alla prima sala, dove ci sono un nucleo di progetti che riflettono su Leopardi e sul suo pensiero. Qui troviamo, dopo due evocazioni fotografiche di Giusy Calia, il lavoro di Enrico Pulsoni sui VoltiTravolti tra i quali è possibile scorgere la firma di Giacomo Leopardi, un prezioso disegno di Giuseppe Stampone, un drappo di Sabine Delafon installato su una finestra per far filtrare una luce quasi di stelle, una serie di sanpietrini rivestiti all’uncinetto da Miho Tanaka e una storica poesia visiva di Lamberto Pignotti (Super Leopardi del 1965).
Tra la seconda e la terza sala il percorso presenta Nodi quasi di stelle di Deborah Napolitano (una serie di raffinati pinocchietti metallici con cappellino azzurro che cercano di fuggire o sono affascinati – finanche terrorizzati – da qualche volume della biblioteca), alcuni eleganti volatili e fiori in bronzo di Fabrizio Cotognini (il titolo complessivo dell’opera è Hybridatio Mundi) e, nell’alcova, una struttura a forma piramidale – 02023080 del 2020 – che evoca la «cresta fumante» del Vesuvio, a firma di Sebastian Contreras.
Mrdjan Bajic, Facciamo finta di niente
Dopo le due sale sacre della biblioteca, lasciate immacolate e senza alcun intervento artistico, lo spettatore può inciampare in Facciamo finta di niente di Mrdjan Bajic, chiaro richiamo a quel “secol superbo e sciocco” che Leopardi ammonisce, smentendo la visione dominante di fiducia nel progresso e nel futuro. In questa stessa sala, nelle teche che ospitano alcuni storici scritti leopardiani, ci sono tre poesie visive realizzate da Lamberto Pignotti nel 1975. Una carta di Naoya Takahara che richiama alla memoria alcuni disastri dell’umanità (The Blu Planet) e una meravigliosa Pietra filosofale di Vettor Pisani, concentrazione del pensiero che da plumbeo volge verso l’aurea verità delle cose, abitano lo studio di Monaldo Leopardi, mentre, nell’ultima sala, accanto a Constellation di Paolo Canevari, a Above the clouds di Matthias Kostner, a un leporello di Carla Iacono (Speculum Alchemiae) e a una installazione (due foto e una scultura) di Julia Krahn dalla serie SIRENS, troviamo uno straordinario olio su tela di Giulia Napoleone, la Misura della memoria XXII (2012).
Lamberto Pignotti, Super Leopardi
Nodi quasi di stelle
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