La conclusione della rievocazione storica in piazza della Libertà
La firma dell’atto di fondazione
di Marco Ribechi
(Foto di Fabio Falcioni)
Un corteo capeggiato dal nobile Rustico detto Lo Tignoso e un altro al seguito del vescovo Liberto di Fermo. Uno proveniente dalla chiesa di San Filippo Neri, nell’area del Castrum Maceratae e l’altro che sale da Palazzo Buonaccorsi dove un tempo c’era Poggio San Giuliano. L’incontro, 880 anni dopo l’evento storico, in piazza della Libertà, di fronte a San Paolo, per la firma del documento che conferì a Macerata lo stato di libera città. «Chi non lo onora svanisca come il fumo, perisca come la cera sul fuoco, sia la perdizione la sua via e su di lui vegli l’angelo della vendetta». Con queste parole scritte nell’atto di fondazione conservato negli archivi di Fermo il 29 agosto del 1138 i due castelli presenti sul colle di Macerata decisero pacificamente di unirsi in un’unica realtà ponendo le basi per l’attuale città. Tanti i cittadini curiosi che ieri hanno assistito alla prima rievocazione storica scandita al ritmo dei tamburini e seguita da danze medioevali, duelli di spada e uno spettacolo sui trampoli della Compagnia dei folli di Ascoli.
Il corteo del vescovo di Fermo
Insieme all’amministrazione maceratese anche i rappresentanti dei comuni gemellati Issy Les Moulineaux in Francia, Weiden in der Oberpfalz in Germania, Floriana a Malta, Kamez e Gjirokaster (non gemellato ma in stretta collaborazione) in Albania. «Questa celebrazione si deve a un’intuizione del vicesindaco Stefania Monteverde – dice il sindaco Romano Carancini – che ha collegato la data della lapide apposta nel cortile comunale con i tradizionale festeggiamenti di San Giuliano». Nel pomeriggio infatti durante un convegno affollatissimo, con circa 150 ascoltatori, il professor Giammario Borri ha esposto le ricerche del centro Studi Maceratesi che hanno portato alla ricostruzione della fondazione di Macerata. «Delio Pacini di Mogliano fece una tesi nel 1963 e studiò gli archivi di Fermo per oltre 40 anni – spiega Borri, identificando la firma dell’atto costitutivo nel 29 agosto e non nel primo settembre come recita la lapide. L’errore è dovuto a una interpretazione errata delle fonti, spesso illeggibili». Nel 1138 a Macerata erano presenti due castelli: «Uno dipendeva da Fermo e l’altro probabilmente da Camerino – continua Borri – Alcuni studiosi come Ciarrocchi, Libero Paci e Compagnoni identificano la Terra de Maceratinis nella zona di Santa Croce mentre studi più recenti di Mariella Troscè la pone molto più vicina al Poggio San Giuliano. Questa tesi è verosimile poichè non si attestano scontri tra le due fazioni che invece sembra abbiano vissuto fianco a fianco pacificamente e per questo si unirono con rispetto e comunanza».
Dopo Borri è la volta del giornalista Ugo Bellesi che racconta le abitudini alimentari del tempo: «Grazie al commercio con la Sicilia arrivano colture tipiche dell’Egitto e dei paesi più orientali come zucchero, lenticchie, fagioli dall’occhio e riso – spiega Bellesi – altri ingredienti sono arrivati con la scoperta dell’America. In ogni caso la città era soggetta alla coltivazioni limitrofe, se c’era una carestia non si poteva provvedere con derrate provenienti da altre zone e per questo moltissime famiglie avevano orti e persino animali come polli e maiali che allevavano dentro le mura». Curiosa la presenza di cuochi celeberrimi, delle vere e proprie superstar. «Nel 1600 si iniziava a riconoscere la cucina regionale e nelle Marche c’erano quattro cuochi famosissimi, Lancellotti e Mattei di Camerino, Latini di Fabriano e Nebbia del maceratese. Latini quando andò in pensione ricevette dal signore di Napoli titoli nobiliari e possedimenti, i suoi scritti fecero scuola per tutto il ‘700». Nei primi ricettari non si specificavano le quantità poichè ogni famiglia le conosceva già in base al numero dele bocche da sfamare. Inoltre si usava un coperchio rovente per la cottura da “sopra” che oggi non si pratica più. «Poichè non si contavano i minuti – conclude Bellesi – i tempi di cottura erano scanditi in Ave Marie o Pater Noster». La rievocazione, che di fatto ha aperto i festeggiamenti del santo patrono, vuole essere una data zero da sviluppare ogni anno con nuovi studi e curiosità sulla storia della città. Particolarmente frequentata la piazza nonostante la visuale fosse riservata solo alle prime file a causa della poco felice disposizione delle transenne e dello spazio di azione dei commedianti, incoveniente che ha costretto molte persone a rinunciare allo spettacolo e andarsene.
I rappresentanti dei comuni gemellati durante la rievocazione
Il corteo dei signori del Castrum Maceratae
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Auguri Macerata, ma non li dimostri davvero.