Giuseppe Giunchi con il presidente della Repubblica Saragat e Christiaan Barnard, il chirurgo sudafricano assurto a fama mondiale per aver praticato il 3 dicembre 1967 il primo trapianto di cuore della storia della medicina
di Alessandro Feliziani
Nel dizionario biografico dei marchigiani il suo nome ha un posto di rilievo e non perché sia stato medico personale di presidenti della Repubblica e di pontefici, ma per essere stato uno dei maggiori infettivologi del ‘900, autore di un “Trattato di malattie infettive” ancora attuale e altre centinaia di testi scientifici, molti dei quali dedicati alle patologie dell’apparto respiratorio. Questo illustre marchigiano è Giuseppe Giunchi, nato a Recanati nel 1915 e morto improvvisamente a Roma nell’estate del 1987.
Nel trentennale dalla scomparsa lo stimato clinico sarà ricordato giovedì prossimo (28 settembre) a Roma con un convegno nella sala “Giuseppe Giunchi” del dipartimento di medicina clinica de La Sapienza, l’università dove aveva insegnato a lungo ricoprendo per diversi anni anche la carica di prorettore. L’iniziativa è stata presa dallo stesso ateneo romano, d’intesa con il Centro Studi Marche che Giunchi aveva sostenuto nei primi anni di attività e che oggi è a lui intitolato.
A ricordare la figura e l’opera del famoso cattedratico saranno il rettore Eugenio Gaudio ed altri docenti delle facoltà di medicina e chirurgia, tra i quali diversi allievi di Giunchi, che aveva iniziato ad insegnare a La Sapienza negli anni ’60, dopo essere stato – pur vivendo già a Roma – docente negli atenei di Sassari, Siena e Perugia.
Nel 1962 Giunchi viene nominato medico personale di Antonio Segni, che in quell’anno è eletto al Quirinale. Anche i due successivi presidenti delle Repubblica, Giuseppe Saragat e Giovanni Leone, lo confermano nell’incarico. Nel 1974, poi, mentre Leone era ancora in carica, Giunchi viene anche chiamato a coadiuvare il medico personale di Aldo Moro. Accade quando lo statista, all’epoca ministro degli esteri, durante un viaggio negli Stati Uniti per incontrare il segretario di Stato americano Henry Kissinger, accusa un malore che lo costringe ad anticipare il suo rientro in Italia. Nel 1981, all’indomani dell’attentato a Giovanni Paolo II, Giunchi – che già ricopriva da alcuni anni in Vaticano l’incarico di presidente della consulta medica presso la congregazione per la causa dei Santi – diventa anche consulente medico del pontefice.
Nel convegno di giovedì prossimo a Roma, Massimo Ciambotti, presidente del Centro Studi Marche, ricorderà Giunchi per i suoi forti legami con le Marche, dove ha ricoperto anche un ruolo politico ed amministrativo. Per ben sedici anni, infatti, è stato sindaco di Serravalle di Chienti. Nel paese dell’entroterra maceratese, Giunchi e sua moglie, Amelia Mastelloni, originaria del posto, vi tornavano da Roma ogni fine settimana. A Serravalle Giunchi univa i suoi doveri di sindaco alla “missione” di medico. Oltre a sbrigare in municipio le incombenze del mandato, infatti, nella sua villa di Dignano – ricorda ancora oggi Venanzo Ronchetti – visitava gratuitamente i concittadini che si rivolgevano a lui. Eletto per la prima volta nel 1964, Giunchi fu riconfermato primo cittadino di Serravalle per i successivi due mandati consecutivi, terminando la sua esperienza politica nel 1980. Si deve a lui, tra l’altro, la costruzione del nuovo municipio progettato gratuitamente dal famoso architetto Pier Luigi Nervi.
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Il prof.Giuseppe Giunchi soccorse il presidente Segni dopo il malore che lo colpì durante un colloquio con il presidente del Consiglio Moro e il ministro degli Esteri Saragat, somministrando dosi massicce di cortisone. Egli capì subito le gravissime condizioni di Segni che furono per mesi nascoste nelle loro reali dimensioni e fu testimone di un clima teso e drammatico al Quirinale, visto che l’ictus fu l’epilogo di uno scontro verbale durissimo con Saragat (si parlava di nomine diplomatiche sullo sfondo delle manovre quirinalizie con De Lorenzo e l’Arma dei Carabinieri), il quale Saragat, poi eletto presidente al posto di Segni,secondo alcune ricostruzioni, si sarebbe spinto anche oltre(Gero Grasso, nel convegno al Claudiani organizzato mesi addietro dall’on.Manzi e da Angelo Sciapichetti, disse: “fece il gesto di mettergli le mani al collo”). Quel colloquio del 7 agosto ’74 pare fosse stato registrato dal Sifar.
Quanto al malore di Moro nel ’74, durante un’altrettanto drammatica visita negli Usa come ministro degli Esteri, è ancora controverso se sia trattato di un vero sbalzo pressorio (alcuni riferirono di valori fino a 300) o comunque di un malessere in cui si sommarono rabbia, depressione e stanchezza per la piega presa dai colloqui con Ford e Kissinger anche a causa dell’atteggiamento improprio e accomodante tenuto dal presidente Leone, o se invece si sia trattato della classica malattia diplomatica per sottolineare il dissenso dalla situazione e sottrarsi agli ulteriori impegni di agenda con Leone e gli americani. Oggi si può anche ipotizzare che Moro abbia colto l’occasione di un vero ma piccolo malore per rientare a Roma, dando magari un segnale e togliendosi contemporaneamente di impaccio. Il medico personale di Moro Mario Giacovazzo assicurò alla Commissione Moro nell’ 83 che di vero e importante malore si era trattato, coinvolgendo direttamente Giunchi e sostenendo che egli era al corrente della situazione.
Giacovazzo e Giunchi rispuntano fuori nella fotocopia di un manoscritto di Moro durante la prigionia delle Br indirizzato alla moglie Eleonora, ritrovata nel ’90 in via Monte Nevoso: “Spero che l’ottimo Giacovazzo si sia inteso con Giunchi”. Sull’interpretazione dell’enigmatico passaggio si sono esercitati in tanti, Gotor e Mastrogregori tra gli altri,e non mancano i tentativi di collegare quell’accenno al viaggio in Usa del ’74 ma forse quel riferimento andrebbe piuttosto collegato al tentativo originale e minuzioso, ambizioso e disperato di Moro di provare a tessere dalla sua prigione una tela di trattativa e di collegamento che necessitava anche di interlocutori e messaggeri fidati.
Giunchi fu un grande mio maestro dell’Università di Roma ed insieme al Rettore Eugenio Gaudio frequentevo le sue indimenticabili lezioni. Quando tornai nella Chirurgia dell’Ospedale di Macerata (nel 1981) consultai la casistica operatoria del nosocomio dagli anni 30 in poi e con grande stupore scoprii che il dott. Giunchi durante la guerra, da sfollato, era chirurgo nell’ospedale di Macerata dove eseguì 3 appendicectomie.