di Maurizio Verdenelli
L’Italia ricorda il ‘Principe della risata’ nel cinquantesimo della morte avvenuta il 15 aprile 1967. Ed allora il ricordo del cronista non può non riandare a due episodi, fondamentali sull’arte e la vita di Totò. Due incontri avvenuti negli anni 90 nel Maceratese. Il primo, nel ’92, a Montecosaro, 25 anni fa in occasione dell’anniversario della morte del grande comico. Era una sera e nel suo palazzo, Paolo Marinozzi, un collezionista che sarebbe diventato celebre per questo hobby nutrito sin da bambino, aveva organizzato un evento cui aveva dato la denominazione di ‘Totò a Montecò’ con gadget ed ampia documentazione. Fu quella la prima pietra di un percorso lastricato di successive tutte stelle e che avrebbe portato alla realizzazione nel giugno 2011 del ‘Museo a pennello’, dedicato alle locandine e agli oggetti cult della cinematografia. L’inaugurazione avvenne in grande stile con Claudia Cardinale, e Marinozzi non dimenticò naturalmente Antonio De Curtis, da cui era nato tutto. Nella card ufficiale dell’evento il ‘faccione’ irregolare di Totò disegnato a mò di tavolozza con relativi pennelli: non si trattava in fondo di un museo dedicato ai bozzetti originali dei ‘pittori’ del cinema?
E torniamo al 1992. A Palazzo Marinozzi mi trovai di fronte a Liliana De Curtis in compagnia di una giornalista di ‘Gente’, sua amica ed autrice della biografia di Totò che in quei mesi veniva pubblicata con successo. Liliana, grazie anche alla presenza e alle battute del fotoreporter del ‘Messaggero’, Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni, si sentiva completamente a proprio agio. Io ero l’unico cronista che quella sera sembrava aver aderito all’invito di Marinozzi (non come adesso dove troupe e gruppi di cronisti vengono passati al setaccio all’ingresso del museo da un rigoroso servizio d’ordine!) e la figlia maggiore di Totò, rispose senza problemi ad una domanda ‘privata’. Che le posi nel corso della visita del palazzo e delle antiche dipendenze di proprietà del collezionista montecosarese. Che eredità Le ha lasciato suo padre? “Una di tipo spirituale, specialissima, che ricordo ogni volta e che mi aiuta infallibilmente. ‘Lilià – mi disse- quando le cose vanno male, ricordati: una bella pernacchia: è infallibile!”
Paolo Marinozzi fu poi adeguatamente ‘premiato’ per la sua iniziativa (che vide Liliana De Curtis ricevuta ufficialmente in Comune) attraverso la stabile amicizia, nel nome do Totò, con Renzo Arbore. Che in Rai realizzò trasmissioni in memoria del Principe della Risata: in una di queste venne invitato lo stesso collezionista marchigiano. In occasione di questo cinquantesimo anniversario, Arbore ha promosso un’altra bella iniziativa per onorare la memoria del grande comico napoletano: l’università ‘Federico II’ ha infatti accolto l’appello dello showman e conferirà oggi mercoledì una laurea honoris causa in Discipline della Musica e dello Spettacolo in memoria di Antonio De Curtis.
Appena qualche anno più tardi, a Morrovalle, durante i giorni del Natale, al termine di una visita al Museo internazionale dei Presepi, nei suggestivi sotterranei del convento degli Agostiniani, e nel corso della successiva cena in un ristorante nel centro storico, presenti l’allora sindaca Sara Giannini e dal fondatore del museo don Eugenio De Angelis -che ricordo sempre in ansia per il futuro della sua ‘creatura’ nata per la grande passione che aveva per la Natività e che l’aveva portato a collezionare oltre 500 presepi da tutto il mondo. L’ospite d’onore era la più grande attrice marchigiana: la splendida Valeria Moriconi, cui Jesi (dov’è deceduta nel 2006, a 74 anni) ha dedicato meritoriamente un teatro. Ero accanto a lei e non dimenticai il mio mestiere: i presepi di don Eugenio l’avevano conquistato e così pure il centro storico della città amata dal poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli nel nome della Cencia, la marchesina Roberti il cui palazzo s’affaccia proprio sulla piazza che ospita i presepi. Valeria, a 23 anni, nel 1954 aveva esordito nel grande cinema popolare proprio in uno dei film cult interpretati da Antonio De Curtis: ‘Miseria e Nobiltà’ diretti dal più importante dei registi d’allora, il tolentinate Mario Mattoli. Ne approfittai per ‘interrogarla’.
Che tipo era il principe Antonio De Curtis sul set? “Mi trattava come una figlia: del resto interpretavo la parte di Pupella, la figlia di un amico che viveva in casa insieme con lui: il protagonista, Felice Sciosciammocca, uno scrivano sempre affamato. In quella casa, secondo la trama di Eduardo Scarpetta da cui veniva tratto il copione, c’era una compagnia eterogenea dove con Felice, separato, c’erano la nuova compagna, il figlio, i miei ‘genitori’. Tutti in bolletta, nera, nerissima”.
E Totò? “C’è da dire che lui era l’ultimo erede geniale della commedia dell’arte e quindi nei film inventava al di là del copione. In modo continuo: non solo battute ma pure escamotages, colpi scenografici ad effetto…”.
Accadde anche in ‘Miseria e Nobiltà’? “Certo e sopratutto. La ricorda la scena quando in casa, il clan Sciosciammocca affamato, si butta senza ritengo sulla pastasciutta saltando tutti su sedie e tavolo?”
E’ uno dei quadri più famosi della storia della cinematografia italiana post guerra… “Ricorderà allora che la pastasciutta ‘fumava’ nelle tasche di Totò? Non è perché la produzione l’avesse tirata fuori in quel momento dall’acqua bollente: no, gli spaghetti erano freddi, freddissimi…”
Allora? “A Totò era venuto in mente all’istante, per rendere ancora più credibile e divertente la scena, di mettersi in tasca degli zampironi che dunque ‘cuocevano’ moderatamente gli spaghetti, facendoli fumare. Geniale!”.
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