di Maria Luisa Lasca
Tra agio e disagio si snoda la nostra vita, nella ricerca del benessere, stato che, secondo la definizione dell’Oms, attiene all’individuo integrale, psiche e corpo insieme. Qual è l’agio, nell’attualità, in cui la crisi, le tensioni, le paure spesso immotivate e i pregiudizi verso il diverso da noi richiedono uno sforzo aggiuntivo di vigilanza per lo star bene proprio e altrui? In questa nostra epoca, oscillante tra umanitarismo e respingimento, il benessere, che si nutre anche di equilibrio interiore, sembra sfuggire a molti. Inclusione, il concetto che dovrebbe, se attuato, garantire pacificazione e consapevole coesistenza tra persone diverse, è termine difficile, di lusso: occorrono mezzi, organizzazione, mentalità attrezzate e adeguate. Più spesso conosciamo e sperimentiamo il contrario, l’esclusione. Scegliamo allora il termine tolleranza, che ha una sua storia consolidata a partire da Erasmo da Rotterdam, tra i primi ad aprire il dibattito su questo valore, fino a Locke e Voltaire, che diedero contributi fondamentali allo sviluppo dell’idea di tolleranza. Tra i materiali a disposizione per la conoscenza, base della riflessione e personale valutazione delle situazioni, il Grande Quaderno fa riferimento a un classico, il Trattato sulla tolleranza di Voltaire, del 1763, e al saggio di un contemporaneo, La grande migrazione di Enzensberger, del 1993. Questi testi possono essere utilizzati in ambito educativo, per la chiarezza nella presentazione di questioni che sempre più oggi vengono poste all’attenzione, creando impatto emotivo.
Voltaire nel suo Trattato scrive “ La tolleranza è una conseguenza necessaria della nostra condizione umana. Siamo tutti figli della fragilità: fallibili e inclini all’errore. Non resta, dunque, che perdonarci vicendevolmente le nostre follie”. E ancora “Il diritto all’intolleranza è dunque assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; e anzi ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi”. Peraltro il concetto di ospitalità, sacro per le culture classiche, assume il livello più alto allorché Voltaire osserva “Gli ateniesi avevano un altare dedicato agli dei stranieri: agli dei che non potevano conoscere. Vi è prova più forte non solo di indulgenza per tutte le nazioni, ma anche di rispetto per i loro culti?” Enzensberger, scrittore e saggista tedesco, considera “Ogni migrazione provoca conflitti, indipendentemente dalle cause che l’hanno determinata, dagli scopi che si prefigge, dal fatto che sia spontanea o coatta, dalle dimensioni che assume. L’egoismo del gruppo e la xenofobia sono costanti antropologiche che precedono ogni motivazione.” E ancora “Quanto più tenacemente una civiltà si difende da una minaccia esterna, quanto più si chiude in se stessa, tanto meno alla fine ha da difendere. Quanto ai barbari, non è necessario aspettarli alle porte della città. Sono qui da sempre”.
Ai tempi dell’immigrazione, i concetti di agio e disagio sono messi in discussione. Spesso i progetti interculturali partono dall’approfondimento dei Principi Fondamentali della nostra Costituzione, in particolare l’art. 2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, in uno stato ove, come recita l’art. 3, “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Le visioni del mondo, nel libero occidente, possono essere diverse, nutrite di studi classici, storici, antropologici, economici e giuridici e di esperienze personali. Nello scambio culturale le idee si confrontano, mitigando le asperità, in un’ottica di tolleranza reciproca. Scrive ancora Enzensberger “Nessuno emigra senza una promessa”, a ricordare l’aspirazione di ogni uomo ad un agio più sicuro per la propria vita, in cui ognuno di noi si riconosce, nella storia personale, degli avi, o in quella degli altri.
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