di Filippo Ciccarelli
(foto di Guido Picchio)
Sono passati dieci anni dalla morte di Carlo Urbani, medico nativo di Castelplanio, scomparso in Asia dopo aver identificato quella polmonite atipica, conosciuta come SARS, che si stava diffondendo a macchia d’olio in estremo oriente. Era il 29 marzo 2003 quando l’infettivologo morì a Bangkok, dopo aver contratto lo stesso virus che aveva isolato in Vietnam: nonostante fosse perfettamente consapevole del rischio che correva, Urbani rimase ad operare sul campo, tra gli ammalati e i più bisognosi, scelta che aveva già intrapreso poco dopo aver iniziato la carriera medica. Il nostro territorio è legatissimo figura del medico scomparso all’età di 46 anni; Urbani aveva infatti prestato servizio per 10 anni al reparto di malattie infettive dell’Ospedale di Macerata, dove arrivò nel 1990 quando il primario era il dottor Betti, e lasciò il nosocomio cittadino nel 2000, per trasferirsi nel sud est asiatico, accettando un incarico propostogli dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Oggi quel reparto porta il suo nome, così come la scuola primaria di Casette Verdini e l’Ospedale di Jesi. Nel 1999 Urbani fece parte della delegazione che ritirò il premio Nobel per la pace assegnato a Medici Senza Frontiere, organizzazione internazionale a cui Urbani aderiva e della quale era uno dei responsabili nazionali.
Il Presidente della Regione Marche, Gian Mario Spacca, lo ha omaggiato durante il suo viaggio in Vietnam nel decennale della scomparsa, e lo scorso weekend la sua figura è stata ricordata all’Ospedale di Macerata e nel corso di un convegno tenutosi all’Abbadia di Fiastra sul tema delle malattie del migrante e del viaggiatore. “Conobbi Carlo a Brescia, perché quando arrivai a dirigere il reparto a Macerata lui era andato via da un anno – ricorda il dottor Alessandro Chiodera, a capo dell’Unità Operativa di Malattie Infettive – eravamo in contatto telematico, lui era
già in Oriente. Mi venne a trovare nel luglio 2002, lo ricordo come un esempio per tutti noi colleghi. A Macerata mise in piedi un laboratorio di parassitologia che gestiva lui, aveva una passione per la medicina tropicale. Lui pensava che fosse giusto aiutare le persone del cosiddetto terzo mondo, perché avessero una sanità più decente. Quello che più mi ha colpito è stato il suo disinteresse: poteva fare il primario a Macerata, ma ha scelto di licenziarsi per aiutare i poveri e i più bisognosi. Era in Vietnam perché si occupava di parassitosi, ma quando esplose l’epidemia della Sars ebbe il merito di capire per primo che si trattava di qualcosa di diverso. Avvertì immediatamente l’Oms, facendo isolare 40 persone, arrestando di fatto il contagio” conclude Chiodera.
Carlo Urbani, oltre ad essere un professionista di livello eccellente, era un medico di straordinaria umanità e sensibilità. Chi ci ha lavorato insieme racconta come lui riuscisse a partire il pomeriggio per Ginevra, dove si trova la sede principale di Medici Senza Frontiere e a tornare il giorno dopo a lavorare in ospedale a Macerata. Oggi la scuola primaria di Casette Verdini è intitolata a Carlo Urbani, così come il reparto di malattie infettive dell’Ospedale di Macerata, dove ha prestato servizio. La moglie Giovanna Chiorrini, in un’intervista rilasciata poco dopo la morte del marito a “La Repubblica”, non lo definì un eroe. “Eroe è una parola che non ci piace. Carlo è un uomo che ha fatto il suo dovere perché si sentiva di farlo e voleva farlo. Quando c’era un’epidemia in un villaggio del Vietnam mi diceva: “Giuliana, devo andare. Là ci sono delle madri che hanno dei figli come i nostri, e qualcuno le deve pure aiutare”.
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ho avuto la fortuna di conoscerlo quando ha avuto in cura mia mamma all’ospedale un uomo veramente di una grandissima umanità.
..quel reparto che oggi porta il suo nome e che presto sarà chiuso ( a favore di cinque letti nel reparto di Medicina)…scusate se ho svelato l’omissis… Pippo ,papà non te l’ ha detto !!!! A parte questa nefandezza, che poco riguarda la figura di Carlo,un enorme plauso alla grande figura dell’ uomo e poi del medico (oggi è quasi impossibile trovare una figura normale di uomo , e ancor più raramente quella di un medico )
Nella disperazione di correre alle 4 di mattina del 3 gennaio ’99 all’Ospedale Civile di Macerata e trovare mio padre da poco coperto da un lenzuolo, la Provvidenza ha voluto che ci fosse lui solo nella stanza ai piedi del letto. Non ho mai dimenticato e mai dimenticherò, con quale tatto , con quanta umanità mi ha offerto la sua spalla per confortarmi , con quali parole mediche dette in modo semplice, ha saputo farmi accettare l’inaccettabile.