Comincio da due nomi: “Best” e “Glorioso”. Il primo indica la multinazionale americana che fino al mese scorso costruiva motori per cappe aspiranti a Montefano e occupava centoventisei dipendenti. Il secondo è il cognome di Eloisa, una giovane donna in attesa di un bambino che nascerà ai primi di gennaio e il cui marito lavorava, per l’appunto, alla Best. I due nomi alludono entrambi a qualcosa di molto positivo. “Best” è il superlativo di “good” e significa migliore, più che migliore, quasi buonissimo. E “Glorioso” si riferisce all’onore, all’orgoglio, alla felicità. Ma la cronaca dei nostri giorni insegna che, messi insieme, questi nomi cambiano segno e finiscono per esprimere il contrario di sé. Infatti la Best ha gettato improvvisamente sul lastrico i suoi tecnici e i suoi operai, ha chiuso a chiave lo stabilimento montefanese e nel segreto della notte ha trasferito parte dei macchinari in Polonia. Ed Eloisa Glorioso ha ricevuto, senza alcun preavviso, la lettera di licenziamento del marito e adesso il suo sposo, lei e il bambino che sta per arrivare si trovano in mezzo a una strada.
Di situazioni come questa ce ne sono molte, in Italia e altrove. E si cerca di affrontarle con laboriose trattative a livello aziendale, sindacale e politico finalizzate a ipotesi di cassa integrazione straordinaria, mobilità assistita, ricollocazione del personale in altre imprese del circondario. Intanto ai lavoratori della Best non resta che organizzare presìdi ai cancelli e andare in tv da Santoro – c’era anche Eloisa col pancione – per chiedere di non esser lasciati soli. Ripeto: nulla di nuovo sotto il sole della crisi economica. Del resto è inevitabile che un’azienda in difficoltà – e la Best sembra esserlo, se non a Montefano forse su scala di gruppo – ricorra a drastici tagli dell’occupazione o si sposti in altri paesi dove il lavoro costa meno e le tasse sono inferiori. E’ la legge – non scritta ma inflessibile – della globalizzazione e in particolare di quell’arrembante forma di capitalismo che si chiama neoliberismo. Ci sono dei rimedi? Sì, anche se palliativi. E stanno nei cosiddetti ammortizzatori sociali. Ben vengano dunque le trattative, i tavoli di confronto, i presìdi, gli scioperi, le denunce televisive. Ma questo, benché importante, è un altro discorso. A me, stavolta, interessa soprattutto quella cosa che si chiama dignità della persona.
La prendo alla larga. Avrete notato che di una persona si può dare qualsiasi giudizio anche molto sprezzante, ma altrettanto non è ammesso per un oggetto, una merce, un prodotto. Se dite in pubblico o scrivete in un giornale che un detersivo o un dentifricio fa schifo, sarete condannati a un cospicuo risarcimento. Se invece lo dite di un essere umano – si pensi al linguaggio della politica, dello sport, dello spettacolo – non accade nulla, è consentito. Ecco allora che fra le conseguenze del predominio assoluto dell’economia su ogni altro valore c’è la subordinazione della persona alle cose. Non più persone che si servono delle cose, ma cose che si servono delle persone. Una presunta dignità delle cose, insomma, viene prima della sacra dignità delle persone.
Torniamo a Montefano. Erano i giorni dei santi e dei morti. I lavoratori della Best erano stati messi, inopinatamente, in ferie. “E’ una nostra idea”, gli era stato detto. Sembrava addirittura un gesto gentile. Poi, il due di novembre, ecco una telefonata: “Domani non andate in fabbrica, l’abbiamo chiusa. Sono già partite le lettere di licenziamento”. E la notte qualche furgone era giunto di nascosto dalla Polonia per caricare i macchinari migliori. Questa è la versione dei dipendenti. Troppo di parte? Sarà, ma la versione della Best non la conosciamo. Sappiamo soltanto che l’amministratore delegato ha accettato – ma dopo, solo dopo – di partecipare a incontri con esponenti politici e sindacali.
Nel quinto canto della “Divina commedia” e a proposito della sorte toccata alla sua persona Francesca da Rimini dice: “Il modo ancor m’offende”. Aggiorniamo allora il discorso, mutando la commedia divina in un dramma nient’affatto divino. Eloisa Glorioso, e altri centoventicinque con lei, sono persone, non sono cappe aspiranti. E non offende il “modo” con cui gli è stato tolto il pane di bocca? Come si sarebbe comportata la Best se oggi vivessimo in un’epoca dove una persona vale più di una cappa aspirante? Avrebbe convocato per tempo i propri dipendenti, avrebbe mostrato i bilanci, avrebbe esposto la necessità che loro accettassero qualche sacrificio, avrebbe dimostrato che in caso contrario sarebbero stati inevitabili provvedimenti incresciosi, avrebbe ascoltato le loro proposte, si sarebbe essa stessa dichiarata disponibile a ridurre qualche pretesa. Ma oggi viviamo in un’epoca completamente diversa, l’epoca delle cappe aspiranti e non delle persone. Ecco dunque la furbata di metter tutti in ferie, ecco la decisione di chiudere a chiave lo stabilimento, ingiungere di non presentarsi al lavoro, impedire di entrare perfino per ritirare gli oggetti personali custoditi negli armadietti, trasferire di nascosto gli impianti. Trattative? Sì, ma a fatto compiuto. Con la pistola sul tavolo. Hanno dunque ragione i sindacati a parlare di “sistemi selvaggi”, “violenza inaudita”, “comportamento provocatorio”, “vigliaccheria”? Pare proprio di sì. Il “modo”, infatti, “ancor m’offende”. E offende tutti, i tecnici e gli operai della Best, i cittadini non soltanto di Montefano, la nostra società, i valori etici della Costituzione repubblicana.
La settimana scorsa raccontai l’episodio di Esanatoglia, dove si ritenne giusto rispettare la dignità di un capriolo morente. Nessun rispetto, a Montefano, per la dignità degli esseri umani? Se queste hanno da essere le conseguenze della globalizzazione e del neoliberismo, diciamolo forte che non vanno bene. Negli effetti? Certo, ma anzitutto nei modi.
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Grazie per la bellissima riflessione!
La vicenda Best è esecrabile.
Ieri ho ascoltato Ichino e Landini sul tema delle nuove politiche del lavoro sulla 7 ed ho dovuto registrare un abisso tra i due. Voglio dire che Ichino si è sforzato di delineare le sue proposte tese a determinare condizione di sicurezza del lavoro indipendenti dalla permanenza nello stesso posto di lavoro e Landini che ha proseguito nella difesa del lavoro presso la stessa fabbrica.
La vicenda della Best dà ragione ad Ichino. Oggi questi lavoratori sarebbero inseriti in programmi di reinserimento lavorativo e non buttati per strada con la possibile mitigazione della cassa integrazione.
Attenzione a sparare contro la globalizzazione. L’apertura dei mercati non crea vittime innocenti. Queste sono create dalla irresponsabilità ed inadeguatezza di una classe diirigente che non sà adeguare il proprio sistema alle nuove sfide. La globalizzazione ha messo in moto un dinamismo economico tra continenti, ancor piu’ necessario avendo raggiunto il traguardo di 7 miliardi di abitanti, ove non è piu’ possibile che un miliardo di persone consumi il 70 per cento delle ricchezze del pianeta. Bastava aver letto a suo tempo il rapporto Nord Sud di Willy Brand.
Sostiene l’economista francese Jacques Attali che “Nel prossimo decennio il mondo attraverserà cambiamenti radicali, solo in parte collegati all´attuale situazione finanziaria. Ciascuno di noi sarà minacciato e dovrà trovare gli strumenti per salvarsi”. Il motivo di questo cattivo presagio sta nel fatto che «La causa più profonda di questa crisi è l´impossibilità per l´Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi: su questo non è stata avviata un´adeguata riflessione». Lo stato ha le mani legate: ha consegnato se stesso nelle mani delle forze del mercato. Se osa opporsi alle forze del mercato, allora il capitale si volatilizza da un altra parte dove può più facilmente e comodamente prosperare. Il capitale può essere mosso con un semplice bottone. La sensazione è che gli stati stanno combattendo una battaglia persa contro la globalizzazione. Le regole attuali non bastano o non sono più adeguate ai mutamenti del mondo. Occorre una prospettiva diversa, un nuovo umanesimo; un consumismo basato su una onesta descrizione dei bisogni, non sulla descrizione fantastica dei nostri desideri. Max Weber aveva spiegato che il limite dei “sistemi razionali” è quello di esasperare la loro razionalità fino a farla diventare paradossalmente irrazionale. Ed è quello che letterariamente, e prima di lui, Dostoevskij faceva spiegare a un personaggio dei Demoni: quando si cerca di realizzare un’idea assoluta, si arriva a realizzare l’esatto contrario di quello che si promette. E’ successo con il comunismo, che promettendo la libertà assoluta è arrivato al dispotismo assoluto, ed ora questo è il rischio che corre la globalizzazione.