L’angelo che doveva annunciare Gesù
ma si ritrovò nel presente
nella Striscia di Gaza

MACERATA - Il vescovo Nazzareno Marconi durante la messa di Natale in Cattedrale ha letto la favola con protagonista un angelo molto distratto di nome Ariel

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La favola di Natale del vescovo, la storia di Ariel un angelo perennemente distratto che invece che a Betlemme nell’anno Zero, finisce nella Striscia di Gaza, nel 2025 dove proprio quella notte è nato un bambino in un capannone abbandonato. L’ha letta questa notte durante la messa di Natale monsignor Nazzareno Marconi nella cattedrale di San Giovanni.

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La favola, ha detto il vescovo di Macerata ai fedeli parla di Ariel un angelo che «aveva sempre la testa tra le nuvole e siccome in paradiso le nuvole sono sotto i piedi, guardava sempre in basso verso la terra. Forse per questo Dio lo aveva messo nel gruppo degli angeli messaggeri, quelli che ogni tanto inviava sulla terra a portare agli uomini i suoi annunci. Ma Ariel era distratto anche a scuola, quando gli spiegavano che era complesso passare dall’eternità al tempo degli uomini, che bastava un attimo di distrazione, un angolo di volo sbagliato e si poteva finire in un secolo o anche in un millennio diverso dall’obiettivo.

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Quella notte dell’anno zero, dalla Dirigenza del paradiso giunse un ordine di servizio per Ariel e tre suoi amici, di recarsi sulla terra, in località Betlemme di Giudea, all’indirizzo Campo dei pastori, per portare questo annuncio da parte dell’Onnipotente: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi è nato per voi un Salvatore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. Così Ariel e i suoi amici si prepararono per la missione, ma proprio sul più bello, quando gli altri si stavano lanciando verso le nubi, Ariel si chinò, aveva dimenticato di allacciarsi i sandali. Così quando anche lui iniziò il suo volo, con pochissimi secondi di ritardo, non vide più nessuno dei suoi amici. Il volo gli sembrò più lungo del previsto, e quando toccò terra, il navigatore elettronico che aveva al polso, indicava: Betlemme, a 60 km direzione Nord. Ariel non fece in tempo a riflettere su questa stranezza, che sentì il rumore acuto di una sirena militare, seguito da una raffica sparata in aria. Qualcuno lo prese per le spalle, proprio nel punto dove in cielo spuntano le ali; ma quando andavano in missione sulla terra gli angeli avevano imparato a muoversi in incognito, facendo sparire ali, aureola, e le loro strane tuniche dorate, per vestire gli abiti del luogo. L’amico che l’aveva portato quasi di peso al riparo e nascosto in un vicolo vicino, gli disse concitato: “Vuoi morire giovane? Sei pazzo ad andare in giro così durante il coprifuoco? Quelli prima ti sparano e poi ti chiedono i documenti”.

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Ariel che, come tutti gli angeli, capiva tutte le lingue del mondo vide che il suo salvatore parlava un arabo con accento mediorientale ed era un giovane, dai profondi occhi scuri, la pelle ambrata ed i capelli corti. Vestiva in jeans consumati, con una maglietta altrettanto scolorita, segni inequivocabili di chi aveva altro a cui pensare piuttosto che di seguire la moda. Mentre lo guardava Ariel capì che doveva aver combinato un bel guaio. “Scusami, dove siamo?”, gli chiese, “e soprattutto, in che anno siamo?”. Il giovane lo guardò sgranando ancora di più gli occhi: “Siamo a Bayt Lāhyā, nella Striscia di Gaza. Ma che significa in che anno siamo? Forse lo scoppio di qualche bomba ti ha frullato il cervello? Siamo nel 2025, ovviamente”. Sì, pensò Ariel, aveva sbagliato proprio di brutto l’angolo d’ingresso nella storia, ed era finito a 60 chilometri e 2025 anni di distanza dal suo obiettivo.

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Per non sembrare del tutto scimunito, si ricompose velocemente e tendendo la mano disse nella lingua del suo interlocutore. “Salam, mi chiamo Ariel, tu chi sei?”. Quello stringendogli la mano cominciò a tirarlo via verso il buio, alla ricerca di un posto più sicuro, mentre diceva: “Salam, mi chiamo Karim, ma non è certo questo il momento di fare presentazioni. Soprattutto seguimi in silenzio, è più sicuro”. Mentre camminavano nella notte Ariel rifletteva tra sé: “Nulla mai accade a caso e se Dio ha permesso che giungessi in questo tempo e in questo luogo, è perché forse anche qui posso fare qualcosa di buono, Ma cosa? L’unica cosa che so fare è trasmettere l’annuncio di speranza che Dio mi ha affidato”. Mentre pensava questo entrarono nello scantinato di un palazzo, che prima le bombe a poi le ruspe dell’esercito avevano in parte distrutto.

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Ariel guardò il suo amico che stava riprendendo fiato e ripeté, con lo sguardo più convinto e luminoso di cui era capace: “Non temere, ti annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi è nato per voi un Salvatore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

Karim lo guardò fisso, come si guarda una persona che ha certo detto qualcosa di particolare, ma non di folle. Poi disse: “Come fai a saperlo?”. E riprese: “Stanotte, proprio qui vicino, nel capannone di un allevamento semidistrutto, è nato il primo figlio di una coppia di amici. Mi hanno chiamato perché sono un infermiere, ma non potevamo andare in ospedale col coprifuoco. Così ci siamo adattati. Il parto è andato tutto liscio. Il bimbo sta bene e anche la mamma. Abbiamo raccolto un po’ di panni per scaldarlo e come culla abbiamo trovato una mangiatoia in ferro ancora intera. Quando tutto era ok, ho detto che quella vita nuova era un segno di speranza, che forse almeno lui, da grande, vivrà in un mondo in pace. Poco è mancato che mi prendessero a calci nel sedere. Allora sono uscito nel buio e ti ho trovato a farti ammazzare in mezzo alla strada. Con te, stasera, sono due le vite che salvo. Speriamo che Allah ne tenga conto”.

Ariel sorrise, lo fissò con gli occhi ancora più luminosi e gli disse: “Forse Lui si chiama in un altro modo. Ma sono certo che non si è offeso e che ti ascolterà”. E mentre diceva questo scomparve in una tenue nuvola di luce.

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