
Fedora Oppido
di Laura Boccanera
«La violenza ha diverse forme e si manifesta talora con modalità del tutto subdole». Non serve aspettare la tragedia, perché i segnali arrivano molto prima e possono essere letti, compresi e fermati. È questo il messaggio forte che arriva dalle donne dell’Arma dei carabinieri impegnate ogni giorno nel contrasto alla violenza di genere.
A Civitanova e Recanati operano carabiniere che hanno scelto di essere il primo punto di accoglienza per donne che stanno vivendo paura, solitudine o un dolore che ancora non riescono a nominare.
Tra loro il maresciallo maggiore Fedora Oppido, da due anni comandante del Nucleo comando della Compagnia di Civitanova con una lunga esperienza nei reparti operativi e nella rete di contrasto alla violenza. L’esperienza sul campo le ha insegnato che il vero punto di svolta è riconoscere ciò che precede il reato: «Monitorare e non sottovalutare tutti questi “reati spia” che precedono e fanno da apripista agli episodi più gravi, può rivelarsi una strategia valida, se valutati in stretta correlazione ai “fattori di rischio”».
Perché la violenza non comincia con un colpo, ma con controllo, gelosia, manipolazione, isolamento. Sono questi i campanelli d’allarme che possono salvare una vita se qualcuno li vede, li capisce e non si volta dall’altra parte. «Ogni comportamento riconducibile a indifferenza, ricatto, controllo, gelosia, senso di colpa o manipolazione deve essere valutato quale segno d’allerta. Allo stesso tempo è assolutamente necessaria una strategia a lungo termine che coinvolga tutte le istituzioni, con interventi formativi e di sensibilizzazione su questo tema. E’ necessario interessare tutte le fasce di età e coinvolgere tutte le agenzie educative, affinché si formi una nuova cultura della legalità che abitui i giovani a un approccio sano e rispettoso alle relazioni affettive, libero da dinamiche di discriminazione e denigrazione».

Francesca Nuzzi
Accanto a lei, sul territorio, c’è anche un’altra donna, il maresciallo ordinario Francesca Nuzzi, oggi in forza alla stazione di Recanati. Per lei il punto centrale è che nessuna donna rimanga sola nel momento in cui qualcosa dentro si rompe: «Ogni donna, che sia o meno vittima di violenza, ha la possibilità di rivolgersi a noi, Arma dei Carabinieri, in ogni genere di contesto, che sia esso attinente ad un reato come quello rientrante nella categoria del c.d. “codice rosso”, o che sia anche soltanto per un semplice consiglio, legato magari ad una situazione di difficoltà emotiva nella quale versa, od ancora ad una qualunque situazione disagevole che possa ingenerare timore o preoccupazione, o ansia. Nel caso in cui una donna fosse vittima di violenza, fisica o psichica, è fondamentale che la stessa non vaghi nel buio, che non abbia la sensazione di non poter essere compresa da nessuno, ma che si lasci seguire, supportare ed anche, per certi versi, consolare». L’Arma, racconta, non si limita alla formalità di una denuncia, ma mette a disposizione locali riservati, formazione specifica e soprattutto un ascolto umano. «Il nostro compito è quello di esserci, il nostro obiettivo è quello di porre un rimedio, se possibile, alla paura».
Ma il punto cruciale arriva quando una donna prende coscienza di ciò che sta vivendo. Per Nuzzi quel momento non va rimandato: «Quando al primo eventuale gesto violento ne consegue una serie di “scuse” e “giustificazioni” che non vogliono dire “amare”, ma “possedere”, la donna non deve tornare indietro ma deve andare avanti».
E quel passo, se pur difficile, è la strada per tornare a vivere. «La denuncia è sicuramente la prima strada coraggiosa e necessaria, per trasformare il suo dolore in forza».
In questo lavoro quotidiano, in una stanza riservata di caserma o sedute accanto a una donna che sta trovando le parole per raccontare ciò che le accade, queste carabiniere ricordano che nessuna violenza nasce dal nulla. Prima arriva il segnale, prima arriva la crepa. E serve tempo, formazione e soprattutto una comunità vigile per coglierla.
Perché la violenza di genere non è emergenza occasionale ma, come ricorda Oppido, «un problema strutturale e duraturo nella nostra società». E si combatte solo insieme, creando una rete attorno a chi è più vulnerabile.
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