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Lattanzi, da Fermo a Manhattan:
insegna alla New York University
e rappresenta i marchigiani negli Usa

PORTO SAN GIORGIO - Presidente della comunità marchigiana in America, dirige il Center for Biomedical imaging. «L’Italia? Sono abituato al sistema universitario americano e tornerei a lavorare in Italia solo se trovassi qualcosa di molto stimolante. Ma mi manca il nostro mare»

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Riccardo Lattanzi

di Maria Cristina Pasquali

Da Porto San Giorgio agli Stati Uniti. È la storia di Riccardo Lattanzi, presidente della comunità marchigiana negli Usa che è riuscito a trasformare ciò che all’inizio del suo viaggio «era un desiderio di esperienza, in opportunità di carriera e di vita».

«Sono nato a Porto San Giorgio nel 1975 e cresciuto a Porto Sant’Elpidio – racconta Lattanzi -, paese natale dei miei genitori. Frequentavo la quarta liceo scientifico a Fermo quando ho avuto l’opportunità di partire (1992) per un anno scolastico in una scuola pubblica in Oklahoma, ospite di una famiglia americana, vivendo questa esperienza per 11 mesi. Dopo la laurea in ingegneria elettronica all’Università di Bologna, ho conseguito un master e un dottorato di ricerca in ingegneria biomedica ed elettronica a Cambridge (Usa), diviso tra il Massachusetts Institute of Technology (Mit) e la Harvard University. Attualmente sono professore ordinario di radiologia e di ingegneria elettronica e biomedica alla New York University, dove dirigo il Center for Biomedical imaging, un centro di ricerca con 160 persone che sviluppano nuove tecnologie per le immagini biomediche. Io in particolare studio le interazioni dei campi elettromagnetici con i tessuti biologici allo scopo di sviluppare nuove tecnologie e aumentare il potere diagnostico della risonanza magnetica. Risiedo stabilmente negli Usa dal settembre 2003 quando iniziai il dottorato di ricerca. Quello che all’inizio era un desiderio di esperienza si è trasformato successivamente in opportunità di carriera e di vita».

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La parata del Columbus Day

Come è cominciata la sua esperienza americana?

«Nel 2002 quando frequentavo il laboratorio di tecnologia medica all’ospedale Rizzoli di Bologna ho vinto una borsa di studio Fulbright per un periodo da ricercatore al Robotics Institute della Carnegie Mellon University, a Pittsburgh. Molto interessato alle applicazioni della robotica in biomedica, feci domanda di ammissione al Mit. Dopo il dottorato, decisi di intraprendere la carriera accademica alla New York University e dal novembre 2008 vivo a Manhattan e lavoro come professore. Rispetto all’Italia, gli Stati Uniti investono molto nel settore biomedico per cui i finanziamenti sono maggiori, ma non è così facile accaparrarseli. Inoltre alcuni aspetti della ricerca biomedica hanno bisogno di grandi finanziamenti che oggi sono appannaggio di grandi aziende farmaceutiche e università».

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Il Gala del Columbus Day

Quando ha scelto di promuovere insieme ad altri corregionali la conoscenza delle Marche?

«Nel 2013 Confindustria Marche e Regione Marche hanno organizzato a New York il mese delle Marche ed io sono stato scelto come uno dei testimonial. Ho conosciuto in quella circostanza vari marchigiani che lavorano in Usa. Con alcune di queste persone è nata un’amicizia ed abbiamo deciso di rivederci. All’inizio eravamo una ventina ed era anche presente la vice console italiana a New York, Lucia Pasqualini, originaria di Offida. L’anno dopo abbiamo organizzato una festa ed eravamo 50. Questo ci ha entusiasmato. In quella occasione abbiamo deciso di organizzarci come associazione e la Regione Marche ci ha spronato in tal senso. Così abbiamo fondato Mia (Marchigiani in America), una associazione no-profit per la promozione della cultura e le tradizioni marchigiane. Oltre ai newyorkesi, ai nostri eventi hanno partecipato marchigiani degli stati di Pennsylvania, Washington Dc, New Jersey, Connecticut. Ci siamo impegnati in alcuni programmi soprattutto perché ci siamo resi conto che la nostra regione è poco conosciuta negli Usa. Nell’ottobre 2023, abbiamo organizzato la partecipazione delle Marche alla parata del Columbus Day sulla quinta strada, uno degli eventi italo-americani più importanti negli Stati Uniti. È stata la prima volta per le Marche in 79 anni di storia dalla parata e hanno sfilato altre associazioni marchigiane venute dal Canada e da Chicago, oltre ad una rappresentanza della Regione».

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Durante una conferenza

Chi sono i componenti del consiglio Mia? Quali sono i vostri scopi?

«Oltre a me (presidente), il direttivo è composto da Lorenzo Cupido (tesoriere), Andrea Sabbatini (segretario) e i consiglieri Silvia Carlorosi, Annalisa Guzzini, Daniele Brusca, Beatrice Muzi, e Marta Baldassarri. Il nostro scopo è quello di far aggregare i componenti della comunità marchigiana presenti a New York e negli Usa. Far apprezzare la nostra cultura e le nostre tradizioni, collaborando con le istituzioni italiane a New York».

Quali altre attività avete realizzato?

«Oltre alla partecipazione alla parata del Columbus Day, abbiamo organizzato varie conferenze in collaborazione con il Consolato italiano e l’Istituto di Cultura. Per esempio, su Giacomo Leopardi, Gioacchino Rossini, e Maria Montessori, un personaggio molto amato qui, anche se nessuno sa che era marchigiana. Per il Carnevale del 2020, abbiamo organizzato una grande festa con un concerto della cantante Mafalda Minnozzi, originaria di San Severino, ma di fama internazionale, molto conosciuta per i suoi concerti in Brasile , Usa e Italia. Periodicamente organizziamo aperitivi marchigiani con vini e cibo delle nostre terre, come le olive ascolane. Abbiamo anche realizzato un concorso fotografico intitolato “Luoghi e paesaggi delle Marche”, che si è concluso con una mostra di 20 fotografie a Soho. All’inaugurazione era presente il nostro amico e attore Neri Marcorè, oltre all’ambasciatrice italiana a Washington e il Console Generale a New York. È tra i nostri progetti futuri organizzare borse di studio per studenti marchigiani che vogliono fare un’esperienza negli Stati Uniti».

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In vacanza nelle Marche

Riesce a conciliare tutti i suoi impegni con la sua vita privata?

«Io e mia moglie Marta volevamo venire entrambi negli Usa. All’inizio, devo dire, è stato duro. Non era facile entrare in contatto con persone americane, ma dopo l’arrivo dei bimbi tramite la scuola siamo entrati in contatto con famiglie americane e abbiamo cominciato a frequentarle. Adesso ci siamo ambientati a Manhattan, che è un quartiere stupendo, che si può girare a piedi, c’è molta energia, ci sono iniziative ogni giorno. È entusiasmante. Stiamo bene qui».

Tornerebbe a lavorare in Italia?

«Non lo so. Ormai mi sono abituato al sistema universitario americano e tornerei a lavorare solo se trovassi qualcosa di molto stimolante. Al momento ho varie collaborazioni con università italiane e quasi ogni anno ospito degli studenti italiani per dei periodi di scambio nel nostro centro di ricerca. Per loro è sempre un’esperienza importante e a me rende felice motivare ragazzi italiani e farli appassionare alla ricerca scientifica».

Viene almeno per le vacanze?

«In Italia e nelle Marche vengo d’estate e qualche altra volta partecipo a dei convegni. In molti pensiamo di tornare in Italia dopo il periodo lavorativo, perché li abbiamo le radici e la famiglia. La qualità della vita italiana resta imbattibile e mi mancano i paesaggi delle Marche, i colori e le curve delle nostre belle colline, la spiaggia…il mare nostrum. Stare lontano dal mare dove sei cresciuto è difficile».



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