di Federica Nardi
Nunzia Cavarischia oggi alla marcia della memoria di Montalto non c’è, anche se vorrebbe. È sfollata altrove. Casa sua, ad Acquacanina, è inagibile e la casetta non arriva. Nunzia ha 88 anni. Quando ne aveva 14 era una staffetta partigiana e catturò un tedesco ferito che altrimenti libero di parlare avrebbe scatenato una rappresaglia senza pari. Tra Caldarola e Cessapalombo ci sono le tombe dei martiri di Montalto a dare una misura della storia di Nunzia, che vorrebbe solo esaudire un desiderio semplice: finire la sua vita dove l’ha sempre vissuta. “Presidente Luca Ceriscioli, falle avere una casetta di legno quanto prima” è l’appello del presidente dell’Anpi di Tolentino Lanfranco Minnozzi al governatore. Che oggi era invitato insieme al commissario Vasco Errani ma nessuno dei due è venuto.
Memoria e sisma. Due parole dettano il passo delle 600 persone che anche quest’anno hanno ripercorso i luoghi dell’eccidio. Ma tutto è diverso: alla partenza Caldarola è quasi tutta zona rossa. All’arrivo la rocca di Montalto è inagibile. La festa, tra la musica dell’Armata Brancaleone e gli 80 chili di penne all’arrabbiata per sfamare la folla, si consuma alle porte del borgo, puntellato ma resistente. “Sono passati sei mesi dalle scosse e ancora sentiamo la paura – dice il presidente provinciale Anpi Lorenzo Marconi -. Ma sentiamo anche la vicinanza di chi ha prestato soccorso. Ora si deve aprire la fase della ricostruzione. È ora di cominciare a parlarne seriamente e collettivamente. Irrinunciabile la partecipazione e il coinvolgimento di cittadini, associazioni e sindacati. Lo dobbiamo a chi si è sacrificato per darci la libertà”. Con l’Anpi cammina anche il suo vicepresidente nazionale Alessandro Pollio Salimbeni. Presenti alcuni sindaci del cratere invitati per un assemblea pubblica pomeridiana per parlare dei problemi e dei progetti futuri. Quello di Cessapalombo, Giammario Ottavi, prende il microfono anche prima, di fronte alla lapide che ricorda i giovani partigiani uccisi, e ringrazia chi dedica questa domenica al ricordo: “la vostra presenza è una spinta verso la rinascita. Il terremoto sta desertificando questi posti”.
E poi in riunione con gli altri sindaci aggiunge: “Durante l’assemblea del parco dei Sibillini si è detto che sembra si stia cercando di allontanare le persone dalla montagna. Ma la costa non può vivere senza l’entroterra. Ora devono essere chiare le competenze altrimenti è tutto fermo e le persone non torneranno. Dobbiamo fare una politica unica. La montagna, se nessuno la cura, si distrugge”. Il vicesindaco di Caldarola Debora Speziani dice che “sei mesi per chi vive il terremoto sono un’eternità. Credo che ormai sia chiaro che siamo un po’ abbandonati a noi stessi. Dicono che i sindaci sono soggetti attuatori, ma di cosa? Non ci fanno fare niente. È una cosa pietosa. Siamo sopravvissuti solo con le donazioni private”. Roberto Paoloni sindaco di Belforte aggiunge una nota sull’iter dei provvedimenti: “meglio un’ordinanza un mese dopo ma condivisa e ben fatta che ordinanze veloci e da rivedere”. Da San Ginesio Marco Taccari dice che invece “noi non ci siamo sentiti soli ma la situazione, con 1.100 persone fuori casa, è complicata”. Emanuele Tondi sindaco di Camporotondo pensa già al post ricostruzione: “Serve un po’ di programmazione, soprattutto per organizzare al meglio il ritorno delle persone tra un anno, quando finiranno i lavori delle case con i danni più lievi”. L’importante, come più volte ribadito da Marconi è “pensare come una collettività. La ricostruzione è prima di tutto sociale”.
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