Don Camillo e Peppone
anche a San Severino

I personaggi di Guareschi, raccontati dal libro di Fulvio Fulvi dedicato a Fernadel, "adattabili anche al sindaco Martini e a don Napolioni"

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Fulvio Fulvi

Fulvio Fulvi

Al cine teatro Italia di San Severino un incontro pieno di fascino intorno al libro di un ‘figliol prodigo’ che ritornava: il giornalista di ‘Avvenire’ Fulvio Fulvi che presentava un suo libro di successo prefato da Tatti Sanguinetti: “Il vero volto di don Camillo. Vita&Storie di Fernandel” (Edizione Ares, 2015). Con lui Maurizio Verdenelli e il direttore dei teatri Francesco Rapaccioni. Tanti gli episodi inediti rivelati da Fulvio: “Fernandel, nel cast, era l’unico per l’intera durata della lavorazione del film a risiedere nel migliore albergo di Reggio Emilia. Per tutti gli altri, la produzione provvedeva ad alloggi presso famiglie di Brescello. L’attore francese, che era un’autentica star (al suo attivo 120 film come protagonista in Francia e nel mondo) arrivava sul set a bordo della sua Cadillac nera, già con l’abito talare. Era così legato a quel ruolo di don Camillo (‘Lo prediligo fra tutti’ disse nel corso di un’intervista) da diventare quasi un attachè del vero parroco di Brescello. Quando poteva lo seguiva, lo interrogava e tra un ciack e l’altro riposava su un divano che il sacrestano gli aveva messo a disposizione in parrocchia. E pensare che Giovannino Guareschi, l’autore non lo voleva proprio! Gino Cervi, lui sì, era un autentico Peppone, così come lui l’aveva immaginato, ma Fernandel, così alto, così imponente, così francese (seppure d’origini piemontesi) non era certo il sacerdote italiano che ‘gli era uscito’ dalla penna. Non lo voleva proprio, ma il regista Duvivier s’impose: e alla fine ebbe lui un clamoroso successo”.

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Fulvio Fulvi, Maurizio Verdenelli e Francesco Rapaccioni

Ancora: “A proposito di Guareschi: il regista, sulle prime, chiese proprio a lui d’interpretare il sanguigno sindaco comunista della ‘regione più rossa d’Italia’. In fondo era corpulento, coi baffoni, dallo sguardo fiero come il protagonista. Lo scrittore disse sì, ma poi Duvivier s’accorse che Guareschi era sin troppo sanguigno. Durante le prime riprese aveva letteralmente preso per il collo il ragazzo che interpretava un giocatore di calcio della squadra di Peppone, cui il sindaco-capitano chiedeva i maggiori sforzi possibili per battere quella dell’odiato avversario clericale”. Su Duvivier: “Diresse i cinque film di un ciclo magico ed irripetibile quasi per caso. Prima di lui avevano rifiutato i registi italiani: De Sica, Camerini, Zampa. Troppo scottante ed ‘interno’ il tema del dissidio tra Chiesa e Pci in quel recentissimo dopoguerra”.

Maurizio Verdenelli

Maurizio Verdenelli

E Verdenelli: “Un tema ancora attuale, se si pensa che come don Camillo ora è talvolta la Chiesa a superare a ‘sinistra’ la stessa sinistra. Ed un leader come Massimo D’Alema, proprio a Macerata, ha elogiato il pontefice sulle sue aperture sui migranti esortando il Pd e tutti gli italiani ‘a non lasciarlo solo’ (leggi l’articolo)”. Fu una grande favola, quel ciclo. Interrotta al sesto film, quasi alla fine (erano stati già messi in cantieri 40 minuti). Fernandel, attaccato da un tumore terribile, dovette abbandonare Brescello, piegato dalla malattia e dall’estate torrida della Bassa padana. Morirà in febbraio. Gino Cervi che gli era stato amico sin dal primo istante, abbandonerà anch’egli il set. Senza Fernandel non aveva più senso continuare. Il film fu affidato a Gastone Moschin, Don Camillo e Lionel Stander, Peppone.

fernandel (19)Ma non era più la stessa cosa: Fernandel e Cervi erano essi stessi i protagonisti inverati, in carne ed ossa dei libri di Guareschi. “Così tanto –ha ricordato Fulvi- che talvolta l’attore francese era chiamato a benedire…al telefono, in una cerimonia di battesimo, introdusse un vero sacerdote che impartì naturalmente al suo posto il sacramento, ma poi fu lui, Fernandel, a pagare la festa. E ricordiamo come il papa, Pio XII, volle ricevere quel grande attore, in albergo a Roma, perché lo riteneva il prete più famoso al mondo, dopo di …lui”. Verdenelli: “Così famoso Fernandel da essere totalmente don Camillo. Alla stessa maniera di Ubaldo Lay-Sheridan. Come mi riferì l’autore della serie, insieme con Mario Casacci, il fabrianese Alberto Ciambricco (un grande amico scomparso da qualche anno al cui libro biografico ho partecipato). ‘Talvolta, Ubaldo veniva chiamato per risolvere veri ‘gialli’. Spesso suonavano a casa sua a Roma, ma una volta mi trovai io stesso in treno con lui testimone del caso di una signora che tutta affannata si era precipitata nel nostro scompartimento gridando: ‘Tenente, tenente, mi hanno rubato la borsetta! Faccia qualcosa!’. Altre volte si mettevano sull’attenti al nostro passaggio, magari fornendoci un prezioso servizio fuori orario. Come quella volta di una pompa di benzina chiusa e noi con l’auto a secco…”.

fernandel (16)Grandi nomi, miti cinematografici e tv (‘IL ritorno di don Camillo’, nei giorni scorsi, su una rete Mediaset ha ottenuto grande audience), il pensiero che tutto ciò abbia aperto la strada a generazioni di nuovi grandi attori sul piccolo e grande schermo (Giorgio Albertazzi appare per la prima volta come assistente del vescovo di don Camillo) è stato al centro di un incontro e di un dibattito su temi sui quali il tempo non abbia mai inciso per nostalgia, bellezza e soprattutto attualità mai perduta, anzi resa ancora più acuta dai fatti attuali. “Cesare Martini come Peppone e don Camillo, don Antonio Napolioni, ora promosso vescovo come capitò all’alter ego cinematografico?” ha chiesto Verdenelli all’autore, considerata la campagna elettorale in corso a San Severino. “Perché no? Cesare ha gli stessi baffi di Peppone seppure qualche chilo in meno e don Antonio è stato un ‘prete di strada’ e parroco di un piccolo borgo, Parolito, come don Camillo: altro grande protagonista della Chiesa povera così come la vuole Francesco” ha risposto Fulvio, che è stato pure assessore alla Cultura della seconda giunta Vissani.

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FOTORICORDO – Pietro Baldoni (Briscoletta) è il primo a destra, al centro Maurizio Verdenelli e Fulvio Fulvi. Completano il quadro Giancarlo Pantanettti, Giuseppe Pioli,  Guido Garufi, Luigi Avi e Piero Ciarapica

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E c’è stato posto pure per la nostalgia. Sul grande schermo proiettata, insieme con spezzoni dei film più famosi della saga guareschiana, anche un’immagine d’anta: la redazione de Il Messaggero, diretta da Verdenelli, della quale faceva parte Fulvio Fulvi. E Martini, con gli occhi lucidi, ha avuto modo di ricordare un’intervista del ’99 (era assessore in Provincia) da parte dello stesso Verdenelli. “Nessuna rettifica: era perfetta e felice”. Era soprattutto l’inizio di una grande carriera d’amministratore. Che lascia con qualche amarezza considerato il caso Sanità. Ed ora? “Farò la stampella” risponde Cesare. In sala il pro rettore di Urbino, professor Massimo Ciambotti, Donella Bellabarba, Luigi Pasqualini (segreteria di redazione della Rai), rappresentanti della Fondazione Claudi che hanno curato con il Comune la bella iniziativa su quei due personaggi di decenni fa tanto drammaticamente attuali.

(Foto Luciano Serini)

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