Teatro con la T maiuscola, quello visto al Lauro Rossi di Macerata. Giudizio certamente sintetico, come peraltro capita di leggere talvolta su quotidiani e riviste specializzate, ma non c’è altro modo per definire il Riccardo III, interpretato e diretto da Alessandro Gassmann, alla sua prima esperienza come regista di un’opera shakespeariana. Un esordio decisamente positivo. Lo spettacolo è, a mio avviso, quanto di meglio mi sia capitato di vedere in questi ultimi anni. Bello sotto ogni punto di vista, dall’interpretazione di tutto il cast, composto da elementi di comprovata esperienza, alla scenografia, cupa severa maestosa e di grande impatto emotivo, ideata dallo stesso regista e realizzata da Gianluca Amodio, dai costumi ricchi e sontuosi di Maria Tufano, al light design di Marco Palmieri, dalla videografia dagli effetti assai suggestivi e talvolta inquietanti, al trucco marcato ed eloquente dello stesso Gassmann, alle musiche originali e coinvolgenti di Pivio & Aldo De Scalzi. Insomma, un mix di ingredienti di primissima qualità che contribuiscono a dar vita ad uno spettacolo di altissimo profilo artistico.
Parlare della trama di questo Riccardo III non è facile poiché esso rappresenta la drammatizzazione del momento culminante della lotta tra i Lancaster e gli York per la conquista della corona inglese, passata alla storia coma la «Guerra delle due rose», una sanguinosa lotta dinastica combattuta, senza esclusione di colpi, nell’arco di un trentennio, nell’Inghilterra del XV secolo. Numerosi furono i protagonisti coinvolti a vario titolo in quella feroce faida. Ne citiamo solo i più rappresentativi: il re Edoardo IV di York e Giorgio, duca di Clarence, entrambi figli di Riccardo Plantageneto e di Cecilia Neville, il re Enrico VI già conte di Richmond, il duca di Buckingham, Lord Hastings, il sanguinario sir James Tyrrell, instancabile e spietato sicario, la sfortunata Anna di Neville, vedova di Enrico, principe di Lancaster e perfino i due piccoli suoi nipoti, figli del fratello Edoardo IV, fatti rinchiudere e lasciati morire nella tetra Torre di Londra per scongiurarne la loro legittima ascesa al trono. Tutti ebbero vita tribolata, stroncata il più delle volte in maniera violenta, sempre per mano di quel Riccardo di Gloucester, figlio anche lui della coppia Plantageneto-Neville e quindi fratello del re Edoardo IV e futuro re d’Inghilterra egli stesso col nome di Riccardo III. Uomo di inaudita malvagità, assetato di potere, rancoroso verso tutti, forse a causa della sua evidente diversità, già fin dalla nascita aveva turbato profondamente la madre con quel suo digrignare i denti, innaturali in un neonato, e con quel suo fisico deforme. Gli astanti ebbero tutti il cupo presentimento di assistere alla nascita di un belva umana. Tuttavia, la verità storica non è il centro focale del dramma. Shakespeare prende spunto da quei sanguinosi avvenimenti per rappresentare il mondo di ieri, di oggi e forse di domani, ovvero la nostra umanità nel pieno esercizio dell’odio. Nella rilettura di Vitaliano Trevisan, che restituisce all’opera tutta la sua complessità, la forza, la bellezza e la straordinaria attualità, Riccardo III appare un uomo crudele, ambizioso, manipolatore, ma anche insicuro, tormentato, spaventato dalla solitudine. Col suo violento furore, la feroce brama di potere, la follia omicida, arriva a colpire il cuore dello spettatore, emozionandolo e coinvolgendolo fin dalle prime battute in un viaggio affascinante e tragico, attraverso le pieghe oscure dell’inconscio. Riccardo è a suo modo un personaggio attuale, universale. Anche adesso c’è, in vari angoli del nostro pianeta, un «Riccardo» che per sete di poter non esita ad eliminare con ferocia i suoi avversari, rei soltanto di intralciare i suoi piani, di ostacolare la sua smodata ambizione. Forse in questa ottica si può spiegare il taglio moderno, e quindi attuale, del costume di alcuni personaggi.
Che dire di Gassmann attore? È un grande! Primeggia sulla scena teatrale contutta la sua bravura e il fisico possente, come d’altronde il suo personaggio primeggiò sulla scena della storia con la sua animalesca ferocia e la smodata sete di potere. Usa il corpo con assoluta padronanza, pur nei limiti delle deformità. Un rigido tutore, infatti, gli blocca il braccio destro, all’altezza del gomito, una robusta corazza gli immobilizza il busto e le gambe si muovono a scatti, con violenti spasmi, come se le articolazioni fossero anchilosate. I suoi movimenti sono accompagnati da versi che poco hanno di umano e da inquietanti smorfie del viso, truccato pesantemente per sottolinearne i contorni sofferenti. In qualche occasione mostra quei denti felini che turbarono la gioia della neo mamma. Ma da quel corpo deforme scaturiscono anche delicate espressioni d’amore per la povera Anna, rimasta anzitempo vedova, e «soffiata» con tutto il patrimonio al duca di Clarence, fatto annegare in un tino di malvasia, conquistata con parole tanto tenere quanto menzognere. La scenografia è semplice e funzionale. Su un grande schermo trasparente, che cela la tetra Torre di Londra, un azzeccato gioco di luci crea la cupa atmosfera dell’architettura gotica, ma serve anche per proiettare immagini talvolta inquietanti o delicate come il turbinio di candida neve. Insomma un grande spettacolo, quello andato in scena al «Lauro Rossi». Che dire a coloro che non l’hanno visto? Che ahimè debbono rammaricarsi per aver perduto un superbo esempio di Teatro con la T maiuscola.
(Foto di Federico Riva)
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Buon sangue non mente!