La campagna di Russia in versi

La disavventura dell’ARMIR rivive al Lauro Rossi con Simone Cristicchi

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li-romani-in-russia-2-257x300di Walter Cortella


Un fiume di inchiostro è stato letteralmente versato in questo secondo dopoguerra per narrare gli eventi relativi alla sfortunata guerra di Russia, combattuta dall’esercito italiano tra il 1941 e il 1943. Ci si sono cimentati autorevoli autori come Egisto Corradi, Giulio Bedeschi e Mario Rigoni Stern che vi presero parte come alpini, ma anche noti giornalisti e storici. Per non parlare degli sconosciuti estensori di documenti ufficiali. Il «fil rouge» che unisce tutti i loro scritti è la forma narrativa usata (diari, resoconti, relazioni, memorie, interviste, indagini, romanzi, ecc). E sull’argomento sono stati girati anche indimenticabili film.
Mancava solo la forma poetica e a colmare questa lacuna ha provveduto Elia Marcelli (1915-98), poeta, regista e sceneggiatore romano che nel 1988 ha composto Li romani in Russia, un poema in ottave romanesche. L’autore ha vissuto in prima persona le drammatiche vicende di un plotone di fanteria durante la disastrosa campagna di Russia, alla quale ha partecipato come ufficiale di complemento. Solo qualche anno fa il poema in vernacolo è arrivato in teatro, grazie a Simone Cristicchi, diretto da Alessandro Benvenuti. Dopo una lunga serie di repliche, lo spettacolo è approdato al L. Rossi di Macerata.
Su una scena assolutamente priva di elementi, Cristicchi comincia a declamare e la storia pian piano si dipana, dal momento in cui Giggi, Mimmo, Peppe, Nino, Nicola, Remo, giovani soldati della Caserma romana della Cecchignola, vengono inquadrati con la loro Divisione «Torino» in reparti sempre più corposi in vista della loro partenza per la Russia. Inizialmente la poesia del Marcelli è quasi giocosa. I fanti non si rendono conto della gravità della situazione, scherzano e nella esuberanza della loro giovinezza sembrano impazienti di partire, come se si preparassero a partecipare a un gioco. Ma il loro non è affatto un gioco. La realtà sarà molto dura e se ne accorgono subito quando, stipati sui carri della tradotta militare, lasciano il suolo italiano per inoltrarsi negli sconfinati territori russi.li-romani-in-russia
Il viaggio è un vero tormento. Allora la stessa poesia si fa più dura per adeguarsi alla realtà. In Russia li attende un lungo periodo da incubo nel quale avranno come compagni inseparabili la sofferenza, il freddo atroce e la morte, che saranno sempre lì a fianco a loro nelle anguste e gelide trincee. Ma tra tante tribolazioni c’è posto anche per i sentimenti più nobili. In una povera isba una donnetta ucraina, non dissimile da tante mamme italiane, accudisce con immenso amore i nostri soldati morenti, come se fossero figli suoi.
Cristicchi interpreta con grande partecipazione i versi di Marcelli. Spesso lo coglie la commozione. Con la sua aria bonaria da bravo ragazzo riesce a trasmettere allo spettatore che rimane impietrito un messaggio duro e tragico. Conosciamo bene le vicende della ritirata russa per averle studiate e ascoltate già, ciò nonostante non finiscono mai di sconvolgerci quando ce ne viene riproposto il racconto. E Marcelli, facendo ricorso al facile e immediato verso in ottava e al dialetto romanesco, arriva a colpire la nostra sensibilità. Il pubblico al termine applaude ma impiega un po’ di tempo, come d’altronde lo stesso Cristicchi, a riprendere contatto con la realtà che lo circonda. Lo spettacolo, semplice nella sua struttura, fa indubbiamente presa sul pubblico e dopo questa ennesima replica maceratese Cristicchi riparte per una lunga tournée. Le foto di scena sono di Sara Quattrini.



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