di Carlo Cambi
Lunedì 12 dicembre è una data storica: la Camera di Commercio di Macerata compie 200 anni! C’era prima dell’unità d’Italia. Ma, per dirla con Sant’Agostino, il tempo ha un valore del tutto relativo. Nel senso che nel momento in cui si compie è già passato. Così converrà con le Confessioni convenire che esiste un presente del passato, un presente del presente e un presente del futuro. Esattamente nel momento in cui celebriamo questo significativo traguardo occorre che ci domandiamo – e certamente lo fa da anni e con merito Giuliano Bianchi che la CCIAA presiede – da dove scaturisce, che cosa rappresenta e dove verso ci proietta. Se possiamo dirci con una qualche ragionevole certezza da dove scaturisce questo bicentenario e cioè in uno sviluppo che è stato armonico, in una delle provincia più agricole d’Europa, dove l’artigianato è stato un motore economico fondamentale e dove si è unito il sapere al saper fare consentendo alle imprese di attingere finanziariamente al deposito dei risparmi generati dall’economia provinciale, assai più incerto è affermare quale sia il modello presente e assolutamente azzardato immaginare il futuro. Sarebbe miope e colpevole non fare del bicentenario camerale l’occasione per traguardare il futuro e per condurre un’analisi accurata e spietata del nostro presente economico. Ce ne sarà – mi auguro – occasione magari con una maxi-assise che ci indichi una Macerata futura, dacché la politica di infimo cabotaggio degli ultimi anni sembra avere azzerato qualsiasi visione prospettica. E in più di accogliere i suggerimenti che da più parti le vengono e le sono venuti. A cominciare proprio dalla Cciaa che ha affidato ad Antonio Calafati numerosi studi sulle valenze, le potenzialità e i punti di debolezza del nostro territorio. Anni fa con l’Università di Macerata è stato disegnato un possibile piano provinciale di sviluppo. Credo giaccia nei cassetti della Provincia dimenticato.

L'inaugurazione della mostra dedicata agli strumenti di lavoro e al materiale metrico allestita nei suggestivi spazi terzo piano interrato della sede della Camera di Commercio di via Lauri
Sono questi giorni in cui l’economia pervade sottoforma di incubo la quotidianità anche dei meno avvezzi a ragionare di queste cose. Cronache Maceratesi dal prossimo 20 dicembre dedicherà – come già ha fatto con lo sport, gli eventi, l’enogastronomia – una speciale sezione all’economia provinciale. Per dare giusto risalto ai protagonisti, per svolgere il suo compito di essere un luogo delle notizie, ma anche per suscitare dibattito e suggerire attraverso le voci più autorevoli possibili soluzioni ai problemi che di volta in volta si pongono. Con ciò rendendo l’economia pane quotidiano, tentando di far comprendere che essa ha un ruolo decisivo non nella fase dell’emergenza, ma nella costruzione di quello che si chiama bene comune.
Comincia con questa mia, modesta, riflessione questo percorso che metterà a fuoco tutto ciò che ha a che fare con l’economia. Che vuol dire: tutto ciò che ci riguarda come comunità.
E’ uscita la classifica del Sole 24 ore sulla qualità della vita. Leggete qui su Cronache Maceratesi come la nostra abbia fatto un tonfo sprofondando dal vertice a metà classifica. Queste classifiche, lo dico senza tema di smentita , hanno il valore che hanno. Non vano prese per oracolo né nel bene (e lo scorso anno ci fu un eccesso di enfasi per i risultati positivi) né nel male e sarebbe sbagliato stracciarsi le vesti solo per questo tonfo di 24 posizioni. Le classifiche come i rating come i mille indici economici sono degli strumenti, sono degli indicatori ma non hanno valore assoluto. Mi viene fatto di ricordare il discorso che Robert Kennedy – candidato presidente degli Usa – pronunciò il 18 marzo del ’68 all’università del Kansas: “Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere Americani”. Ecco in un’analisi della nostra economia provinciale dovremmo partire da qui. La Classifica del Sole 24 Ore così come il Pil misura tutto tranne che le ragioni che lo determinano, tranne che il nostro appartenere a questo territorio. E tutto ci dice tranne che come fare a migliorarlo.

BICENTENARIO CAMERA DI COMMERCIO - L'inaugurazione della mostra d’arte negli spazi espositivi di Palazzo Galeotti
Se infatti misuriamo non con indici macroeconomici ma con percezioni metaeconomiche le ragioni della nostra crisi possiamo cominciare a capire cosa ci capita. Sappiamo che l’artigianato sta perdendo progressivamente imprese, occupazione e valore. Sappiamo che l’agricoltura è stata ridotta a marginalità, sappiamo che Macerata come capoluogo ha perduto capacità attrattiva e si è fortemente terziarizzata, ma non con un terziario ad alto valore aggiunto bensì con un terziario di servizi di base e in larga misura dipendente da redditi burocratici, sappiamo che i distretti tradizionali stanno cambiando pelle e che tuttavia non abbiamo costruito alternative di sviluppo. Ma ciò che drammaticamente constatiamo è che non abbiamo un modello Macerata in economia. Non c’è la capacità di fare un salto in avanti, di individuare linee nuove di sviluppo.
Nei prossimi giorni cercherò di argomentare questa mia affermazione. Mi basta qui segnalare cinque emergenze e cinque possibili nuovi scenari.
Le emergenze sono queste. Abbiamo un manifatturiero diffuso ma a bassissimo valore aggiunto che ha trovato nell’internazionalizzaizone, per adesso un riparo neppure troppo sicuro, alla crisi. Abbiamo una risorsa territorio che è stata consumata invece di essere valorizzata. Abbiamo un eccesso di permeabilità del nostro tessuto economico e sociale da forme illegali sia di produzione che di finanziamento. Abbiamo un tasso di disoccupazione intellettuale, giovanili e femminile in preoccupante ascesa che segna anche la fine della diversità positiva del maceratese rispetto al quadro nazionale. Abbiamo un pesantissimo deficit infrastrutturale che si accompagna ad una fortissima immobilizzazione di ricchezza il che rende non dinamico il nostro ciclo economico.
A fronte di queste emergenze vi sono però delle possibili linee di sviluppo. La prima e più importante è la valorizzazione del territorio sia a fini turistici, sia a fini di valorizzare l’eccellenza agricola. Abbiamo la possibilità di rivitalizzare l’artigianato collocandolo su produzioni a più alto valore aggiunto attraverso una coniugazione più stretta tra il saper fare e il sapere il che significa riqualificare la ricerca e l’offerta formativa delle Università. Abbiamo l’opportunità di ridare fiato al commercio erroneamente definito tradizionale se esso diviene la rete distributiva locale di produzioni locali peculiari uscendo dalla massificazione dell’offerta commerciale. Abbiamo l’opportunità di far diventare la città, le città, produttore di economia se saremo in grado di sfruttare la cosiddetta economia dell’immateriale trasferendo il sedimento culturale da stock a flusso. E infine dobbiamo necessariamente riacquisire l’orgoglio di appartenenza. Sembrerà un dato non economico, in realtà è un dato meta-economico. Lo stile di vita, la capacità di intrapresa, l’intelligenza collettiva, la vivacità culturale, la condivisione di valori, l’apertura all’esterno sono tutti elementi che non si misurano col Pil (semmai attengono al Bil: benessere interno lordo) ma che lo determinano. Qualificare la sanità, l’assistenza agli anziani, mettere a sistema le risorse intellettuali, giovanili e femminili, incrementare la capacità attrattiva del territorio (sia in termini di turismo che di marketing territoriale a fini d’investimento), qualificare il territorio medesimo, creare degli atelier di sperimentazione e degli incubatoio di impresa che consentano non solo di diffondere alta tecnologia ma di perpetuare la sapienza artigiana sono tutti elementi che possono determinare un nuovo modello di sviluppo. E’ doveroso constatare che sono tutti ambiti a cui si è applicata con coraggio e impegno la Camera di Commercio (ha promosso il turismo, si è data da fare sull’innovazione e l’internazionalizzazione, ha difeso l’artigianato e l’agricoltura, ha cercato di frenare il decadimento del commercio, ha sottolineato il ruolo dell’imprenditoria femminile, ha operato per il consolidamento dell’offerta culturale e tutto questo con specifici progetti), ma è altrettanto doloroso constatare come non vi sia stato se non in stagioni che appaiono ormai troppo lontane un coordinamento territoriale capace di moltiplicare il volano messo in campo dalla CCIAA e come siano prevalsi protagonismi di corporazione rispetto alla costruzione di un sistema territoriale integrato. Ecco forse il bicentenario della CCIAA è l’occasione per cominciare a costruire il Modello Macerata immaginandoci il presente del futuro.
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Ecco alcune attività commerciali del 1885 che potrebbero tornar utili all’inserto di CM: “Camera/ Gusto”:
ALBERGATORI:
Bartoloni Cesare (Albergo Europa), Calabresi Caterina (Albergo del Leon d’Oro), Mazzetti Vincenzo, Palmarini Giuseppe (Albergo S. Marino), Pesarini Matilde ved. Pomponi (Albergo della Pace).
TRATTORIE:
Angeletti Francesco, Merli Antonio, Mariani Luigi, Mazzetti Cesare, Panati Eugenio, Serafini Antonio, Trivellino Alessandro, Zucconi Vito, Antonio, Macelli Carlo.
VINO (Neg. di) Angeletti Francesco, Alfieri Marone, Alimenti Giambattista, Bartoloni Sebastiano, Bellesi Vincenzo, Benaducci Antonio, Benedetti Cesare e Giovanni, Cippitelli Firmino e fratelli, Cippitelli Domenico, D’Amico Luigi, Marangoni Giuseppe, Moretti Natale, Perogio Pio, Ribottini Pasquale.
VINI DI LUSSO (Vend. di) Lori Luigi, Pagnanelli Paolo, Serra Vittorio)
Ricorrenze e Anniversari:
20 Dicembre 1914 – Cesare Battisti pronuncia un appassionato discorso al Politeama Piccinini per l’intervento dell’Italia alla grande guerra.