di Gabriele Censi
Il polentone è anche un appellativo, un modo di definirsi un po’ datato. Gli italiani nel secolo scorso si definivano reciprocamente al nord e al sud con due termini: terroni e polentoni. Senza approfondire l’aspetto sociologico questo fatto colloca la tradizione della polenta principalmente al nord, nella Padania. Il contadino poco evoluto, lo zotico, è il significato dispregiativo del temine. Stereotipo che in realtà contrasta con la scaltrezza del Bertoldo da Retorbito, paese in provincia di Pavia che da cento anni lo festeggia con la sagra del Polentone. Ma il termine lo ritroviamo anche più a sud nelle Marche e definisce una pietanza molto particolare a base di farina di mais. La ricerca sulle origini ci porta in montagna dove carbonai e boscaioli si nutrivano con il polentone. La differenza sostanziale di questo piatto con la consueta polenta, differenza rimasta nella sua evoluzione fino ai nostri giorni, è la doppia cottura: la polenta cotta nel caldaio veniva fatta raffreddare e poi tagliata a fettine con uno spago. Queste venivano insaporite con lardo e pecorino a strati e rimesse nel caldaio. Nel solco di questa tradizione nel pesarese in particolare a Chiaserna in agosto si celebra la sagra del Polentone alla Carbonara. Agli anni trenta risale invece la tradizione del Polentone come pasto di festa durante la “scartocciata”. E qui scendiamo dalle montagne pesaresi al maceratese. In settembre dopo la raccolta del mais in gruppi numerosi i contadini si radunavano per togliere le foglie alle spighe di granturco. Lo scartocciare impegnava uomini, donne e bambini seduti su delle panche intorno al monte di spighe, e a conclusione del lavoro c’era l’attesa ricca leccornia. Per il condimento si metteva a disposizione quanto c’era di meglio per la preparazione del ragù, spesso l’oca o la papera. La polenta preparata la sera prima e raffreddata secondo la solita procedura viene tagliata a fette, condita e messa in forno. Una particolare maestria è necessaria per la procedura del taglio con lo spago tenuto per un capo in bocca e per l’altro in una mano. Ricordando quando si scartocciava, in autunno da ormai quindici anni a Sant’Angelo in Pontano c’è la Sagra del Polentone, quasi 200 chili di farina e più di 1000 porzioni di polentone servite da consumare all’aperto se il tempo lo consente oppure al caldo del camino.
In cucina ci sono le più anziane delle massaie locali per far assaporare un piatto veramente prelibato. L’appuntamento per l’edizione 2011 è domenica 9 ottobre in concomitanza con la tradizionale “Fiera degli uccelli” che ormai da quarantuno anni si svolge a Sant’Angelo. E’ una occasione unica per ammirare uccelli ed animali di ogni specie e varietà, a partire da quelli domestici fino ad arrivare agli esotici. Per altre occasioni bisogna provare la domenica in qualche ristorante locale dove magari in occasione di uno “sposalizio” il polentone non può mancare. Il piatto ormai da pasto povero è divenuto una carta di identità, al pari dei più famosi Vincisgrassi, per riconoscere un pezzo delle Marche collocato giustamente al centro tra polentoni e terroni.
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bono lu polentò!
parole sante.