di Luciano Burzacca
Il Fiastrone, corso d’acqua che alimenta il lago artificiale di Fiastra e diventa poi affluente del Chienti, è noto per la selvaggia bellezza della valle che ha scavato nel calcare massiccio a sud della diga. E’ uno dei luoghi più caratteristici del Parco dei Sibillini, anche se, in realtà, scorre al di fuori di questa catena, ma la sua suggestiva natura è entrata di fatto nelle braccia protettive del Parco.
Ricca di sentieri escursionistici di facile percorso, la vallata permette di ammirare strutture naturali di rara bellezza e di conoscere qualche episodio della storia del maceratese. Proponiamo un’escursione che si può svolgere comodamente in mezza giornata, senza eccessiva fatica e con alcuni tratti un po’ insoliti per le camminate in montagna.
Il percorso scelto consiste prima nella visita alla Grotta dei Frati, quindi il cammino lungo il fiume fino ad una stretta gola (Forra o canyon). Ci sono due alternative per arrivare alla valle: dal paese di Monastero, presso Fiastra, o da contrada la Villa, vicino a Cessapalombo. Seguiamo quest’ultima strada.
Appena arrivati a la Villa si trovano subito cartelli indicanti il percorso, che inizia con una stradina a destra dopo la prima casa. La strada, ricavata da una vecchia carrareccia, prosegue con salite e discese per qualche chilometro, comunque è abbastanza comoda per qualunque auto. Dove finisce la strada, sul versante sud del Monte Fiegni, inizia subito il sentiero per la valle, ben segnalato da diversi cartelli.
Il sentiero si snoda quasi pianeggiante lungo il bosco di lecci, ornielli e roverelle. E’ ombroso e molto comodo da percorrere. Non c’è granché da osservare, ma si può godere del silenzio che è protagonista di questa parte del percorso, interrotto solo da canti di cicale, rari richiami di uccelli e, purtroppo, da qualche moto che percorre la strada, sul versante opposto della valle, che collega Bolognola a Pian di Pieca.
Ad un certo punto si trovano indicazioni per tre alternative: la grotta, la forra, le Lame Rosse. Proseguendo per la grotta, il sentiero diventa un po’ in salita, ma si arriva poco dopo ad un magnifico belvedere: la vista sulla valle con la stretta forra , incuneata tra alte scogliere verticali, è stupenda e appagante. Ancora pochi metri, sotto un’alta parete calcarea, ci si trova di fronte alla grotta, accolti dai ruderi delle vecchie abitazioni dei frati.
L’interno della grotta, che è di origine carsica (scavata cioè dalle acque percolanti nella roccia), presenta una minuscola cappellina con su un lato un presepio, una cisterna che raccoglie l’acqua di infiltrazione e un altarino con immagini sacre e registro per firmare le visite. Il tutto è molto semplice e austero, il minimo indispensabile per una vita eremitica dedicata all’approfondimento della spiritualità.
L’ambiente è tenuto molto pulito, tanto che di fronte alla grotta, sulla scarpata, le erbacce sembrano falciate recentemente. Poco prima di questa grotta c’è n’è un’altra piccolina (grotta dell’asino), con degli attrezzi riposti: evidentemente volontari o personale del Parco provvedono alla cura di questo luogo molto frequentato, a giudicare dalle firme sul registro.
Il posto è suggestivo, sicuramente adatto alla contemplazione e alla cura dello spirito: la pace che doveva regnare al tempo della permanenza dei frati (fino al XVII sec.), la natura selvaggia ma non troppo ostile, la bellezza del paesaggio, sicuramente potevano stimolare la comunione col Divino. Qui vissero fin dal XIII secolo alcuni frati francescani, detti Frati minori o Clareni: volendo rispettare in pieno le regole di S. Francesco, vivevano di carità, ma anche di qualche coltivazione nelle piccole radure tra la boscaglia. Di fronte alla grotta si notano alcune piante di fico, probabilmente discendenti di quelle da loro introdotte.
Pochi metri avanti, un sentiero breve ma molto esposto sulla ripida parete, consigliato solo a chi non soffre di vertigini, porta ad un’altra grotta dove, nel 1944, si rifugiavano partigiani. La Grotta dei Frati e la valle del Fiastrone, nel maggio di quell’anno, furono al centro di un’aspra battaglia tra forze partigiane e nazifasciste, durante la quale le prime ebbero la meglio. Del resto tutta la zona è stata interessata alle tragiche vicende della Resistenza: nel vicino paese di Montalto nel marzo dello stesso anno ci fu il feroce eccidio di 26 giovani tolentinesi da parte dei nazifascisti.
Per arrivare al fiume si torna indietro fino ai cartelli indicatori e si scende sempre su comodo sentiero, accompagnati dal mormorio delle acque correnti. Qui inizia la parte più divertente (o seccante, a seconda dei punti di vista ): per arrivare all’interno del canyon occorre attraversare il fiume almeno una decina di volte, sia all’andata che al ritorno. I guadi, costituiti da pietre malsicure e tronchi d’albero, non permettono di mantenere completamente i piedi all’asciutto, tanto vale camminare sull’acqua, profonda al massimo 30 cm e fredda, (ma dopo un pò ci si abitua). Il modo migliore per percorrere questo tratto lungo alcune centinaia di metri, è quello di sostituire gli scarponi con robusti sandali per poter camminare anche sul sentiero ghiaioso tra un guado e l’altro, oppure togliersi i calzini e camminare con gli scarponi dentro l’acqua. Il sentiero all’asciutto non presenta difficoltà, ma in alcuni punti si snoda tra fitta vegetazione e bisogna stare attenti ad evitare le “carezze” dei rovi sporgenti.
La camminata è accompagnata dal brontolio rilassante del fiume, che in questo modo sembra raccontare la sua storia, e si fa sempre più interessante man mano che si risale ( con lievissima pendenza), perché compaiono strutture naturali modellate dall’erosione, sia sul fondo della valle che sui fianchi che si avvicinano sempre di più. Nel punto clou del percorso le pareti opposte si toccano lasciando al fiume un passaggio stretto e poco illuminato. Sulle pareti strati di muschi , ricoperti da alghe dai riflessi azzurrognoli, si impregnano d’acqua che cade incessantemente sotto forma di “pisciarelle”: il tutto ricorda un po’ la gola dell’Infernaccio, ma lo spettacolo , nel suo complesso, qui è decisamente superiore.
Si può proseguire lungo lo stretto passaggio fin dove si vuole, a patto di sopportare le acque, ora decisamente gelide, dato che si è obbligati a camminare dentro il fiume. I pochi raggi di sole che riescono a sconfiggere la barriera di rocce e vegetazione aiutano a riscaldare i piedi di tanto in tanto. In fondo un piccolo sacrificio, per ammirare uno spettacolo della natura che è unico nelle Marche.
Il percorso è adatto a tutti: nelle domeniche estive è facile incrociare anche famigliole con tanto di bambini e perfino cagnolini al seguito.
Dal canyon alla carrareccia si può tornare in circa un’oretta; stavolta quasi una metà del sentiero è in salita, ma appagati dallo spettacolo goduto si sopporta facilmente la leggera fatica.
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