Era una fredda sera del marzo 1944, in tempi oscuri per un’Italia allora immersa nel buio della guerra. L’entroterra maceratese era stretto nella morsa del freddo invernale, ma nelle case e nei rifugi segreti, l’opposizione partigiana all’occupazione del nemico nazista fremeva. Si organizzavano e si prefiguravano le azioni future, che avrebbero portato il primo luglio del 1944 alla liberazione di Camerino, dopo la tristissima sequenza di eccidi commemorati ogni anno dall’Anpi e dalle amministrazioni comunali della zona. Anche quella sera nella casa di Campi di Pievebovigliana, della famiglia Marchetti, la luce fioca e ombreggiante delle lampadine elettriche, di scarsa potenza per via degli eventi bellici, era accesa. Una lunga tavolata era piena di gente, giunta alla spicciolata. Quegli ospiti inattesi si chiamavano tra loro patrioti, erano giovani e temperati dalla durezza della guerra. Quella sera i commensali mangiarono ben 120 uova raccolte dai contadini, oltre ad un prosciutto della dispensa di famiglia. Dormirono nascosti nel fienile, per ragioni di sicurezza e ripartirono all’alba per una missione, a tutt’oggi rimasta sconosciuta. A quel desco particolare, fatto dei componenti del gruppo partigiano guidati dai tre fratelli Ferri di Fiastra, sedeva anche un personaggio che avrebbe segnato la storia della politica italiana.
Quel vivace bambino di nove anni, Alessio Marchetti, non sapeva chi avesse di fronte. Gli fu svelato molti anni dopo, quando era ormai trentenne, dal più giovane dei fratelli Ferri, Licinio. Quell’uomo era Sandro Pertini, il “partigiano-presidente” decantato nella famosa canzone di Toto Cutugno. Pertini era fuggito dal carcere romano di Regina Coeli poco più di un mese prima, con un astuto stratagemma, insieme ad altri illustri personaggi, tra cui Giuseppe Saragat. Giunse nelle Marche con lo scopo di riorganizzare sotto un comando unitario le bande partigiane, per collegarle tra loro nelle attività a quelle dell’Umbria, in vista degli eventi successivi allo sbarco degli alleati ad Anzio, avvenuto il 22 gennaio. Il nostro territorio, senza che nessuno si rendesse conto, era importante strategicamente per il transito dei rifornimenti dal centro e nord Italia. Per l’interruzione delle linee ferroviarie, le statali 77 e 77 che da San Ginesio, giungeva sino alla Salaria e poi a Roma, assumevano un’importanza vitale. La zona si configurava così come retrovia dei fronti di Anzio e Cassino, per il passaggio dei rifornimenti ai tedeschi. Pertini ebbe un contatto sia con Pietro Capuzi di Visso, militante socialista in stretto contatto con il Cln romano, che con i fratelli Ferri, in vista della riorganizzazione della resistenza nella zona. “Dopo che durante i rastrellamenti nazifascisti la casa dei Ferri a Fiastra fu incendiata e distrutta – ricorda il dottor Alessio Marchetti che ha ricostruito questa storia dalle testimonianze di familiari ed amici di famiglia – i loro genitori e familiari rimasero 13 mesi nascosti a casa di mio zio. La presenza di Pertini mi fu rivelata circa 15 anni dopo da Licinio Ferri, durante una conversazione privata”.
A seguito della visita di Pertini, strategica per predisporre il blocco dei rifornimenti tedeschi a Roma, fu deciso un rifornimento in grande stile, di mezzi ed armi, per le bande partigiane della zona, riunite sotto la brigata Spartaco, composta anche dal battaglione guidato dal partigiano Pietro Capuzi di Visso, che è stato giustiziato nel maggio del 1944 dai tedeschi, a cui la città natale ha dedicato la piazza principale. Per quanto è dato sapere, secondo la ricostruzione fatta da Gabor Bonifazi, Pertini pranzò una volta al Cacciatore di Muccia, pernottò a Pieve Torina nella Locanda di Menicuccia (Domenica Mosca) in piazza Montalbano, ora Leopardi , nel febbraio del 1944 (Cfr. R. MATTIONI, Pertini partigiano a Pieve Torina, «L’Appennino camerte», 31/12/1981.) La testimonianza dell’importante ruolo svolto da queste formazioni partigiane, viene anche da Giuliano Vassalli, ex ministro della giustizia e presidente della Corte Costituzionale, presso il cui studio legale di Roma collaborava anche il primogenito dei fratelli Ferri, Giuseppe, a cui si unisce Antonio, maggiore dell’aeronautica italiana. A completare il trittico di partigiani di famiglia, si unisce il dottor Licinio, all’epoca studente universitario di medicina. Vassalli venne inviato dalla giunta militare del Cln romano (comitato di liberazione nazionale) in visita nelle Marche, per svolgere il ruolo di ispettore. Vassalli racconta in un contributo scritto raccolto nel volume dell’Anpi “Tolentino e la resistenza nel maceratese” un suo rocambolesco viaggio da Roma, in auto, nella zona di Fiastra. La nascita di un grosso polo partigiano sotto l’egemonia del Cln di Roma, affidata ai socialisti, ha creato uno squilibrio nei rapporti politici precedenti, nel maceratese, creando nuovi interessanti legami da approfondire. La complessità del legame tra la resistenza romana e le formazioni partigiane dell’Alta Valle del Chienti meritano un approfondimento, in base alle ricostruzioni effettuate dal dottor Marchetti, sulla base di pubblicazioni scritte e testimonianze raccolte.
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