“Arde sul Cassero il biancoazzurro”, con queste parole dell’inno della Folgore, scritto nel 1933 dal poeta Tullio Colsalvatico su musica di Anacleto Biondi, è stata salutata ieri mattina la riapertura della torre del Cassero, da sette secoli simbolo di Castelraimondo, di cui fino al prossimo undici dicembre si festeggia la ricorrenza con una serie di manifestazioni. E’ stato il sindaco Renzo Marinelli ad aprire la porta con una chiave in ferra porta da un bambino. Subito dopo è stato un afflusso continuo di gente durante tutta la giornata, per salire sino a metà della torre, (ngrocca) in dialetto, dove da una terrazza panoramica si può osservare dall’alto il centro abitato e tutto il territorio circostante. Il sindaco e l’assessore alla cultura Elisabetta Torregiani, hanno spiegato che è intenzione dell’amministrazione, completare i lavori per rendere visitabile la torre sino all’ultimo piano, a 37 metri di altezza. Si potrà visitare gratuitamente nelle giornate dell’8,10 e 11 dicembre prossimi. A cantare si sono ritrovati il coro polifonico S.Cecilia ed il gruppo Folkloristico di Castelraimondo per alcuni balli. Il vice parroco don Noel Capadngan ha dato la sua benedizione scherzando:”Il vento è segno della presenza dello spirito santo, auguri di festa a tutta la comunità”. Il gruppo Alpini Val Potenza al termine della messa ha regalato una coccardina colorata, per la conclusione delle celebrazioni legate ai 150 anni dell’unità d’Italia. Pienone nel pomeriggio come in
occasione dell’Infiorata in giugno, in tutto corso Italia, in attesa dell’arrivo della fanfara dei bersaglieri in congedo di Jesi. Con le inconfondibili piume verdi del loro pennacchio hanno deliziato con una serie di marce e l’esibizione lungo corso Italia il pubblico presente. Sono poi confluiti in piazza della Repubblica, dove ad attenderli c’erano il coro polifonico Santa Cecilia ed il corpo Bandistico Ugo Bottacchiari. Il momento celebrativo si è aperto con l’inno di Mameli, poi è stato di nuovo intonato l’inno della Folgore e sono risuonate le note della marcia Castelraimondo, scritta dal musicista Ugo Bottacchiari, quando aveva solo sedici anni. Al termine la marcia dal medesimo titolo del maestro Luciano Feliciani, ha concluso la parte istituzionale, si è aperto poi un ritmico concerto dei bersaglieri, che hanno riscosso l’apprezzamento generale. La giornata è stata ripresa da Tv centro Marche. Il servizio andrà in onda martedì 6 dicembre alle ore 19.30 e 23.30. Le celebrazioni continuano con le prove generali delle serate di lunedì 5 e martedì 6 dicembre, delle due giornate di rievocazione, della fondazione e dell’assedio, previste per giovedì 8 e domenica 11 dicembre. Il 7 dicembre serata di
rievocazione della fondazione, con letture e banchetto medievale al teatro comunale.
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In assenza di uno studio sistematico, l’analisi storica scaturisce da una attenta lettura iconografica delle varie raffigurazioni del Cassero e soprattutto dalla veduta prospettica del paese, datata 1850 che, messa in sovrapposizione con la planimetria del 1814 del Catasto gregoriano e successivi aggiornamenti, ha reso possibile individuare l’antico tracciato delle mura di cui la torre era il cardine. Infatti il Cassero, simbolo del paese, stemma e logo del Comune di Castelraimondo, era la cerniera di una cinta fortificata con doppio fossato di cui restano soltanto le tracce della torre, ora campanile di San Biagio, ammantata dalla cella campanaria e parte della casa parrocchiale.
La storia del Cassero, eretto dai Guelfi come baluardo avanzato per contrastare i continui sconfinamenti dei Ghibellini di Matelica e di San Severino, è intimamente legata agli sviluppi urbanistici di Castel Raimondo, una delle poche città fondate del maceratese.
Il 1° dicembre 1311 Raimondo d’Aspello, rettore della Marca, autorizza la costruzione del castello.
1318 il castello è ultimato come risulta da alcuni atti di vendita.
1356 il castello è definito dal Card. Egidio Albornoz: Rocha castri Raimundi.
1406 il castello è occupato dai soldati di San Severino, Matelica e Fabriano, guidati da Carlo
Malatesta, ma è ripreso poco dopo da Braccio Fortebraccio, alleato dei Da Varano.
1429 il castello è assegnato a Giovanni Da Varano.
1433 il castello cade sotto il dominio di Francesco Sforza.
1443 Il castello viene occupato dal Piccinino con i camerinesi, ma lo Sforza lo fa bombardare (il castello era stato edificato prima dell’avvento delle armi da fuoco, sicché‚ subisce il primo danneggiamento; il secondo, come vedremo, arriva sul finire dell’Ottocento con la costruzione del Municipio).
1502 il castello è così descritto nell’inventario borgesco: castello murato et ha la torre,
ha fuochi n. LIX … Item ha Homini sopre XV anni n. CLIIII.
1875 al cassero è accorpato il Palazzo del Municipio.
L’interessante fortificazione trecentesca costruita ai tempi di Gentile Da Varano, quindi prima dell’avvento delle armi da fuoco, deve essere stata adeguata alla difesa ossidionale in seguito al bombardamento del 1443 operato dalle truppe di Francesco Sforza.
Nel 1875 arrivò il secondo “bombardamento” con la costruzione accorpata del Municipio previa, la demolizione di strutture preesistenti come si evince da un’attenta lettura del rilievo planimetrico del catasto Gregoriano.
Da alcuni anni il Cassero versa in condizioni di degrado dovute sia agli agenti atmosferici che ad interventi umani di tipo provvisorio.
Nel nostro secolo scorso è stato restaurato tre volte: nel 1927, nel 1978 e nel 1999.
L’edificio è costituito da un’alta e grossa torre rivestita alla metà di una camicia con base a scarpa: in sostanza, trattasi di due torri, l’una sovrapposta all’altra, inferiore più ampia. Entrambi gli elementi erano provvisti di difesa piombante che avveniva attraverso le caditoie poste tra i beccatelli e protette da merli alla ghibellina. Probabilmente erano rafforzati da ballatoi mobili e bertesche. All’interno, ancora leggibili le imposte in pietra dei vari piani (quello di copertura è voltato in pietra), una volta accessibili mediante scale a pioli sia per la camicia, piena nella zona scarpata, sia per la torre che su essa sorge. L’ingresso avveniva attraverso un’alta posterla, quello alla torre era praticato anch’esso alto sul piano del ballatoio, in modo da disimpegnare le due parti che formavano il cassero. Sotto il ballatoio girava un corridoio con arciere strombate.
La torre misura m. 37.80 d’altezza e m. 6.70 di lato di cui la camicia m. 19.40 e 11.60 di lato.
Il Cassero è rastremato in tre parti:
1) Troncopiramidale [h. 4.20 ÷ 4.70 m.], a pianta rettangolare con lati pari a metri 15.10 x 15.30 a terra e a 11.60 nella parte alta.
2) Parallelepipedo [h. 15.20 m.], a pianta quadrata con lati pari a metri 11.60. La misurazione è stata effettuata dalla parte stretta della scarpa, priva di cordonatura, allo spalto dove rimangono diversi beccatelli superstiti.
3) Parallelepipedo [h. 18.40 m.], a pianta quadrata e lato pari a 6.70 metri. La misurazione è stata effettuata dal piano dello spalto alla parte terminale del cassero.
Trattasi di un edificio anomalo con analogie tipologiche alla Torre di Carpignano di San Severino e a quelle delle Milizie e dei Conti di Roma. Sulle pareti si aprono una porta di soccorso, feritoie, finestre e alcuni fori da ponte .
Una volta alla sommità dei due tratti di torre aggettavano i parapetti con sovrastanti merli alla ghibellina e, come testimonia una stampa del 1850, in origine doveva misurare m. 46 ca. d’altezza, infatti, vi era in cima un torrazzo alto 8 m., demolito dopo il terremoto del 1799 perché‚ pericolante.
La struttura portante del Cassero è costituita da muratura piena in arenaria, con paramento esterno in conci squadrati a vista, a corsi regolari. Le pietre hanno una colorazione giallastra tendente all’ocraceo, anche se non mancano conci di colorazione rossastra, dovuta alla presenza di ferro. Oltre all’arenaria, si sono riscontrati in numero molto limitato inserimenti di conci in travertino, sia all’esterno che all’interno. Per quanto riguarda il legante, troviamo in tutta la muratura perimetrale esterna la calce aerea; nel vano scala un tipo di calce moderatamente idraulica, di colore biancastro, che macroscopicamente sembra contenere polvere di marmo; all’interno del primo piano la malta cementizia, dovuta a precedenti restauri.
L’edificio presenta un cattivo stato di conservazione legato, oltre che a fenomeni di natura sismica, all’incuria, agli agenti atmosferici e al deterioramento dei materiali. Una prima causa è da attribuire alla poca compattezza della muratura, dovuta allo sgretolamento della malta, soprattutto nella muratura perimetrale esterna; naturalmente anche la mancanza di manutenzione è stata una causa non secondaria di deterioramento, in quanto gli agenti atmosferici hanno fatto sì che la muratura si ricoprisse in numerosi tratti di muschio, o di vegetazione spontanea delle cui radici si conosce l’azione devastante. È’ inoltre da rilevare come la pietra arenaria abbia avuto delle trasformazioni nel corso dei secoli, dovute alle piogge e all’umidità: la pietra infatti in certi tratti è stata corrosa in tutta la superficie scoperta, che risulta più incavata rispetto alla malta, arrivando al caso limite della completa corrosione e quindi scomparsa.
L’effimero è spesso legato ai mercanti di giochi e alle loro relative fortune, per quanto riguarda le vendite di castelli come modelli inconsci e metaforiche difese dei nostri sogni. Al contrario la nostra fortezza rimane il tempio della scienza militare trecentesca che, vuota d’arredi, non espone altro che il proprio essere racchiudendo l’idea del tempo e dello spazio. Si può definire il cassero come macchina del tempo, della lentezza ossidionale e idea segnale del traguardare attraverso rapporti angolari.
La fortezza è una potenza metafisica sviluppatasi nel corso del tempo.