Una foto d’epoca di veduta aerea della Cecchetti
Ricorre giovedì il 75esimo anno dall’occupazione degli operai della fabbrica Cecchetti. Un pezzo di storia della città dimenticato, ma che rivive grazie ad alcune testimonianze storiche, poesie e articoli di giornali che raccontano la mattina di lunedì 7 novembre del 1949 quando gli operai superarono il blocco della polizia ed entrarono in fabbrica a lavorare, in barba al divieto della proprietà che aveva in progetto il licenziamento di 1000 dipendenti. Una presa di posizione che racconta le lotte sindacali di quel periodo post bellico e la dignità dei lavoratori civitanovesi.
Amedeo Regini
A ricordare questo pezzo di storia, in occasione dell’anniversario è Amedeo Regini che ha raccolto le fonti storiche ricostruendo quanto accaduto. Questo il suo racconto:
«Domenica 6 Novembre 1949 sin dalla mattina il cinema Rossini era strapieno, i Pci celebrava il 32° anniversario della rivoluzione russa. Nonostante gli interventi appassionati degli oratori nella sala stracolma serpeggiava tanta preoccupazione e inquietudine. La preoccupazione era legata al giorno dopo, il destino della azienda Cecchetti e dei lavoratori. Quella inquietudine non era solo circoscritta ai presenti in quella sala ma come una cappa avvolgeva tutta Civitanova perché si era diffusa la voce che alla Cecchetti ci sarebbero stati 1000 licenziamenti.
Le preoccupazioni erano legate ad un avviso della direzione aziendale che il lunedì i cancelli della fabbrica sarebbero rimasti chiusi. La motivazione dei dirigenti della Cecchetti era che quel giorno sarebbe venuta a mancare l’energia elettrica. Una spiegazione che non convinse i lavoratori e la Commissione interna perché già ad ottobre la direzione della fabbrica aveva proposto una drastica riduzione delle ore di lavoro e di licenziare gli operai over 60. Era evidente che quella chiusura, fra l’altro annunciata senza sentire la Commissione interna, era una scusa. L’obbiettivo della proprietà e del gruppo dirigente dell’ azienda era quello di testare la reazione dei lavoratori.
Le immagini storiche della protesta
La Cecchetti era in crisi non solo per gli effetti provocati qualche anno prima dal bombardamento che aveva danneggiato le strutture, ma anche per il “saccheggio” dei macchinari effettuato dai militari tedeschi nella ritirata. A questa situazione si aggiungevano le difficoltà della ricostruzione, le scarse commesse da parte dello Stato ma soprattutto la debolezza finanziaria dell’azienda. Una crisi finanziaria perché il regime fascista non aveva saldato i conti del materiale bellico commissionato alla Cecchetti. Come scrisse il dirigente comunista e all’epoca giornalista de L’Unità Nino Cavatassi il gruppo dirigente dell’azienda guidato da Riccardo Cecchetti si dimostrava incapace di gestire una situazione così complessa e difficile. Crisi della più grande fabbrica del territorio, crisi della città, per le famiglie un futuro incerto e difficile. Quei lavoratori orgogliosi del loro lavoro, della loro forza e unità sono gli stessi che dopo il bombardamento anglo americano che danneggiò pesantemente la fabbrica si erano rimboccati le maniche e avevano lavorato alla riparazione dei danni provocati dalle bombe e dai tedeschi. Insieme alla fabbrica ricostruivano le loro vite, le loro famiglie, il futuro della città. Quella grande manifestazione al cinema Rossini si trasformò in un’ assemblea dove inevitabilmente l’oratore Nando Mancinelli segretario della xamera del lavoro parlò della crisi della Cecchetti, delle rivendicazioni sindacali avanzate dalla commissione interna inconciliabili con le proposte della direzione aziendale. Fece presente che era particolarmente grave e provocatorio il provvedimento di serrata deciso arbitrariamente dalla direzione e senza valide motivazioni. Rivolse infine, senza toni esagitati, a tutti gli operai l’invito a recarsi ugualmente al lavoro il giorno dopo e riunirsi alle otto, all’interno della fabbrica, per discutere dell’allarmante situazione venutasi a creare. Precisò che l’assemblea, come sempre era avvenuto in passato, si sarebbe tenuta dentro lo stabilimento anche se si fossero trovati i cancelli chiusi e concluse con un appello alla cittadinanza e ai dipendenti di altre aziende di non far mancare la solidarietà agli operai della “Cecchetti” e di sostenerne l’azione”.
Il lunedì i lavoratori della Cecchetti nonostante la serrata si sarebbero comunque presentati al lavoro. In sostanza uno sciopero alla rovescia. Già nel pomeriggio di quella domenica le autorità, dal Prefetto alla Polizia, si erano messe in allarme per evitare il peggio: la possibile occupazione della fabbrica. Il Prefetto di Macerata diffidò il segretario della Commissione Interna della Cecchetti Mariano Borraccetti a tenere un’ assemblea dei lavoratori dentro la fabbrica. Cosa questa nel passato sempre consentita dalla direzione aziendale ma questa volta negata. La tensione in città e soprattutto dei lavoratori e delle loro famiglie era alta. Già nella notte attorno alla Cecchetti giravano pattuglie dei carabinieri. Occorreva decidere cosa fare, quale risposta dare e, convocati i lavoratori dopo una concitata riunione con tanti interventi, fu adottata all’unanimità una decisione: il lunedì i lavoratori si sarebbero presentati sul posto de lavoro. Se questo fosse stato impedito si sarebbe chiamata la cittadinanza allo sciopero generale cittadino. Quel freddo mattino dell’ 8 novembre i lavoratori trovarono davanti alla Cecchetti un nutrito schieramento di Polizia e Carabinieri. Intanto la mobilitazione della città era iniziata; era iniziato lo sciopero cittadino. Civitanova ribolliva, il freddo non impediva di vedere per il centro della città e a San Marone capannelli di cittadini, di donne che cominciavano ad organizzarsi. Bisognava trasformare la mobilitazione, dargli forza e chiamare la città allo sciopero. Così la Commissione Interna della fabbrica affidò a Natalino Mori, segretario della sezione comunista “Bruno Ferrari” di Civitanova Alta, il compito di occuparsi di questo aspetto importante della mobilitazione. Così Natalino Mori cominciò a girare per la città con una macchina dotata di altoparlante che con slogan chiamava i civitanovesi alla lotta. La città rispose tanto che le forze dell’ordine calcolarono in 2000 i civitanovesi che scesero in strada, fra i quali un grande numero di donne.
La concitazione davanti alla fabbrica era tanta e la tensione era al massimo quando la situazione precipitò: le forze dell’ordine lanciarono verso la folla lacrimogeni e due camionette della “Celere” sbarrarono un accesso della fabbrica. Le forze dell’ordine misero in atto un’ azione di contenimento, vi furono degli scontri e a scopo di intimidazione spararono in aria alcuni colpi di arma da fuoco. Gli esiti degli scontri non potevano che essere due: sciogliere la manifestazione oppure essere conseguenti e occupare la fabbrica. Il dilemma fu sciolto da un gruppetto di operai con alla testa Federico Fornari. Alcuni operai si staccarono dalla massa, fatto il giro della fabbrica scavalcarono il muro di cinta che non era presidiato, beffati i carabinieri che intanto erano dentro la fabbrica presero delle mazze e dall’interno ruppero i cancelli. Un fiume di operai e di cittadini entrarono nella fabbrica, nel trambusto ci furono incidenti e qualche scontro con carabinieri e polizia. Nei tafferugli che ne scaturirono vi furono vari contusi fra i lavoratori a causa delle manganellate della polizia. Lo stesso segretario della Camera del Lavoro Mancinelli che era salito sopra una camionetta per chiamare alla calma venne travolto assieme alla camionetta riportando qualche lesione. La fabbrica era occupata e la conseguenza fu che gli operai tornarono nei loro reparti con la proposta della Commissione interna che vi fosse una autogestione.
La motivazione dell’azienda di chiudere la fabbrica era stata la mancanza di energia elettrica, ma i lavoratori quello stesso giorno poterono constatare che non era vero. Si era trattato di una serrata. In prefettura furono convocati la proprietà, la direzione della Cecchetti e i rappresentanti della Camera del Lavoro e del Consiglio di fabbrica.
Dopo una lunga trattativa fra le parti venne raggiunto un accordo: collocare in pensione un numero di lavoratori anziani con relativa congrua buona uscita, nessuna riduzione di ore lavorative e un impegno congiunto di intervenire presso il governo e i parlamentari affinché venissero assegnate alla Cecchetti maggiori commesse di lavoro. Non tutto finì con l’accordo fra sindacati e proprietà della Cecchetti. Infatti quanto avvenuto l’8 novembre fu segnalato dalla Questura di Macerata. Così i dirigenti della Commissione Interna e altri attivisti sindacali, il Segretario della Camera del Lavoro vennero interrogati presso la Pretura di Civitanova Alta, erano Nando Mancinelli, Mariano Borraccetti, Luciani, Aldo Cingolani, Nino Cavatassi, Attilio Bigoni, Federico Fornari, Natalino Mori, Alessandro Temperini, Arturo Rossi, Gustavo Rogani.
Il 15 dicembre si tenne il processo presso il tribunale di Macerata. Gli imputati furono difesi dagli avvocati Domenico Rizzo e Virginio Borioni. Nando Mancinelli venne condannato ad un anno di reclusione, Cingolani, Bigoni, Borraccetti, Temperini, Rogani, Luciani ad otto mesi. Natalino Mori segretario della sezione del Pci di Civitanova Alta condannato ad otto mesi e quindici giorni di reclusione per aver effettuato propaganda sonora senza autorizzazione. Tutti gli altri vennero assolti. Nino Cavatassi non subì nessuna condanna in quanto era presente alle manifestazioni in qualità di giornalista per l’Unità. Furono condanne dure verso le quali gli avvocati fecero appello. Non ci fu il processo di appello in quanto sopraggiunse l’amnistia. L’operaio della Cecchetti Pietruccio Cerquetti per l’occasione scrisse la canzone 7 novembre 1949 sull’aria ”Sortivo allegramente dal mio quartiere”.
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…e poi mi pare che, alla fine, i ‘comunisti’ sistemarono tutto…mi pare eh!!! gv
erano i primi anni ottanta, lavoro alla Marinelli in via Volta a Civitanova Marche, guardavo alla Cecchetti come un sogno da raggiungere, di lì a poco purtroppo tutto stava finendo, il vanto di una storia lunghissima fatta di tornitori saldatori montatori si stava dissolvendo come neve al sole, così come la bella storia di Civitanova Marche fatta di maestranze di quella eccellenza antica , non più replicabile, inghiottita dai condomini e dalla nuova velocità commerciale.