di Filippo Davoli
Ne sono rimasto sorpreso, lo confesso. Ma la notizia mi ha rallegrato enormemente: Macerata capitale della cultura. E perché no, di grazia? Di fronte alla candidatura (all’autocandidatura, diciamo…) ho pensato bene di stappare una bottiglia e brindare. E ho brindato, brindato e ancora brindato, fino a cadere in un delizioso sopore, all’interno del quale ho ricominciato a sognare. Macerata granne era ancora più grande, maestosa. E da ogni vicolo spuntavano artisti e personaggi di ogni epoca e stile. Scrittori, musicisti, cineasti, cantanti, il centro storico pullulava di vita e di energia. Una città di sogno, insomma! Ricordo benissimo tutto:
Sotto la loggia dei mercanti, Milan Kundera – nel vano tentativo di collegarsi ad internet col wi-fi cittadino – scriveva L’insostenibile leggerezza dell’etere.
Gli faceva eco, dal punto di collina dove prenderanno il via i lavori della Mattei-La Pieve, il grande Alessandro Manzoni col suo romanzo Le promesse spese.
Nel frattempo, in Municipio l’assessore allo Sport si intratteneva familiarmente con Vittorio Alfieri, che gli stava dedicando il suo celeberrimo Volley, sempre volley, fortissimamente volley.
Ben altre agitazioni animavano i settori professionali e commerciali, di fronte al sistematico rincaro delle tasse.
Un lungo corteo formatosi contro Equitalia si snodava per le vie della periferia, capitanato da Patty Pravo che cantava Le tue mani su di me.
Certo che una città bella e candidata ad essere capitale della cultura non dovrebbe permettersi quartieri col verde in abbandono tra immondizie di ogni genere.
Se ne era accorto anche James Joyce che, assistendo alla raccolta dei rifiuti da parte del Cosmari, aveva iniziato a scrivere un nuovo romanzo, intitolato Pulisse…
Da sotto le gronde, a ridosso dei palazzi, giungevano le note di uno smagliante Alberto Rabagliati in Baciami, piccione.
Incentrata sulle scorribande studentesche del giovedì, vissute dalla parte dei residenti, la poesia di Cesare Pavese: Verrà la notte e avrà i tuoi orecchi.
Per la movida si trovava in città anche il cantautore Enrico Ruggeri, con la sua Mi sturo.
Con lui, in forza dell’ormai acquisita internazionalità della città, gli Eagles con il celeberrimo brano Hotel Calisbornia.
I ragazzi vestivano in maniera strampalata, con capigliature giamaicane, tanto che Domenico Modugno interpretava per loro Rasta cu’mme.
Ormai si era normalizzata la spinosa faccenda della Ztl. E sebbene il costo della sosta per carico e scarico delle merci avesse ispirato a Umberto Bindi Il nostro sconcerto, le regole per come e dove parcheggiare avevano avuto l’agio della spiegazione scritta di Umberto Eco: Il come della cosa.
C’era ancora qualche residente inquieto Alla ricerca del posto perduto (Proust), ma in buona sostanza l’amministrazione si riteneva soddisfatta e aveva diramato un lungometraggio di traguardi raggiunti, a firma di Margareth Mitchell, intitolato Via col vanto.
Il filmato si apriva con Antonello Venditti che, indirizzato al sindaco, intonava sotto il Municipio la sua Grazie, Roma(n).
Le riprese non riportavano, ovviamente, i problemi ancora irrisolti: Thomas Hardy dedicava al mutuo per il polo natatorio il suo Via dalla pazza falla.
Harper Lee si concentrava nei sopralluoghi post-sisma con Il buio oltre le crepe. Rita Pavone, a caccia dell’ingresso del Park Sì, cantava a squarciagola Datemi un cartello. Renato Zero, guardando l’involuzione del mercato immobiliare, incideva Mi svendo.
Dalla garitta di Rampa Zara gli faceva eco Tiziano Ferro con la sua Ti scatterò una foto. Orietta Berti, colpita dal passeggio notturno in Viale Don Bosco, cantava In via dei cicli ameni.
Lungo la Strada di scorrimento Sud, all’incrocio tra via Pesaro e Via Mattei, Fred Bongusto si concedeva Una rotonda sul muro.
Di fronte alle numerose colonie feline del centro storico, Robert De Niro e Ben Stiller interpretavano Ti presento i miao. Primo Levi si chiedeva invece come mai, a fronte dei danni del terremoto a tutte le chiese, si provvedesse a sanare prima San Filippo che la Cattedrale, nel suo Se questo è un duomo.
Non mancavano ovviamente i vigili urbani e i controllori dell’Apm; li rappresentava Jovanotti, canticchiando la sua Ti sposserò.
Anche questa volta la sveglia mi ha ridestato, ma sono riuscito – prima di riaprire gli occhi – a incrociare il grande Charles Aznavour: osservava Macerata capitale senza parlare, poi riprendeva la strada di casa intonando Com’è allegra Venezia.
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