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“Così Fanfani sfuggì
ad un tragico destino”

ESCLUSIVA - Il brigadiere Ismeno Fabbri per 33 anni al fianco dell'ex presidente del Senato racconta un pezzo di storia italiana dal suo ritiro di Serravalle di Chienti. Enrico Mattei, Aldo Moro e Gianni Agnelli tra i protagonisti visti da palazzo Giustiniani

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fanfani

Amintore Fanfani

 

di Maurizio Verdenelli

“Questa è la rovina d’Italia! esclamò sgomento il Presidente quando seppe, la sera del 27 ottobre di 51 anni fa, della morte di Enrico Mattei”. Il Presidente del Senato, era allora Amintore Fanfani che avrebbe, in modo preveggente, definito “l’attentato all’aereo dell’Eni, il primo atto terroristico nel nostro Paese”. “E pensare che lui si sarebbe salvato dalle Brigate Rosse, sedici anni più tardi, solo perchè venne avvisato in extremis di quello che si stava preparando contro di lui, ancor prima contro Aldo Moro. I brigatisti glielo fecero poi sapere: lui era scampato al piano, per un soffio!”. A ricordare così, per la prima volta con un giornalista, è Ismeno Fabbri, 85 anni, brigadiere dei Carabinieri distaccato per 44 anni al Senato come assistente capo del Presidente, la seconda carica dello Stato (“Prima con Cesare Merzagora e per 33 anni con Amintore Fanfani”).

Amintore Fanfani con Enrico Mattei

Amintore Fanfani con Enrico Mattei

 

Fabbri, aretino d’origine (nato a Laterina “tra guelfi e ghibellini”) trascorre l’estate a Colfiorito in un residence che per un metro o due è in territorio marchigiano, nel comune di Serravalle di Chienti, di cui fu sindaco (per tre mandati) il prof. Giuseppe Giunchi medico curante di Moro. Di Dignano, frazione sull’altipiano da cui si dominano i cantieri della soc. Quadrilatero, è invece originario Filippo Bartoli, il proprietario della R4 rossa dove fu trovato il 9 maggio 1978 il corpo dello statista ucciso dalle BR (l’auto gli era stata rubata qualche mese prima). Coincidenze che in quella drammatica primavera del ’78 fecero, seppure per qualche attimo, sussultare. “Tre o quattro giorni prima dell’agguato di via Fani, il capo della Polizia, Vincenzino Parisi, chiede di me al Senato. ‘Vieni subito’ mi fa. Dopo poco sono davanti a lui. ‘Mi dica, Prefetto’. ‘Avverti il Presidente che stasera per nessuna ragione deve tornare a casa’, mi dice senza volermi dare ulteriori spiegazioni. Torno a Palazzo Giustiniani e a Fanfani che mi chiede noncurante: ‘Novità?’ riferisco della raccomandazione di Parisi. Che Fanfani non voleva assolutamente ascoltare. ‘Ma come si fa?! E che dico alla mia famiglia?!’. ‘Presidente, lo sa, qui c’è un appartamento a sua disposizione, è troppo pericoloso uscire stasera da qui’. Alla fine lui si convince, e l’appartamento viene reso pronto in tre ore dal capo del cerimoniale, Rossi. Così Amintore Fanfani si salvò dal rapimento. Più tardi le BR gli fecero sapere che l’obiettivo primario era proprio lui, ma che avevano desistito perchè troppo protetto. Io stesso, come suo capo assistente, ero stato ‘schedato’: il mio nome fu infatti trovato nel corso del blitz nel covo dei terroristi in via Montenevoso, a Milano”.
220px-Aldo_Moro_br“Poi cercò di salvare Moro dal suo tragico destino. Ricordo Craxi a Palazzo Giustiniani almeno 3 volte in quei drammatici 55 giorni ed ero io che mettevo telefonicamente in comunicazione il Presidente con eminenti personaggi del Vaticano (tra questi cito il cardinal Dell’Acqua e monsignor Monduzzi) che era rimasta l’unica strada percorribile: papa Montini, Paolo VI era notoriamente amico fraterno dello statista nelle mani dei brigatisti. Rammento la signora Moro, una marchigiana, che letteralmente ‘si sfogò’ con Fanfani: le cose non andavano per nulla per il verso giusto. Ma tutto, come noto, era nelle mani del ministro degli Interni Cossiga del presidente del consiglio che allora era Andreotti”.
Fabbri è un fiume (della memoria) in piena. “Fanfani e la sua famiglia vivevano a Roma in un appartamento, normalissimo, in un condominio decoroso ma pure questo normalissimo in viale Platone. In questo c’era una saletta dove il Presidente riceveva i suoi ospiti ‘speciali’. Tra questi, sopratutto Enrico Mattei. Ed una volta insieme con lui, anche Gianni Agnelli. Che veniva ritualmente ogni volta a Palazzo Giustiniani a presentare ogni modello nuovo che produceva Fiat. Ricordo la volta della Panda e come lo stesso Avvocato rivelasse a Fanfani come la voce popolare l’avesse subito ‘ribattezzata’ in un certo modo giocando sul nome, dopo che il Presidente aveva mostrato di apprezzarne la duttilità e la capacità di fare spazio nell’abitacolo. Petrolio, carburanti, auto procedevano per un’unica strada, quella della modernizzazione del Paese. Tutti e tre stavano da una parte sola”.

Enrico Mattei a caccia a Colfiorito

Quinto Cellini sul lago con un cacciatore: Enrico Mattei (?). Collezione Cantarini

 

Colfiorito è un luogo magico ed evocativo. Qui veniva, nel 1952, quando il lago non era ancora una palude, Enrico Mattei, ancor prima di Anterselva Rasen, in Sud Tirol, dove avrebbe poi acquistato una proprietà, riservandosi la pesca sul meraviglioso specchio d’acqua a 1.700 metri. Ricorda ancora Fabbri. “Mattei chiedeva spesso udienza al Presidente del Senato. Che subito mi ordinava di far posto in agenda e poi d andarlo a ricevere. Del fondatore dell’Eni, aveva una stima profonda. ‘Di lui si può parlare quando si vuole, ma resta sempre lui. Ce ne vorrebbero altri cinque o sei, così in Italia!”. Ed io: ‘Presidente, Mattei è riuscito a mettere nel sacco le Sette Sorelle, come le chiama lui?’. ‘Sì, solo lui poteva farlo’. Tra Mattei e Fanfani i colloqui duravano un’ora e mezzo circa. E se arrivava il momento della cena, desinavano insieme e così succedeva anche per il pranzo”.

Ancora su Mattei. ‘Sua efficienza’, così come Fanfani aveva definito Fabbri, andava a prendere in auto a palazzo Madama il presidente dell’Eni. “Quando mi vedeva, aveva sempre un grande sorriso per me. Aveva infatti saputo che mia moglie, Anna era colfioritana (a Roma allora abitavamo nello stesso Palazzo Giustiniani, al piano superiore degli uffici del Presidente del Senato) e che dunque un pò marchigiana e data la simpatia notissima che nutriva per la propria terra, questo mi rendeva per via parentale un pò affine a lui. ‘Ecco il tosco-marchigiano!’ diceva tutte le volte. Io, in macchina, mi sentivo autorizzato ad ‘interrogarlo’. ‘Presidente, ma com’è questa burrasca del petrolio?!’. E lui: ‘Nessun problema. Noi andiamo dai Paesi produttori senza dimenticare che il petrolio è ‘loro’ e gli facciamo condizioni più giuste. Siamo ormai molto preparati tecnicamente per attingere (diceva testualmente) nel sottosuoplo a questa ricchezza. Mettiamo dunque a disposizione delle popolazioni i nostri macchinari d’avanguardia per godere in modo giusto di un benessere che non può essere per una parte sola.

Il funerale di Enrico Mattei

Il funerale di Enrico Mattei

Dopo quel tragico 27 ottobre 1962, Fanfani insieme con Gronchi partecipò al funerale di Matelica che vide diecimila persone dietro il feretro. Ritornò altre due volte a Matelica per offici funebri nei vari anniversari, ed una volta visitò la cappella di famiglia”.  “Una cosa non dimenticherò mai: il sorriso di Mattei” ricorda Ismeno Fabbri “Uomini profondamente generosi ed attivissimi, lui e Fanfani. Che da parte sua non dimenticava di essere docente di storia economica a La Sapienza. Senza testi e senza l’ausilio di assistenti, faceva regolarmente lezione, andando a piedi accompagnato da me a Palazzo Borghese (sede della facoltà) e dava esami. Una volta diede ad uno studente 18 con lode! Quest’ultima perchè aveva dimostrato d’aver studiato, il 18 ‘perchè -disse- non ci …aveva tuttavia capito nulla!”.
Dice ancora Fabbri: “Lui era un uomo dalle energie incredibili, tutto doveva essere fatto alla svelta. Ti impegnava al massimo. Non poche volte tuttavia le sue convocazioni non sortivano l’effetto dovuto: mancando i cellullari, allora, spesso il centralino di palazzo Madama e la ‘batteria’ del ministero degli Interni non riuscivano a contattare tutte le alte personalità che Fanfani chiamava a raccolta: di cinque, sei tuttalpiù si presentava alle riunioni d’urgenza al massimo uno! Con lui ho lavorato tantissimo ma con grande soddisfazione. Quando per ricordare il padre, il figlio Giorgio mi chiese un ricordo da pubblicare, rammentai di quella volta che passando per le dolci colline senesi (eravamo entrambi toscani di Arezzo e il Presidente non lo dimenticava) Lui, che era un bravissimo pittore, mi annunciò che di quel paesaggio avrebbe fatto un quadro ed addirittura mi chiese di proporgli un titolo. Vedendo quelle linee ondulate che sembravano in continuo movimento dal finestrino dell’auto, arrischiai: “La danza delle ore” riscuotendo un entusiastico ‘bravo!’. E così Fanfani chiamò il suo quadro”.
“Un uomo buono, alto, autorevole, ero un ragazzino ma ricordo bene quei momenti, gli amici che lo seguivano, mio nonno paterno, Quinto che lo guidava sul lago”. E’ la testimonianza a Renzo Cellini, titolare del bar Barchetta a Colfiorito. “Saliva con suo fratello Italo, da Matelica. Ad attenderlo c’erano i professori Guasoni e Silvestrini (quest’ultimo avrebbe dato il suo nome all’ospedale generale di Perugia) e l’ing. Fabio Ciuffini. Una volta un mio cuginetto fu da loro visitato…al momento. A mò di lettino, un muretto sul lago. Il medico di famiglia aveva sentenziato che il ragazzino dovesse essere operato d’ernia, ma Guasoni disse che sarebbe bastato un semplice cinto. Così fu”.
superstrada colfiorito

Mattei, l’uomo che vedeva il futuro (dal titolo di una fiction Rai di successo, qualche anno fa) aveva previsto, oltre 60 anni prima, quello prossimo di Colfiorito. “Un grande snodo viario sull’altipiano millenario nel cuore del centritalia -dice Cellini- tanto che avendo preso in simpatia mio nonno, gli aveva proposto di aprire una grande stazione di servizio Agip. Quinto ci pensò a lungo, ne parlò in famiglia. Proprietà non ne aveva, tuttavia. Così non se ne fece più nulla. E Mattei qualche anno dopo lasciò il lago di Colfiorito per Anterselva Rasen. Qui la sua guida, Pietro Hitthaler, la sua guida, sarebbe diventato anche il suo factotum. Avrebbe aperto un grande stazione di servizio a Brunico e sarebbe sfuggito per un soffio alla morte insieme con Mattei sul cielo di Bascapè. Ma questa è un’altra storia.
Come quella che sembra attendere Colfiorito, i cui residenti sono divisi sugli effettivi vantaggi, per il paese a 16 anni dal terremoto, della ‘via veloce’. Concordi, però, sul fatto di un sostanziale disinteresse da parte di Foligno. ‘Non c’è rispetto per il passato, c’è ora da sistemare l’area dell’ex caserma, e c’è la minaccia di fare un unico parcheggio. Eppure questo è stato un campo d’internamento, la storia c’è passata, insieme con tanta una sofferenza. Interessa a qualcuno questo, Mattei avrebbe avuto più considerazione per il ‘suo’ lago”.

 



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