Se è vero, come scritto in alcuni commenti, che nel dibattito politico cittadino dovranno pur esistere delle priorità, è altrettanto vero che nessuna questione può essere liquidata come secondaria o irrilevante se prima non se ne verifichi la portata e le possibili ricadute sul tessuto cittadino. Da questo punto di vista il tema dell'uso strumentale degli animali nel circo, così come è posto da Savi, non è tanto un accanirsi contro il circo degli animali in quanto tale, quanto un prendere posizione nei riguardi di un 'costume' (l'esibizione degli animali nel circo) che fino a non molto tempo fa era tacitamente accolto dal buon senso comune come 'buono', 'sano' e 'normale' e financo 'educativo'. Oggi, in realtà, le cose non stanno più in questi termini e non solo il 'buon senso comune', ma anche lo stato attuale della riflessione della scienza e sulla scienza, attestano che il tema più generale dei diritti degli animali non è tema secondario o da eludere con un semplice '...si, ma ci sono cose più importanti...'. Esiste, ad esempio, un fervido dibattito sulla liceità della sperimentazione animale nella ricerca scientifica dove sul piatto della bilancia ci sono da un lato gli effettivi benefici per l'umanità dei risultati di tale ricerca e ,dall'altro, le sofferenze più o meno gratuite alle quali vengono sottoposte le cavie. Ora, dal mio punto di vista, la questione sollevata da Savi merita di essere esaminata e discussa proprio perché tocca uno dei 'modi' in cui si manifesta la questione dei diritti degli animali che, a sua volta, è uno dei 'modi' in cui è possibile leggere la questione del rapporto dell'uomo con gli altri esseri viventi e con l'ambiente in cui vive. Pertanto si può essere d'accordo o no con Savi , ma mi sembra che si possa sostenere con difficoltà (e con una buona dose di qualunquismo) che trattasi di argomento che non interessa la collettività. Si..."un'occasione persa"
Dl mio punto di vista l'intenzione artistica del Cavalier Prato è perfettamente espressa dall'istallazione in oggetto per due motivi principali:
a) per la natura stessa dell'istallazione che, a mio avviso, non può essere definita 'discarica per via dell'organizzazione compositiva dei suoi elementi e per la finalità della stessa, che non è quella di smaltire, riciclare o nascondere i rifiuti, ma organizzare questi in nuove forme, tali da essere fruite esteticamente
b) perché ha innescato un dibattito non banale e ne superficiale sull'arte, al di fuori dei luoghi ( aule, musei ecc) che gli sono propri, 'on the road' e 'on the web'...
Per chi ha pazienza allego alcune brevi citazioni di U. Eco
Il concetto di "opera aperta" venne proposto per la prima volta da Eco in una comunicazione tenuta al XII Congresso Internazionale di Filosofia, Venezia, 1958 (la comunicazione fu pubblicata negli Atti del Congresso, Sansoni, Firenze 1961, e ripubblicata da Eco nel suo La definizione dell'arte, Eco [1968-1972: 163-170]). L'arte, "come fatto comunicativo e di dialogo interpersonale", si fonda su una "dialettica di 'definitezza' e 'apertura' " (ivi: 164), nel senso che da una parte l'artista "pone capo ad un oggetto compiuto e definito, secondo un'intenzione ben precisa", dall'altra parte l'oggetto artistico "viene fruito da una pluralità di fruitori ciascuno dei quali porterà nell'atto di fruizione le proprie caratteristiche psicologiche e fisiologiche, la propria formazione ambientale e culturale" (ivi: 163). Ma, per esempio, nelle poetiche del simbolismo francese, nel peculiare simbolismo delle opere di Kafka, nelle opere di Joyce è proprio l'artista ad esaltare questa 'naturale' apertura della comunicazione estetica, proprio l'artista mira "a favorire non tanto la ricezione di un significato preciso, quanto uno schema di significato", a comunicare l' "ambiguo", il "polivalente", a far sì che l'opera si offra "ad un'inesausta possibilità di lettura" (ivi: 164, 165). Senza dubbio, sottolineava Eco in un altro saggio ("Un consuntivo metodologico") contenuto ne La definizione dell'arte, l'opera d'arte "sta diventando sempre più, da Joyce alla musica seriale, dalla pittura informale ai film di Antonioni, un'opera aperta, ambigua, che tende a suggerire non un mondo di valori ordinato ed univoco, ma una rosa di significati, un 'campo di possibilità', e per ottenere questo richiede sempre più un intervento attivo, una scelta operativa da parte del lettore o spettatore" (ivi: 293). Ciò non significa però che l'opera si dissolva nella pluralità delle fruizioni, "perché l'autore stabilisce pur sempre un orientamento di base: alla definitezza di un 'oggetto' viene sostituita la più ampia definitezza di un 'campo' di possibilità interpretative" (ivi: 166). Infine, il modello dell'opera aperta è un modello estetico, esso tuttavia si lascia rapportare "ad altri modelli individuati nell'ambito della cultura contemporanea: dai modelli metodologici della fisica, ai modelli delle logiche a più valori, della psicologia, eccetera" (ivi). - Opera aperta (prima edizione: 1962, seconda edizione: 1967, terza edizione: 1971, quarta edizione (economica): 1976) sviluppa l'idea proposta nella comunicazione del 1958, e chiarisce ancora di più ed in modo inequivocabile che l'opera aperta costituisce un "modello ipotetico", elaborato sulla base di numerose analisi concrete, utile per indicare una direzione dell'arte contemporanea.
max2oo9
Utente dal
21/9/2009
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