A cinquant’anni lascia il lavoro
per “suonare” le campane tibetane
«E’ stato il richiamo dell’inconscio»

STORIA - Barbara Bianchini, la mamma e nonna di Appignano ha deciso di dare una svolta alla sua vita. «Per me, è donare il mio tempo e la mia passione agli altri affinché ognuno possa tentare di raggiungere una maggiore “centratura”»

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Barbara Bianchini

di Fabrizio Cortella

Barbara Bianchini è una donna che, con la massima naturalezza, sa mettere a proprio agio chiunque entri in contatto con lei. Voce calda dal tono pacato, occhi grigio-azzurri di rara limpidezza, ti accoglie col suo sorriso aperto e rassicurante trasmettendo la sensazione di una vita trascorsa nella serenità e nella bellezza. Eppure, Barbara, originaria di Macerata ma da 35 anni residente ad Appignano, ha avuto una vita piuttosto movimentata a cui ha dato recentemente una svolta importante, abbandonando il “certo per l’incerto”. In particolare ha lasciato il lavoro in una azienda per dedicarsi ad una sua passione, le campane tibetane.

Partiamo da lontano.
«Vengo da una famiglia formata in fretta da genitori giovanissimi e dediti quasi totalmente al loro lavoro. Prima di tre figli, fin da bambina ho spesso assistito a spiacevoli conflitti e, senza esserne pronta, ho dovuto assumermi la responsabilità di gestire i miei due fratelli, appena più piccoli di me. Sono cresciuta nella convinzione che, per meritarmi l’amore dei miei genitori, dovessi essere perfetta anche a costo di sacrificare la mia vita interiore».

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Il maestro Iuri Ricci e Barbara Bianchini

Un inizio in salita…
«Che si complica ancora più quando mi ritrovo giovanissima mamma che alterna pappe e pannolini a rari momenti di svago con i coetanei in discoteca. Nonostante tutto, non mi sono mai pentita della mia scelta anzi, proprio per il mio trascorso, ho voluto costruire la mia famiglia su basi diverse che mio marito ed io siamo riusciti, anche attraverso numerose difficoltà, a rendere più solide. Sono diventata nonna a 45 anni e, da qualche mese, è arrivato anche il secondo nipotino: oggi sono molto orgogliosa della mia famiglia e del rapporto che ho con i miei figli».

Che cosa l’ha spinta ad una scelta così radicale?
«Dopo i più disparati lavori della mia gioventù, mi ero finalmente “sistemata” con il più classico dei lavori sicuri in una grande azienda di Appignano. Ma, dopo 15 anni all’ufficio commerciale, ho compreso che, in ciò che facevo, ben poco mi rappresentava davvero. Non appena la situazione familiare mi ha permesso di avere “una stanza tutta per me”, ho capito che era giunto il momento di dedicare del tempo a Barbara, di capire che cosa desiderasse davvero dalla sua vita».

WhatsApp-Image-2023-06-05-at-12.33.06-2-325x362Nessuna paura nel cambiare ad un’età in cui la gente già sogna la pensione?
«Al contrario: lasciare il lavoro è stato meno difficile di quanto avessi mai immaginato. Fin da giovanissima, per me lavorare non significava autorealizzazione, ma soltanto contribuire ai bisogni della famiglia. Liberatami finalmente dall’assillo della necessità, ho potuto valutare serenamente ciò che accadeva intorno a me. In seguito alla pandemia, l’azienda aveva optato per un accordo sindacale per incentivare le dimissioni volontarie del personale ed io colsi al balzo l’opportunità inaspettata.
Sono così arrivate le campane tibetane, note anche come “singing bowls”, cioè le ciotole cantanti. Sì, ed è stato amore a prima… vibrazione. Non conoscevo affatto la tecnica e non ne avevo neppure mai sentito parlare: è stata la mia insegnate di yoga a proporci di sperimentare una sessione di un “bagno sonoro”, tenuta da un maestro e musico-terapeuta fiorentino, dall’esperienza ventennale. La mia naturale curiosità e un sottile richiamo del mio inconscio mi hanno spinto ad aderirvi senza esitazioni».

E che cosa è accaduto?
«Dapprima mi sentii letteralmente rimescolare: le onde sonore generate dalle campane mi attraversavano il corpo scuotendone la materia, salvo poi ricomporla più armoniosamente. La sensazione di pace interiore che ne derivò fu profonda, persino esaltante, mai provata così intensamente fino a quel momento».

WhatsApp-Image-2023-06-05-at-12.33.06-300x400Come sono fatte e come agiscono sul corpo umano?
«Più che alle nostre campane assomigliano a delle grandi ciotole che, poggiate a terra con l’apertura verso l’alto, vengono “suonate” grazie ad un bastone dotato di un rivestimento morbido. Sono a tutti gli effetti degli strumenti musicali il cui suono di base è determinato dalla percussione, mentre i “sovratoni” o “armonici” emergono durante lo sfregamento circolare. Le più antiche sono composte da sette “metalli sacri”, ma possono arrivare a contenerne fino a dodici. Le frequenze e le vibrazioni prodotte entrano in risonanza con quelle emesse dalla nostra energia vitale tanto da ripristinarne il suo naturale equilibrio».

Infine, ha abbandonato ogni remora e  si è buttata?
«No, assolutamente: la molla non era ancora scattata perché dubitavo che la grandiosità dell’emozione fosse dovuta al particolare momento che stavo vivendo. Il mio amatissimo cugino era morto da poco, travolto da un pirata della strada mai identificato, e stavo attraversando una fase di profondo turbamento, di amara infelicità. Per cui decisi di provare una seconda volta, quando la mia emotività si era un poco placata, ma il risultato fu esattamente il medesimo. Ho così deciso di frequentare il corso tenuto a Firenze dal maestro Iuri Ricci: un training lungo ed impegnativo, con insegnamenti da varie discipline, ma ricco di soddisfazioni, fino al conseguimento della qualifica finale di “Operatore in Tecniche Sonore con Campane Tibetane”».

WhatsApp-Image-2023-06-05-at-12.33.06-5-325x244Il suo nuovo lavoro la appaga? Nessun pentimento?
«In realtà, non lo considero un lavoro, almeno non nell’accezione comune. Per me, è donare il mio tempo e la mia passione agli altri affinché ognuno possa tentare di raggiungere una maggiore “centratura”, cioè l’equilibrio delle proprie energie vitali, la sola cosa che ci dona la reale serenità. Ognuno dei partecipanti reagisce in modo diverso al suono delle campane, talvolta può sembrare di non percepire alcuna differenza, specialmente se si partecipa con il freno a mano emotivo tirato, perché è una tecnica che va accolta con apertura e fiducia. Ma lavora sottotraccia e, al termine della pratica, vedere il sorriso sul volto dei partecipanti o anche semplicemente i loro lineamenti rilassati e un po’ assonnati, mi conferma nella “follia” di avere cambiato la mia vita a cinquant’anni».

 

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