Da sinistra: Zahir Hossini, Mohammad Hazare, Rohland Bahrami, Ahmad Moradi, Hossaini Salman e Ali Riza
di Gianluca Ginella
Rohland Bahrami ha 28 anni, quasi metà della sua vita l’ha trascorsa in Italia dove era arrivato, dall’Afghanistan, che ne aveva sedici: lavora, ha due figli, ha comprato una casa ma «non ho la cittadinanza italiana, nonostante per legge abbia maturato il diritto a chiederla».
Il suo non è un problema isolato per la comunità di afghani che vivono in provincia, un centinaio di persone come lui sono state messe in stand by dalla Prefettura, qualcuno da cinque anni.
«Ora abbiamo deciso di fare una manifestazione a Macerata» dice Ahmad Moradi, presidente dell’associazione profughi afghani di Macerata (nata nel 2009) che si trova nella stessa situazione di Bahrami. Il problema è tecnico e accade a Macerata ma altrove le cose vanno diversamente. In sostanza «dopo dieci anni che viviamo in Italia spiega – Ali Riza – e presentando il cud degli ultimi tre anni abbiamo diritto a chiedere la cittadinanza. Io vivo in Italia dal 2006, ho tre figli, lavoro da anni. Ho la protezione sussidiaria (il vecchio asilo umanitario, ndr) e non posso far rientro in Afghanistan.
Il problema è che quando andiamo a chiedere la cittadinanza, l’Ufficio cittadinanza della Prefettura di Macerata ci risponde che sono necessari anche altri due documenti. Il certificato di nascita e quello penale. Che però dovremmo prendere in Afghanistan, dove non possiamo fare ritorno». Per ottenere quei documenti la prassi è andare all’ambasciata afghana in Italia.
«L’ambasciata, sentite le autorità afghane, ci rilascia i documenti richiesti – spiega Moradi –. Il problema però è che quando andiamo a presentarli in prefettura ci viene risposto che servono gli originali. Sappiamo che altrove questo non succede e vengono accettati i documenti rilasciati dall’ambasciata».
La prefettura non nega la cittadinanza, semplicemente «continua a richiederci la documentazione originale. C’è chi da 5 anni è in sospeso» aggiunge Moradi.
E sospeso significa come per Rohland Bahrami, vivere in modo precario perché «se perdo il lavoro i miei documenti non verrebbero rinnovati. Ho comprato casa in Italia, ho due figli. Ho passato quasi metà della mia vita in questo Paese e non posso esserne cittadino».
«Paghiamo le tasse, lavoriamo da dieci anni e non possiamo avere la cittadinanza del Paese in cui abbiamo deciso di vivere – aggiunge Zahir Hossini –. Anche i nostri figli, pur se nati in Italia, ci vivono da stranieri, con il permesso di soggiorno». Hossini aggiunge che «non vogliamo creare disturbo ma faremo una manifestazione». Perché «la situazione riguarda oltre cento persone in provincia. Abbiamo deciso di fare una manifestazione in città, tra un paio di settimane» conclude Moradi.
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Li conosco. Ad alcuni di loro ho fatto scuola. Leggendo quanto lamentano, mi domando che razza di Stato sia il nostro:
alza l’integrazione come una bandiera e poi, a chi è già integrato e chiede un riconoscimento istituzionale alla propria integrazione, risponde di no.
Pagano le tasse, si comprano la casa qui coi risparmi e accendendo un mutuo (dunque si sentono non solo italiani ma maceratesi), fanno nascere qui i propri figli e li mandano a scuola, lavorano stabilmente. Quelli che mi abitano vicino più di una volta hanno protestato contro il caos notturno degli studenti (della serie che, evidentemente, sono più integrati di quelli). Non possono tornare a casa loro, da dove sono fuggiti per sfuggire alla guerra, alla miseria nera e alla morte: l’Italia gli ha riconosciuto la protezione sussidiaria proprio per questo motivo… e poi gli chiede di tornare in patria per produrre il certificato penale?
Mi stupisco di come gli stranieri si stupiscano della nostra burocrazia. Purtroppo la burocrazia è un male di cui soffre chiunque in Italia debba ottenere risposte formali dallo stato. Non a caso le aziende straniere rinunciano spesso a realizzare sedi in Italia proprio per la complessità burocratica che forse è unica al mondo; si devono chiedere pareri a decine di enti che spesso danno prescrizioni contrastanti ed il tempo medio per ottenere un permesso a costruire è di 227 giorni contro i 96 della Germania.
Quindi cari amici stranieri, che da quello che leggo rappresentate il meglio anche rispetto a vari nostri connazionali, armatevi di pazienza perché vi assicuro che passare anni tra gli uffici non è così strano (in Italia) perché la soluzione sicuramente ci sarà ma va cercata. Auguri e buona permanenza.
Dieci anni che siete qua e ancora non avete capito come funziona questo paese? vuol dire che non vi siete integrati…