La presentazione del comitato “Ora sì”
Maurizio Natali e Irene Manzi
di Federica Nardi
(foto di Andrea Petinari)
Mentre in tutta Italia la macchina referendaria per la modifica della Costituzione scalda i motori, anche a Macerata nasce il primo comitato per il sì, promosso da maggioranza ampia e trasversale del Partito democratico. A presentarlo questa mattina il deputato Irene Manzi e il coordinatore Maurizio Natali. Presenti anche il capogruppo consiliare Maurizio Del Gobbo, Maurizio Saiu, membro del direttivo Pd e il consigliere comunale Paolo Manzi. «Se vincerà il sì sarà superato il bicameralismo perfetto – spiega Manzi – e avremo un nuovo ordine di rapporti tra centro e periferia, con un riaccentramento di competenze da parte dello stato». Una riforma complessa su cui gli italiani saranno chiamati a votare il prossimo autunno. Per questo, come ricorda Maurizio Natali, è importante «promuovere da subito il dibattito e fornire gli strumenti per approfondire i temi della riforma e garantire il coinvolgimento di tutti – dice il coordinatore del Comitato – Realizzeremo iniziative con politologi e docenti come Cesare Pinelli, Stefano Levanti e Sergio Fabbrini della School of government della Luiss di Roma». Nato oggi, il Comitato si doterà quanto prima di una pagina Facebook, dove i promotori saranno a disposizione per chiarimenti e informazioni. L’appello di Natali è per «la costituzione di altri comitati, in modo che si avvii il dibattito a livello provinciale».
Da sinistra: Maurizio del Gobbo
Primo punto della riforma: la riduzione delle funzioni del Senato, che avrà competenza legislativa solo sulle riforme e le leggi costituzionali, mentre per quanto riguarda le leggi ordinarie potrà solo chiedere alla Camera di introdurre delle modifiche, senza nessun obbligo per i deputati di accoglierle. Sulle materie riguardanti il rapporto Stato-regioni invece servirà la maggioranza assoluta dell’aula di Montecitorio per ignorare le richieste del Senato. Ridotti anche i senatori che passerebbero da 315 a 95: 21 sindaci in rappresentanza di regioni e province autonome e 74 consiglieri regionali. Saranno i cittadini a esprimere la loro preferenza in occasione delle elezioni regionali, e l’elezione spetterà poi ai Consigli regionali che sceglieranno un sindaco e, in base al peso demografico della regione, i restanti senatori (in modo proporzionale alle forze politiche regionali). Altri 5 senatori saranno nominati dal presidente della Repubblica, con una carica di 7 anni (scomparirebbe quindi la figura dei senatori a vita). Con la riforma del Titolo V le province verranno cancellate dalla Costituzione, passaggio fondamentale per abolirle, insieme al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), che verrà abrogato. Allo Stato tornerà la competenza esclusiva in materia di energia, infrastrutture strategiche, protezione civile. La Camera, su proposta del governo, potrà legiferare su materie di competenza regionale nel caso siano di interesse nazionale. Cambieranno le modalità per l’elezione del presidente della Repubblica, scelto solamente da Camera e Senato: per i primi tre scrutini servirà, come ora, la maggioranza dei due terzi dei componenti. Dal quarto al sesto si scenderà ai tre quinti degli aventi diritto, mentre dal settimo in poi basteranno i tre quinti dei votanti. Salgono le firme per richiedere un referendum popolare (da 500mila a 800mila), ma si abbassa il quorum per considerare valida la consultazione: l’affluenza alle urne dovrà essere pari alla metà degli elettori che ha votato alle precedenti elezioni politiche. Le leggi di iniziativa popolare avranno bisogno di 150mila firme (ora invece ne bastano 50mila), ma i regolamenti parlamentari dovranno indicare tempi certi per l’esame e la discussione.
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Una riforma schizofrenica perfettamente contraria alla ratio della riforma costituzionale che votammo appena nel 2001. Si riaccentra e si toglie alla sovranità popolare. Il referendum costituzionale per cui saremo chiamati a votare in autunno non è una concessione democratica del governo, ma un passaggio obbligato di una riforma illiberale che porta il nome della Boschi e che non ha avuto la forza di passare con la maggioranza qualificata in parlamento. Per fortuna dei promotori il referendum non ha bisogno del quorum e passerà , anche se a votare ci andrà il 10% del corpo elettorale. Una riforma degna del ventennio, direi. Ma per favore non cercate di presentarcela come una conquista.
Per i comitati orasi,ma sopratutto per gli elettori PD e figli di tutti gli italiani.Nel caso sfortunato del Si,potremmo diventare come l’Egitto attuale di Abd al-Sisi di cui Renzi l’ha definito il nuovo vento del Mediterraneo dicendo testalmuente -la vostra guerra e’ la nostra guerra-pensateci bene prima di avallare questa pseudo-riforma senza maggioranza qualificata e con un gruppo di verdiniani.Appello a Bersani,Speranza e tutti quelli che credono nella Democrazia,non subite e date forza al NO .
Ora si, se ne vanno…..
La preghiera invocata ogni giorno da milioni di italiani, stanchi di questi politici
Non hanno niente a cui pensare e fanno solo danni
Se servisse a toglierci per sempre dalle scatole Frottolo Renzi e company,distruttori dell’Italia insieme a Napolitano,Boldrini,Kyenge,Monti,Letta,pidioti tutti, un NOOOOOO grosso come una casa….
Per la redazione: i pollici verdi e rossi non funzionano ancora
I piddioti non sono ancora contenti delle condizioni disastrose che versa il paese in cui hanno piena responsabilità per aver assecondato tutti i governi del berlusca, Monti, Letta e Renzi – Verdini. Io credo che a un referendum popolare si può votare con in si o con uno, solo se tratta un solo argomento. Altrimenti: democrazia vuole che i cittadini devono avere la possibilità di potersi esprimere liberamente per ogni singolo argomento. P.D. uguale partito democratico dicono loro. Peccato che i piddioti non hanno mai letto la costituzione nella parte dove sancisce i principi fondamentali di democrazia per la civile convivenza, e che tali principi possono essere rimossi solo da governi dittatoriali. Altrimenti: sarebbero a conoscenza che la sovranità appartiene al popolo, art.1. I piddioti dovrebbero spiegare al popolo dov’è la democrazia nelle loro schiforme se per un referendum popolare si passa da 500.000, a 800.000 firme; la stessa cosa succede per le leggi di iniziativa popolare, che dalle attuali 50.000 firme si passa a 150.000. E cosa dire delle schiforme elettorale e del senato? La prima rispolvera la legge Acerbo del 1924 dell’era fascista. Ci riprovò la DC nel 1953, ma non passò e venne definita come legge truffa. In pratica, sia con la riforma del Senato e della legge elettorale, si pretende di accentrare tutto il potere al governo, incominciando dall’elezione del presidente della Repubblica, alla corte costituzionale, fino alla nomina di qualsiasi persona con compiti istituzionali. Ma tutto ciò, sarà possibile se passeranno le schiforme Boschi – Renzi – Verdini, perché con tali schiforme si esclude il popolo da ogni potere: le elezioni saranno sempre più una falsa sceneggiata, si legalizzerebbero due camere di nominati che quando il capo chiama, a nessuno sarà possibile dire no.
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Per Giorgi. Forse sarebbe meglio citare il quasi coetaneo di Leopardi, Belli, ossia il suo “Li soprani der monno vecchio”:
C’era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».
Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».
Scusate il ritardo…
Er codisce novo
Poveri gonzi, currete, currete
a llegge sti lenzoli a li cantoni:
che vve penzate, poveri cojjoni?,
de trovacce da bbeve pe cchi ha ssete?
Ve lo dich’io si mmai nu lo sapete
che cce sta scritto in cuelli lenzoloni:
’n’ infirza de gastighi bbuggiaroni
da facce inciampicà cchi nun è pprete.
Varda llí! pe ’gni càccola ’na Legge,
’na condanna, un fraggello, un priscipizzio!,
accidentacci a cchi ssa scrive e llegge.
Bono c’a ste cartacce chi ha ggiudizzio
pè mmannajje ’na sarva de scor.regge
cor pijjà la patente a Ssantuffizzio.