La coltivazione di vetiver per salvare i campi di Cingoli. Quello del balcone delle Marche è un territorio in larga parte montano, ed è soggetto soprattutto nel periodo invernale ed autunnale a frequenti fenomeni di smottamento ed erosione dei terreni. Numerose le zone che sono a rischio di frana o dove avvengono smottamenti, e che richiedono numerosi interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle scarpate da parte degli operai del Comune. Il problema oltre che derivare da una non corretta lavorazione del terreno spesso agricolo (assenza di fossi di guardia, corretta regimentazione delle acque, arature fatte a filo di strada), è generato anche dalla naturale conformazione dello stesso, ovvero terreni scoscesi, argillosi. E così l’assessorato all’ambiente del Comune ha deciso di fare un intervento sperimentale di bioingegneria, lungo un tratto di strada comunale proprio tra le frazioni di Avenale e Capo di Rio. Un’operazione ad impatto ambientale zero, che dovrebbe garantire una tenuta di molto superiore a quella attuale delle scarpate, senza utilizzo di opere cementizie, ma solo con la piantumazione della scarpata con cespugli di Vetiver.
A differenza dei sistemi di consolidamento realizzati con tecniche tradizionali (calcestruzzo armato, terrapieni) la tecnologia del Vetiver è una barriera vegetale, non infestante, naturale, viva e autoadattante.
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Se il sistema delle piantine di “vetiver” è efficace, quando si avrà la certezza che può evitare smottamenti vari, anche i “Tecnici” della Provincia dovrebbero adottare questo geniale sistema per evitare che, quando piove, si creino smottamenti che, malgrado ci vengono fatti lavori, continuano ad esserci… e pure tanti…!!! Buon lavoro al Comune di Cingoli… e… spero anche per la Provincia !!!
Il vetiver (vetiveria zizzanioides o chrysopogon zizzanioides), è un’erbacea dall’apparato radicale profondo, molto utile per il consolidamento dei terreni franosi.
Non è una panacea, ma un utile alleato nel combattere fenomeni erosivi superficiali (non profondi, ossia, se la frana o lo smottamento interessano le profondità di più di 2 metri, la pianta non offre aiuto alcuno). I punti deboli riguardano principalmente il non essere specie autoctona (proviene dalle pendici dell’Hymalaia…), per cui sarebbe preferibile usare altre specie molto facilmente reperibili in loco (ginestra dei generi spartium e genista, ad esempio), nel nome della biodiversità, termine tanto usato, quanto abusato e il cui significato è sconosciuto anche alla maggior parte degli addetti ai lavori.
Non sono affatto d’accordo con Fulvio Ventrone, le essenze autoctone non sono in grado di Radicare a profondità minimamente comparabili con il vetiver, in più la particolare conformazione delle radici del vetiver imbriglia il sottosuolo ingabbiandolo in una rete estremamente sottile e resistente. Al contrario la ginestra o l’erica mettono in tensione le crepe generando loro stesse cedimenti. Ma poi è forse l’olivo o la vite una essenza autoctona? Certamente no. Da una terra di accoglienza come la nostra mi aspetterei un benvenuto più che un cercare solo il difetto. Biodiversità? Il vetiver è in grado di fornire al suo piede le condizioni per far tornare le essenze autoctone il cui seme è nel terreno. Anche su pendenze importanti. Credo sia molto più che una pianta che arriva dalle pendici dell’Himalaya, piuttosto è il cardine di un nuovo modo di affrontare certi temi dell’ingegneria civile.
Coordinatore Nazionale della Rete del Vetiver.