Cominciò Mario Santagostini con un’antologia dedicata ai “poeti di vent’anni” (allora: erano gli ultimi anni del vecchio secolo). Il rinnovamento delle voci cui fare attenzione aveva scavalcato a pié pari almeno una generazione e mezzo: da un lato i maestri consolidati, dall’altro il vuoto che prometteva di andarsi a riempire con gli esordienti, poco importa che avessero all’attivo sì e no una pubblicazione o spesso nemmeno quella. Non che non vi fossero voci meritevoli di attenzione, nella generazione di mezzo. Solamente non avevano mai potuto fruire di tutta quella visibilità e considerazione: i “padri” erano stati inossidabilmente solidi, rocciosi e inamovibili. Ora ritrovavano la necessità di un passaggio del testimone, inteneriti come il nonno di Jean-Paul Sartre nella involontariamente illuminante autobiografia del filosofo francese: saltavano i figli, innamorandosi dei nipoti.
Santagostini diede la stura. Seguirono, in poco meno di sei, sette anni, qualcosa come una cinquantina di antologie poetiche dedicate alle nuovissime generazioni, figlie di internet e del cellulare (strumenti che precedentemente non esistevano e dunque rendevano ben più difficoltose le comunicazioni e le informazioni). Ovviamente, belle penne c’erano anche tra i ventenni (nel frattempo diventati trentenni): ma il fattore discriminante era sempre quello anagrafico (e dunque tematico), più di quello qualitativo (e dunque estetico).
Tant’è: il fattore generazionale pare oggi diventato l’esclusiva cartina di tornasole per decidere della bellezza di un’opera, della validità di una militanza (ovviamente non è così; e la storia rimetterà, come sempre, le cose a posto).
In questo balletto a tutto campo, intriso di giovanilismo a tutti i costi (comprensibile dal punto di vista sociale e lavorativo, ma
assolutamente improprio o quanto meno insufficiente dal punto di vista artistico e culturale), mi sono sempre chiesto che ne sarebbe stato, di tutti quelli che puntavano alla propria storicizzazione anzitempo, se davvero i Maya avessero avuto ragione… tutto inutile! La beffa sarebbe stata davvero grottesca, gli immani sforzi vanificati dal pluff di fine corso della Storia.
Sta di fatto, ovviamente, che quella dei Maya era una bufala (e qui potremmo aprire un altro capitolo, dedicato ai terrori dei postmoderni: ma ci torneremo più avanti, non mancherà modo). Non è una bufala, invece, l’anteposizione del fattore anagrafico su ciò che concerne le arti: paura di esprimere un giudizio? Difficoltà a ripronunciare la parola “estetica” nel 2014? Crisi inarrestabile dell’impegno intellettuale? Della serie: senza porsi il problema di una cernita qualificativa, si fa prima (e anche più bella figura…) a promuovere solo giovani e giovanissimi? Anche di questo parleremo, strada facendo.
Per il momento, essendo tutto sommato ancora alle battute iniziali, ci conforta che “Quid Culturae” stia andando bene. Addirittura al di sopra di ogni plausibile aspettativa. Con gli amici che ci scrivono abbiamo un solo desiderio: continuare ad essere, migliorando di volta in volta, quello per cui questa rivista è nata, ossia uno strumento qualitativamente alto a disposizione di tutti, compresi i non addetti ai lavori. Qualità, per noi, fa rima con semplicità, ma non con facilità: niente linguaggi iperspecialistici e per iniziati, ma nemmeno dilettantismi allo sbaraglio.
Per noi, che nasciamo come progetto aperto e non preordinato a tavolino, se non nelle idealità di fondo, le eventuali difficoltà che volta volta si presentano sono occasione di stimoli ulteriori: ci aiutano a confrontarci con la vita, a rimetterci in discussione, forti di un dialogo a tutto tondo tra le arti e la gente; a questo forse dobbiamo la convinta risposta dei lettori, oltre che alla generosità intellettuale dei collaboratori esterni, tra cui alcune firme importanti, ma anche – ed è forse il dato più incoraggiante – tanti nuovi incontri “strada facendo”, di tutte le età e variamente coinvolti nelle fitte trame dell’arte e dei suoi linguaggi. Un ponte tra le generazioni e le latitudini, tra le provenienze, i convincimenti e le fedi, che davvero non è di poco conto.
Un dialogo reale, che rappresenta un segnale importante, in un’epoca contraddistinta da sempre più esclusivi e fastidiosi settorialismi; per noi c’è un’altra e ben più ampia generazione non anagrafica, in cui si ritrovano tante e forse troppe belle pagine, dimenticate o mai còlte, sia edite che inedite, che meritano invece attenzione e un luogo per circolare.
Intendiamoci: a noi non compete il plauso eventuale. A noi solamente compete la rettitudine morale di un impegno, l’inesausta ricerca di quel “quid” che campeggia nel nostro nome; e la solidarietà reciproca, quotidiana, per servirlo nel migliore dei modi.
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Di iniziative come queste dovrebbero davvero essercene altre! La qualità morale ed artistica di chi intraprende l’impresa di trovare e promuovere personaggi che diano un contributo, serio dal punto di vista della qualità e talentuoso dal punto di vista della maturità artistica, alla cultura, al di là di utilitarismi e di particolari tornaconti è da encomiare. Grazie a Filippo Davòli ed alla sua giusta dirittura morale nel suo operare nel campo elevato ed elevante della cultura . Un affettuoso abbraccio . Laura.