Nei giorni scorsi, nell’ambito di un ciclo di seminari su “Persona, diritti e società”, un folto uditorio, di studenti e non, desideroso di comprendere meglio il difficile percorso strutturale socioeconomico e politico dei nostri giorni, ha avuto modo di incontrare Loretta Napoleoni e di conoscere il suo ultimo contributo letterario, edito Rizzoli. Giornalista ed economista, tra i massimi esperti di terrorismo internazionale, ha maturato esperienze di rilievo in ambito economico finanziario, spiega la coordinatrice dei lavori Catia Eliana Gentilucci, ed i suoi libri sono stati tradotti in diciotto lingue.
“Ci troviamo in una crisi epocale dal punto di vista economico e politico. Avevamo molte più certezze venti anni fa di oggi. Ma come ci siamo arrivati?” esordisce. E così, con fare incalzante, ha spiegato le origini del declino italiano. “Il debito pubblico non è un fenomeno recente ma risale agli anni ’80 quando la Banca d’Italia è stata privatizzata”. Così si sancì il divorzio con il Ministero del Tesoro, i cui buoni risentirono della competitività sul mercato. Prima c’era un vincolo di portafoglio e la Banca d’Italia acquistava tutti i Titoli di debito pubblico rimasti invenduti. In tal modo, lo Stato manteneva il controllo perché la Banca d’Italia gli apparteneva. Negli anni ottanta, invece, essa venne venduta anche a banche straniere. Fu richiesto per entrare nel “Sistema Monetario Europeo”. Da qui cominciò, continua a spiegare, il problema del nostro debito pubblico. “Poi c’è il fenomeno, tutto italiano, del processo di “de-industralizzazione”, che è da studiare sotto il profilo socio economico”. Sempre negli anni ’80 la nostra industria era competitiva; l’Italia era diretta concorrente della Germania perché aveva lo stesso tipo di produzione e godeva del vantaggio della svalutazione monetaria di fronte alla moneta forte, il marco. Infatti le esportazioni erano favorite. Questo meccanismo venne bloccato con l’euro. Così è accaduto anche, in parte, per la Grecia, che non ha retto il paragone con la Germania, quando, con l’euro, la moneta è stata bloccata tra i paesi europei, con inevitabile guadagno di competitività dei prodotti tedeschi.
L’euro ci è stato presentato come uno “status symbol”, prosegue, come un traguardo sociale perché diventavamo una vera potenza. Ma, dopo la sua introduzione, il nostro debito pubblico è salito a dismisura. E quando la Banca Centrale Europea nel 2011 stampò carta moneta per più di mille miliardi di euro (Longer Term Refinancing Operation), i 250 miliardi destinati alle banche italiane (perché non potevano essere acquisiti direttamente dallo Stato italiano), anziché ricadere sul sistema produttivo-industriale, sono andati alla finanza italiana, che ha comprato buoni del tesoro per pagare il tasso di interesse del debito. Probabilmente, nel 2015 dovremo ripagare ancora i soldi presi in prestito con altre concessioni di credito. Le soluzioni, oggi, prospettate sono la vendita del patrimonio nazionale, che però nel ’92 procurò un ricavato irrisorio, e la cosiddetta “austerità espansiva”, di cui Napoleoni confessa di non aver ben compreso la portata, ma fa presente che è una teoria statunitense, a cui gli USA non hanno mai fatto ricorso per se stessi. In verità, secondo l’economista, “nessuno sa bene cosa fare”.
Fa solo osservare che ogni volta che c’è una brutta notizia, paradossalmente i mercati salgono, perché se le cose vanno male si continua a stampare moneta, che continua a girare in finanza. Gli altri indicatori economici non vengono considerati, dice. E propone: “In Italia bisogna ricominciare dalle eccellenze agroalimentari, dal turismo, dalle biotecnologie, dalle nostre potenzialità rurali e ricostruire la democrazia, altrimenti rischiamo di diventare un Paese del terzo mondo”. Alla fine dell’incontro le chiediamo: ma esiste il potere del popolo e come si manifesta? Il potere del popolo in una democrazia avviene attraverso il voto. In Italia, il problema è che la legge elettorale lo ha ridotto, perché il cittadino non può più decidere chi eleggere ma vota solo un partito, che, poi all’interno, sceglierà chi far entrare in parlamento. Questa, secondo me, è una grossa perdita di democrazia. Il popolo non sa bene come fare a cambiare questo stato di cose, perché è il parlamento che dovrebbe votare una nuova legge elettorale. Il popolo potrebbe solo proporre un referendum. Per questo Democrazia vendesi? Sì, perché non si partecipa più all’interno di questo processo decisionale. La democrazia è stata venduta a qualcun altro, che può essere la Finanza internazionale o gli euro burocrati di Bruxelles. Il cittadino non elegge, ad esempio, i rappresentanti della Commissione europea, ma solo quelli del Parlamento europeo, che però non legifera e quindi non ha poteri. Così sono state vendute fette della nostra democrazia anche a queste istituzioni. I poteri politico ed economico italiani cosa potrebbero fare per evitare il progressivo impoverimento e contenere la crisi? Potrebbero fare tantissimo. Bisogna reinventarsi la teoria economica partendo dal punto di vista dello Stato nazionale, quindi dalle esigenze del Paese, non da quelle di Bruxelles che sono diverse. Noi abbiamo i problemi di un debito pubblico enorme, di mancata crescita, di impoverimento. Questi sono gli argomenti che dovrebbero essere affrontati e le politiche dovrebbero partire da essi. Infine, l’Europa dei Padri fondatori, di cui l’Italia si vanta di essere la prima interprete, cosa dovrebbe fare per garantire sostanziali condizioni di reciprocità tra gli Stati e favorirne la coesione reale? Dovrebbe mirare ad un’integrazione culturale prima che monetaria. Prima di fare l’Europa bisogna fare gli Europei. Occorre un processo culturale per integrare gli europei. Ci vogliono generazioni, almeno un secolo di grandi cambiamenti. Ma nessuno vuole fare questo. Perché? Perché non è questo l’obiettivo. L’obiettivo è stato creare una situazione economico finanziaria che fosse ideale per alcuni centri di potere, tipo l’alta finanza, la grande industria, il grande capitale, chi difende le rendite. I padri fondatori non volevano questo, però questo è quello che noi abbiamo e che non si vuole cambiare.
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Sono abbastanza d’accordo con molte delle cose dette nella parte centrale e finale di questo articolo , ma francamente non capisco i due passaggi iniziali che addebitano “all’Europa” due problemi fondamentali come il nostro indebitamento pubblico e la perdita di competitività della nostra industria. Ma davvero queste cose le ha dette l’economista Napoleoni ? Allora da quel che conosciamo della nostra storia il deficit pubblico , che poi ha costituito lo stock di debito, è stato provocato soprattutto negli anni 70 e 80 da una gestione dissennata delle finanza pubblica che spendeva molto di più di quanto incassava . Politiche clientelari, pensionamenti facili , sprechi etc etc . Questa storia la conosciamo bene . Cosa c’entra la privatizzazione della banca d’Italia ? I debiti li abbiamo fatti e voluti noi. Poi possiamo discutere sugli interessi passivi che in alcuni momenti abbiamo pagato troppo , ma per esempio appena entrati nell’euro erano molto bassi . Come ne abbiamo approfittato ?
Per quanto riguarda la competitività anche qui fare riferimento agli anni 80 è come parlare di una era geologica fa . da allora il mondo è cambiato non l’Europa . E’ arrivata la competizione cinese e degli altri paesi in via di sviluppo . Vogliamo dire che ce la saremmo cavata contro di loro con le nostre svalutazioni competitive ? Per non parlare poi dei cambiamenti tecnologici che non siamo riusciti a cogliere come avremmo dovuto . Per il resto tutto vero (il deficit di democrazia di cui si parla). Però smettiamola di cercare alibi fuori dei nostri confini . Qui ce la facciamo solo se i primi a crederci siamo noi . Poi viene tutto il resto.
Concordo pienamente con chi mi ha preceduto nel commentare questo articolo. Alla fine la colpa è sempre degli altri. La politica figlia del sistema proporzionale che ci ha regalato 60 governi dopo la guerra ha dato alla luce migliaia di partiti e partitini che hanno divorato l’Italia come dei vermi divorano una carcass di animale (bel riferimento no?). Tutti magnavano e si abbuffavano: prepensionati a 40-45 anni, sanità gratis, miliardi su miliardi a partiti e partitini, aziende (si fa per dire) di Stato come Poste, Ferrovie, Telecom, Enel e chi più ne ha più ne mette a fare a gara a chi assumevano di più, sempre a fini clientelari e politici, tanto pagava lo Stato. Chi si ricorda o chi un po’ sui libri ha perso del tempo conosce perfettamente la situazione allucinante dell’Italia tra gli anni 70′ e la fine degli anni 80′. Deficit di bilancio stabilmente oltre il 15%, titoli di Stato che rendevano stabilmente la doppia cifra, inflazione fuori controllo ecc…e intanto si magnava e si magnava. Poi….un bel giorno arrivò l’euro e bisognò mostrare le carte in mano e il sognò finì. Alcuni paesi hanno fatto le riforme (Germania, Olanda e Gran Bretagna) è hanno oggi un sistema economico competitivo che produce forti surplus commerciali. Altri invece come l’Italia ha fintamente privatizzato, ha fintamente liberalizzato l’economia, ha finto tutto e ha continuato a magnare e a magnare. Poi è arrivata la crisi è di nuovo tutti a piangere e a insultare la Germania del troppo rigore. In piena crisi la Germania ha raggiunto il più alto livello occupazionale della sua storia, ha sistema di imprese che ogni giorno accaparra ordini e quote di mercato.
RIFORME! RIFORME! RIFORME!