Stop al decreto sul taglio delle Province
Pettinari: “No alle demagogie
in materia di riforme istituzionali”

La sentenza della Consulta ha dichiarato l'incostituzionalità della normativa varata dal governo Monti. Secondo la Corte la revisione degli enti prevista dal Salva Italia “non è materia che si può disciplinare con un decreto legge”. Via libera, invece, ai tagli dei tribunali, si salva solo Urbino

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Antonio Pettinari, presidente della Provincia di Macerata

Antonio Pettinari, presidente della Provincia di Macerata

di Cristina Grieco

La questione delle riforme istituzionali, pure necessarie, va affrontata in modo organico e responsabile, senza facili demagogie e scorciatoie”. Così Antonio Pettinari, intervenendo questa mattina all’Abbadia di Fiastra nel corso dell’assemblea generale di Confindustria Macerata, ha commentato la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’incostituzionalità della normativa varata dal governo Monti in materia di riforma e riordino delle Province. La Corte Costituzionale infatti, accogliendo i ricorsi presentati da alcune Regioni, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della riforma delle province contenuta nel decreto Salva Italia che ne prevedeva la riduzione in base a criteri di estensione e popolazione. Sotto la lente della Corte infatti, è finito anche il decreto sul riordino delle Province in base ai due criteri dei 350mila abitanti e dei 2.500 chilometri di estensione. “Non è materia da disciplinare con decreto legge” questo hanno stabilito i Giudici costituzionali. Secondo la Consulta infatti, “il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate nel presente giudizio”. Di fatto, però, la riforma aveva già subito una battuta d’arresto: con la crisi del governo Monti infatti, anche la conversione in legge del decreto era stata sospesa mentre un emendamento della legge di stabilità, approvato a dicembre 2012, aveva rimandato di un anno, e precisamente al primo gennaio 2014, l’abolizione dei consigli provinciali.

Il Comitato per Macerata ed il suo territorio, costituitosi per sostenere il mantenimento della provincia maceratese, preso atto della pronuncia della Corte costituzionale, ha espresso la propria soddisfazione: “Sembra che ora le province dovranno essere oggetto di un’ordinata riforma costituzionale. Ci auguriamo solo che tutti i territori saranno trattati con la stessa dignità”. Il Comitato ha inoltre sottolineato come abbia sempre fermamente sostenuto la tesi dell’incostituzionalità mettendo in evidenza l’arbitrarietà dei criteri stabiliti per il riordino delle province, oggi bocciati dal Giudice delle leggi, secondo i quali la provincia di Macerata avrebbe dovuto essere accorpata a quella di Ascoli Piceno, con Ascoli capoluogo. “Il danno per Macerata città e il territorio che rappresenta sarebbe stato evidentissimo” così si erano espressi i rappresentanti commentando la scelta operata dal governo. A sostegno della tesi sostenuta dal comitato maceratese nel corso dell’incontro pubblico organizzato da Cronache Maceratesi nella sede della Camera di Commercio lo scorso ottobre era intervenuto in collegamento telefonico anche Piero Alberto Capotosti, emerito di Diritto costituzionale e Giustizia costituzionale dell’Università La sapienza di Roma. In quella sede, lo stesso Capotosti, aveva confermato che la modifica dell’assetto istituzionale dello Stato attuata attraverso la decretazione d’urgenza appariva apertamente in contrasto con la Carta Costituzionale (leggi l’articolo). Ciononostante la Regione Marche, con una scelta  non esente da critiche, non ha proposto ricorso.

Il ministro per le Riforme costituzionali, Gaetano Quagliarello, ha così commentato la pronuncia del Giudice delle leggi:“L’odierna sentenza rende ancora più importante intervenire attraverso le riforme costituzionali sull’intero Titolo V, in particolare per semplificare e razionalizzare l’assetto degli enti territoriali”.
Ha retto, al contrario, al vaglio della Consulta la riforma della geografia giudiziaria. Sono state infatti giudicate infondate le questioni sollevate da alcuni tribunali contro la loro soppressione. Solo Urbino si salva. Nella città ducale il pronunciamento “premia” una lunga battaglia bipartisan a sostengo del Tribunale, che ha visto il sindaco Franco Corbucci, la Provincia, i consiglieri regionali e i parlamentari eletti nel territorio fare fronte comune con l’Ordine degli avvocati. In particolare sostenevano che essendo Urbino co-capoluogo di Provincia con Pesaro, la permanenza del Tribunale avrebbe dovuto essere garantita. Il primo cittadino aveva anche ricordato che i costi dell’affitto del Palazzo di giustizia e le spese di manutenzione risultavano a carico dell’amministrazione comunale. La soppressione dunque non avrebbe in alcun modo giovato alle casse dello Stato mentre avrebbe creato notevoli disagi ai residenti delle aree appenniniche costretti a raggiungere Pesaro e il suo Palazzo di giustizia.

 



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