di Simonetta Poloni
Vorrei fare qualche riflessione in seguito al decesso del giovane Paride (leggi l’articolo), ventiquattrenne, con un bel nome che evoca scenari mitologici dell’antica Grecia. Io non conoscevo questo ragazzo, ma se ne è andato come mio figlio Nicola, con le stesse drammatiche modalità. Ho provato dolore nel leggere la breve notizia di cronaca, un sentimento che ho sempre nutrito con intensità ogni volta che sono venuta a conoscenza di vite che s’interrompono precocemente, al di là dell’evento che abbia determinato la tragedia finale.
Forse sbaglio nel pensare che l’evento mortale dovuto a incidenti stradali o a patologie incurabili sia socialmente accettato, anche con sentimenti di solidarietà e compassione, rispetto ai decessi che avvengono per le complicanze dovute all’assunzione di droghe.
Generalmente si considera colui che vive in situazioni ad alto rischio di perdita della propria vita come preda di “vizi” voluti e scelti consapevolmente e quindi si conclude pensando o affermando che “…alla fine uno se la va a cercare…”. Per il cosiddetto senso comune anche la categoria della morte può essere considerata di serie A o di serie B.
In realtà molti ragazzi tentano di uscire da quell’inganno che li attanaglia, combattendo con una forza che pensano di possedere, ma che in realtà non hanno, sopravvalutando se stessi, in un circuito cieco attraversato dall’esaltazione di potercela fare, per poi essere sopraffatti da quella fragilità profonda che non riconoscono come propria.
Quasi sempre molti di loro portano bagagli pesanti di sofferenza intima, di solitudini, di sperdimenti e le modalità autodistruttive cui approdano non sono cercate per puro “vizio”, come già affermato in precedenza, e infine del tutto subìte.
Dovremmo cercare di comprendere che sono ragazzi malati, bisognosi di grande attenzione da parte di noi adulti, genitori, operatori, società civile.
La responsabilità della famiglia ritengo sia immensa e in questo momento mi riferisco anche alla mia personale responsabilità di genitore, di madre.
Esiste una legislazione che, considero perversa la quale affida a questi ragazzi, sostanzialmente “malati”, una gestione quasi diretta della loro “patologia”, in quanto soggetti maggiorenni. In realtà questa è una vera e propria finzione, perché i soggetti tossicodipendenti, pur non perdendo, almeno sino ad un certo punto, la capacità di intendere, sicuramente perdono la capacità di volere.
Vorrei invitare ancora a riflettere insieme a non lasciarsi ingannare da atteggiamenti apparentemente arroganti e che sovente indubbiamente infastidiscono. Sono maschere che nascondono disagi profondi, confusione, stati depressivi, dolori e ferite interiori non identificabili neanche da parte di loro stessi.
Chi ha potuto nutrire con sapienza e autentica saldezza d’animo, sanamente, la propria famiglia, non volga lo sguardo altrove, perché tutti noi dovremmo giudicare delle vite che sembrano ineluttabilmente perse o maledette, in quanto ogni essere che si affaccia alla vita è innocente e meritevole di avere anche la sua parte di felicità terrena.
Un’ultima riflessione per chi “resta”: qualcuno ha scritto che il dolore che si vive per la perdita di un figlio può essere paragonato ad una trave di ghiaccio che ti spacca il cuore. Nemmeno questa metafora rende veramente il senso, poiché la trave che ti ha trafitto il cuore ce l’hai conficcata per sempre e non ti esce più, la senti ad ogni respiro.
Molta gente non vuole guardare il volto sgradevole del dolore che ti taglia la carne e passa oltre. Ma esistono dei buoni “samaritani”che si fermano per comunicare della solidarietà, per un abbraccio, per una condivisione, senza chiedere, senza giudicare. Secondo il mio modo di sentire, è questo l’autentico “senso dell’umano”.
Non conosco i genitori di Paride, mi permetto però di abbracciarli.
Simonetta, la mamma di Nicola Bommarito.
***
Ieri sono arrestati i pusher che hanno venduto la dose fatale a Paride Paoletti (leggi l’articolo).
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Grazie signora Simonetta per il suo lucido, meraviglioso, toccante articolo.
Bellissimo articolo signora Simonetta.
Peccato sapere che chi ha venduto la dose fatale al povero Paride, fosse stata arrestata soltanto lo scorso 18 ottobre per spaccio di droga
Liberiamo subito quei due…
Se dico di metterli in condizione di non nuocere definitivamente, rischi di non essere capito.
Aspettiamo, allora, che arrivi la prossima vittima.
Di fronte ad una falsità che comincia col metadone ed arriva alle leggi permissive contro la droga, con drogati e alcolizzati che ammazzano per la strada e poi ritornano a spasso, sembra che la vita umana di chi si comporta civilmente conti molto poco. Per quanto tempo la gente civile dovrà sopportare questo inganno dei politici, degli educatori, degli esperti, degli psicologi?
Nel 1983 gli eroinomani a Macerata erano poche decine e si riconoscevano per strada.
Oggi, fortissime percentuali di giovani fanno uso di spinello, per poi passare alle droghe pesanti. L’alcol ormai non rappresenta un problema per la società civile. Giovanissimi si ubriacano…
Si dice che i genitori devono comunicare e controllare i figli? Ma, cosa possono fare i genitori, oberati da problemi di sopravvivenza, impauriti dal futuro?
Si dice che i predidi e i docenti delle scuole – alcuni istituti sono grossi luoghi di spaccio alla luce del sole, (insieme a parecchie discoteche) dovrebbero controllare. Spesso chiudono un occhio, tanto è farraginosa la procedura delle denunce. E le forze dell’ordine cosa possono fare quando arrestano e vedano che tutto il lavoro di intelligence e di arresto viene vanificato dal buonismo giudiziario che lascia liberi questi criminali in erba a fare le pernacchie in faccia dagli uomini dell’ordine?
E’ una lotta impari, mentre i criminali della droga spadroneggiano di fronte ad una casta politica inetta, idiota (fautrice della droga libera e della modica quantità), corrotta, connivente con il crimine organizzato.
Se il crimine organizzato venisse messo, dai vertici ai cavalli ai piccoli spacciatori, in campi di concentramento rieducativi, forse i figli di queste madri sarebbero ancora vivi.
Signora Simonetta
permetta invece lei
di poter essere
abbracciata da tutti noi …
I malesseri della nostra società dove l’egoismo e l’odio e l’indifferenza stanno prendendo il sopravvento e si è impadronita delle nostre anime, sicuramente i più deboli ne pagano le conseguente, la droga vero nemico non tutto il mondo dietro che è sicuramente la conseguenza di vari stati emotivi e di disagio rabbia e l’impotenza e l’arrendersi, la vita di un giovane perderla perché non si ha o non si trova la forza non ha giustificazioni e sempre un qualcosa che morde nel cuore poteva essere un figlio di tutti noi, come loro ci altri morti in passato forse troppi e si va avanti nell’indifferenza e quando senti il criticare un giovane e triste e vero chi si droga sa a cosa va incontro, ma non si giudica la vita e la persona che sono un valore impagabile per tutta la società essendo una sconfitta per tutti.
Da scaricare, stampare, incorniciare e ricordare ogni volta che qualche povero di spirito e disinformato si permette di emettere sentenze senza appello accomunando vittime e carnefici. La tossicodipendenza è un fenomeno complesso che va affrontato con rigore ma soprattutto cognizione di causa.
….infatti il giudice ha pensato bene a mettere in libertà il pusher!!
Incomprensibile il commento del Sig. Pieroni. Forse anche inopportuno.
Non ho cliccato sulle manine.
Cara signora Simonetta,
ho letto le sue parole che mi hanno colpito nel profondo e solo a distanza di giorni trovo la forza di scriverle qualche riga, soltanto per manifestarle il mio affetto e la mia vicinanza:vorrei abbracciarla e stringerla forte e provare a dividere con lei quell’enorme peso che ha sul cuore.Le assicuro che ogni giorno sia come madre che come insegnante il mio primo pensiero è per i nostri ragazzi:li guardi negli occchi e capisci che hanno solo bisogno di qualcuno che li ascolti, che condivida un percorso con loro.Anche negli sguardi dei più spavaldi .leggi la loro insicurezza e la ricerca disperata di adulti e punti di riferimento.Hanno bisogno di tempo:in un mondo di grande velocità ,si sentono trascurati.Hanno bisogno di tempo e di ascolto e di regole e di fiducia.Devono creder che il loro interlocutore e nel mio caso un docente sia capace di stabilire con loro un patto di reciproca fiducia e responsabilità.Il rapporto è di mutua relazione ed aiuto: quante cose ho imparato dai miei ragazzi,quante volte sono riusciti a stupirmi ed a stupire se stessi.Al di là dell disciplina ,noi insegnanti dobbiamo guardare alla persona e costruire una relazione che rimetta questi giovani così sconnessi e lontani dalle proprie emozioni in contatto con la loro umanità.E i più intelligenti ed i più sensibili sono i più fragili e quelli che possono maggiormente essere esposti ai rischi di questa società di squali.Non riconosciamo nessun reale diritto ai nostri giovani: gli diamo ogni sorta di beni materiali ,li sommergiamo di oggetti, giocatoli ,attività di ogni tipo ,ma non li ascoltiamo veramente.E la maggior parte degli adulti ,dei genitori ,degli insegnanti neppure se ne accorge:c’è una sottile indifferente inutile e banale maestria nel fare del male ,nel modo più indifferente ed asettico.Riusciamo in certe occasioni a far così soffrire i nostri ragazzi che non basterebbero milioni di scuse per riparare il male fatto.L’indifferenza,la distanza,il distacco:io sono dietro la cattedra e tu sei dall’altra parte: no,non è questo il messaggio: io sono con te, in mezzo alla classe e lavoro insieme a tutto il gruppo e sono parte del gruppo e insieme tutti facciamo lo stesso percorso e se sbgliamo ci sarà qualcuno fra noi che ci sosterrà, si accorgerà della nostra sofferenza e ci tenderà una mano.E’ tornato a trovarmi un mio ex-alunno che mi ha detto:”Non mi ricordo più niente della scuola,non ci sono stato troppo bene,non ero uno dei bravi,ma una cosa la ricordo e la ricorderò per sempre,che il giorno in cui stavo col culo per terra lei è stata l’unica a tendermi una mano! E la riconoscenza della condivisione con lei di un momento buio è diventata per me un’ enorme luce che mi spinge in ogni occasione a fermarmi ed a guardarmi intorno e se c’è bisogno a saper tendere una mano.”
Buon Natale e ancora una grosso abbraccio, signora Simonetta.
Eliana Leoni Marcelletti
Sento la necessità di esprimere la mia personale gratitudine e simpatia che alcuni commenti alle riflessioni da me elaborate mi hanno suscitato.
Tra gli altri, il contenuto della bellissima lettera della signora Eliana Leoni penso ci aiuti a comprendere in maniera ancora più efficace il travaglio interiore di tanti ragazzi, preda di emozioni forti e contrastanti, di solitudini, di fragilità nascoste.
Sono convinta, signora Eliana, che i suoi alunni siano fortunati ad avere un’insegnante quale è lei, persona fortemente sensibile ed attenta ai sentimenti dei suoi ragazzi.
Una delle sue profonde riflessioni la sento particolarmente mia: quando si riferisce alla “sottile, indifferente, inutile e banale maestria nel far del male, nel modo più indifferente ed asettico”.
Ciò, a mio avviso, descrive una delle nostre modalità prevalenti quale è il “non voler soffermarsi” su quanto è legato alla sofferenza.
Non vorrei dilungarmi oltre in quanto il mio vuole essere un sincero ringraziamento, come già detto all’inizio, per ciò che è stato comunicato attraverso diversi commenti affettuosi.
Da tre anni e sei mesi sto vivendo in un mondo “a parte”, per cui sono anch’io più esposta alla distanza ed alla freddezza o, al contrario, più sensibile e pronta ad accogliere la scintilla del calore di chi comunica con il cuore.
Il cuore è importante non solo come muscolo che pulsa vita o che la toglie quando drammaticamente cessa il suo ritmo, io lo intendo anche come focolare perennemente acceso nella nostra più profonda intimità, sede dei sentimenti che ci legano agli affetti più veri, scrigno di verità e fonte propulsiva di un calore che si può comunicare ad altri.
Vi vorrei guardare negli occhi e ricambiare i vostri abbracci.
Grazie, Simonetta.