di Bruno Mandrelli *
Abbiamo un debito da pagare con i minatori in sciopero della Carbosulcis.
Un debito che risale nel tempo, prima alla rivoluzione industriale e poi all’età dello sviluppo economico, del boom, dei favolosi anni sessanta quando l’Italia cresceva a ritmi costanti ed il benessere si diffondeva in un paese sino ad allora contraddistinto dalla convivenza di aree urbanizzate e più avanzate con altre al limite del sottosviluppo.
Abbiamo un debito perché quello che si rese possibile lo fu anche grazie alle nostre miniere ed all’impiego del carbone come combustibile (ed è giusto ricordare che tanti altri italiani andarono a scavare sotto terra all’estero, con tributi anche di sangue quando veniva già una volta).
Oggi si privilegia, comprensibilmente, la ricerca di energie alternative, più pulite: tuttavia restare inerti di fronte alla minaccia di chiusura dell’ultima miniera di carbone d’Italia mi sembra ingiusto, sbagliato, ingeneroso. Quasi che non fosse questione che ci interessa perché distante e magari anche un po’ inquinante. Ma non è così, a mio avviso, e credo che, a volte, insieme ai nostri specifici, locali problemi (che ci sono ed anche gravi), si debba guardare più in la.
Mi piacerebbe quindi che la politica, i nostri parlamentari, che il Partito Democratico del quale faccio parte, tra le tanti interessanti discussioni su provincia si/provincia no/provincia a tre teste, trovasse un attimo di tempo per spezzare una lancia in favore di quei minatori, di quella miniera che rappresenta tanta parte del nostro passato e di ciò che oggi, bene o male, siamo. Un po’ come si sta facendo per l’Ilva di Taranto, sempre ricordando che viviamo in un tempo in cui, nonostante i proclami, ancora non si riesce a dare una vera tagliata ai tanti enti inutili che sottraggono risorse a tutti.
Ho visto, come molti, in televisione i volti di quei minatori: uomini, donne, con la faccia bianca, magari sporca, qualcuno all’evidenza figlio di genitori di diverse nazionalità, tutti insieme per una battaglia determinatissima e civile, che non dobbiamo consentire degeneri. Ho sentito le voci di lavoratori diplomati, anche laureati, che ogni giorno scendono sotto terra per fare un lavoro materiale che più materiale non si può: e quanto vi sarebbe da imparare da ciò per quei tanti, troppi, che ancora oggi ritengono che un pezzo di carta affisso alla parete debba necessariamente equivalere ad un posto di lavoro da colletto bianco.
Salvare tutto ciò ha un significato che va molto al di là della pur necessaria attività finalizzata alla salvaguardia dei posti di lavoro: vuol dire che questa nostra Repubblica può avere ancora la capacità e la forza per immaginare nuovi processi produttivi, per sviluppare meccanismi di pulizia del carbone in linea con le emergenze ambientali: vorrebbe dire che l’Enel non può semplicemente acquistare il carbone dalla Cina solo perché costa meno, magari senza aver controllato quelle che sono le condizioni di lavoro nelle miniere del luogo (e pensare che, anni fa, ci siamo indignati tutti perché i palloni da football venivano cuciti, in India e zone limitrofe, da bambini di dieci anni, per le t shirt sembra ne bastassero otto, di anni).
Insomma, nella situazione attuale magari è vero che tenere aperta la miniera equivale ad una rimessa in termini economici: chiuderla, però, sarebbe una perdita di molto maggiore. Questa miniera, tra le tante altre cose, è un simbolo, è memoria storica, è parte di noi anche a Macerata. Facciamogli sentire che siamo con loro: in termini pratici varrà poco ma per quei lavoratori credo che possa valer molto. Che so, magari anche un bel cartello sul balcone del comune di Macerata con su scritto “No alla chiusura della miniera di Nuraxi Figus”.
* Bruno Mandrelli, consigliere comunale del Pd Macerata
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Caro Bruno, complimenti! E’ un bellissimo intervento, che condivido in pieno e che in qualche modo riconcilia con la politica e ci solleva dalle schifezze di piccolo cabotaggio con le quali qui da noi siamo costretti a confrontarci ogni giorno.
Quei minatori hanno ragione, non possono essere trattati come scarpe vecchie che dopo qualche mese si buttano via perchè oggi bisogna lasciare spazio alle energie “pulite”. Se poi pensiamo a quante truffe e speculazioni avvengono alle spalle della collettività (e quindi con i soldi pubblici) nel campo della green economy, allora la rabbia, da un lato, e la solidarietà, dall’altro, aumentano ancora di più.
Grande sensibilità, senso civico, remeber culturali blaa blaa blaa. Mandrelli, ma pensi ai tanti disoccupati e a quelli che saranno della sua città.
Bravo Bruno, condivido in pieno il tuo intervento e il commento di Giuseppe!!
E pertanto mi unisco alla tua richiesta di mettere un poster sul balcone del comune!!!!!
Bravo avv. Consigliere mandrelli. Con questa riflessione hai sicuramente innalzato il livello del giornale.Tanto e’ vero che pochissimi Hanno commentato, tra i soliti bla bla bla che si leggono….dove siete, intellettualoniiii/eeé..
Concordo pienamente con quanto scrivi econgommar bomba, ad esclusione di quel qualunquista, mi pare Bellini.
Scusate, ma l’ipod, del quale evidentemente non ho dimestichezza, mi ha scritto coseincomprensibili (eco gommar bomba ?? Che significherà?). …comunque penso che il concetto che ho espresso sia comprensibile
Concordo in pieno con Bruno Mandrelli, con la sua vecchia ottica di fare politica, quella delle idee, delle proposte, della lotta.
Siamo stufi di vedere come trattano i cittadini più deboli, quelli del numero, quelli senza nome, quelli da sacrificare per interessi più sostanziosi. Diamo solidarietà ai minatori, non facciamoli sentire soli. Non facciamo sentire sole quelle maestranze buttate sul lastrico, poiché è più utile spostare la fabbrica in Polonia, o in Romania. Quelle maestranze le cui fabbriche non sono concorrenziali, e quindi in pericolo, a causa dei prodotti cinesi e indiani, frutto di un disumano sfruttamento a danno di quelle popolazioni e delle nostre. I Cinesi che ci stanno invandendo comprandosi tutto. Con che tipo di soldi?
Caro Bruno, il futuro è nero a causa dei fautori di una globalizzazione selvaggia e fuori controllo, che ha portato alla povertà l’Italia e la stessa Europa. Che futuro lasciamo ai nostri figli e ai nostri nipoti?
Ecco, perchè dobbiamo vedere la lotta dei minatori e degli operai dell’Ilva e di tutti i nostri operai e impiegati buttati sulla strada come il segnale della rivolta, verso una politica che non può essere quella ideata da un banchiere o dal grande capitale e dall’alta finanza. Personalmente, non so quale strada strategica indicare, ma di sicuro è necessario iniziare una dura lotta tattica, non solamente protestataria, ma fatta di idee, proposte e prospettive. E, poiché i nuovi politici non hanno storia dietro e quindi idee partitiche, devono i vecchi politici riprendere in mano la situazione.
Caro Bruno, sei ancora molto importante per noi.
D’accordo con il contenuto dell’articolo.
Una proposta che è una provocazione: perché non dirottare per il Sulcis i fondi dati al Molise per l’aeroporto inesistente?